Proprio mentre in Italia il governo certifica l’allarme nazionale sull’aumento degli sbarchi di migranti deliberando lo stato di emergenza, martedì al Palazzo di Vetro dell’ONU, durante il briefing giornaliero con il portavoce del Segretario Generale, abbiamo chiesto che cosa faranno le Nazioni Unite per aiutare l’Italia (e Malta) in chiara difficoltà nel salvare vite nel Mediterraneo. La marina militare italiana nelle ultime ore continua a far spola dai porti siciliani in soccorso dei barconi e si rischiano nuove tragedie.
Poche settimane fa il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva chiesto più aiuto anche all’ONU, quindi abbiamo richiesto che cosa abbiano intenzione di fare le Nazioni Unite per far fronte alla situazione. Il portavoce Stephane Dujarric, ha replicato: “Nessuno si aspetta che i paesi costieri dell’Europa meridionale gestiscano da soli questa sfida. È una responsabilità regionale. È una responsabilità globale. Continuiamo a metterci dei cerotti sulla questione, attraverso il lavoro dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, attraverso il lavoro dell’UNHCR. Sono i governi nazionali di tutto il mondo che hanno la responsabilità di seguire e attuare il diritto internazionale sui rifugiati, di attuare il Global Compact sulla migrazione, sulla migrazione sicura e ordinata. Le soluzioni ci sono. Implicano discussioni profonde e importanti tra paesi di transito, paesi di destinazione, paesi di origine per garantire che la migrazione sia gestita dai governi attraverso mezzi legali e ordinati e non attraverso bande criminali come lo sono oggi”.

L’ONU al massimo può metterci “una pezza”? Il portavoce del Segretario Generale Guterres ribadisce che l’Italia, Malta e gli altri paesi europei devono rispettare il diritto internazionale e attuare quel Global Compact sull’Immigrazione che proprio il governo italiano allora di Conte-Salvini non volle appoggiare. Bisognerebbe evitare di ostacolare, per non dire “criminalizzare”, le attività delle ONG che salvavano quei migranti e che aiutano così la marina militare oggi in chiara difficoltà. La situazione di oggi ci appare ancora più “schizofrenica”: inutile cercare di fermare con un “cerotto” l’emorragia di un intero continente.
Martedì tocca al ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci – non a caso già governatore della Sicilia, dove arrivano la maggior parte degli sbarchi – a portare al Consiglio dei Ministri la proposta per lo stato d’emergenza. Il provvedimento serve a sbloccare fondi e poteri che permetteranno di gestire più rapidamente le criticità emerse con il moltiplicarsi degli arrivi, visto che dall’inizio del 2023 sono arrivati in Italia 31.200 migranti, registrando il +300% rispetto all’anno scorso, portando al caos non solo Lampedusa, ma tutti gli hotspot di prima accoglienza attualmente nel Paese. Con un primo stanziamento di 5 milioni, poi 20 milioni per sei mesi, si dovrebbero creare nuovi posti per l’accoglienza, dai trasferimenti di migranti ai Centri di permanenza per il rimpatrio. “Abbiamo deciso lo stato di emergenza sull’immigrazione per dare risposte più efficaci e tempestive alla gestione dei flussi”, ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, alla fine della riunione.
People are dying in the waters of the Mediterranean. Most of their calls for help go unheard.
States must increase and support search and rescue to save lives at sea.
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— IOM – UN Migration 🇺🇳 (@UNmigration) April 12, 2023
Nel Mediterraneo intanto gli sbarchi non si fermano, anzi triplicano. Nel fine settimana di Pasqua si sono intensificate le segnalazioni di barche in avaria e migranti in cerca di aiuto, con i soccorritori – per lo più unità della marina militare- che in tre giorni ha consentito di trarre in salvo circa 2mila persone alle quali si sono aggiunti altri 1.200 migranti per i quali le operazioni di soccorso sono ancora in corso nello Ionio tra la Sicilia e la Calabria. Trentotto sarebbero invece le vittime di due naufragi, uno al largo della Tunisia e l’altro in acque maltesi, e 18 i dispersi.
Se prima era il caos della Libia a preoccupare di più, da mesi è diventata la Tunisia il maggior centro di partenze di migranti e rifugiati e un episodio avvenuto proprio martedì ha messo in risalto come l’ONU, più che venire in soccorso dell’Italia, si trova essa stessa in grave difficoltà con le sue agenzie.

Le forze dell’ordine tunisine hanno infatti usato gas lacrimogeni per disperdere centinaia di richiedenti asilo e migranti africani che da circa un mese erano accampati fuori dalla sede dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU (UNHCR) e anche dell’Agenzia per l’Immigrazione (IOM) a Tunisi. Si tratta di cittadini di vari Paesi dell’Africa sub-sahariana, per la maggior parte in cerca di trasferimento verso Paesi terzi, che aspettavano una risposta dall’UNHCR che però ha da giorni sospeso l’esame delle loro pratiche. La ragione? Un aggiornamento del sistema informatico, almeno così è stato comunicato. Così martedì, centinaia di migranti disperati che nelle ultime settimane hanno vissuto tra gli stenti e i pericoli delle aggressioni, e che si aspettano di essere riconosciuti “rifugiati” per allontanarsi dalla Tunisia, hanno iniziato una protesta. A quel punto c’è stato un intervento della polizia tunisina, che ha eseguito gli sgomberi.
Under its early warning & urgent action procedure, UN Committee against Racial Discrimination calls on authorities of #Tunisia to refrain from any speech that contributes to racial hatred & discrimination against migrants from countries south of the Saharahttps://t.co/Rp9hCUt4Vz pic.twitter.com/tot4wgLcvS
— UN Treaty Bodies (@UNTreatyBodies) April 4, 2023
Il portavoce del ministero dell’Interno tunisino, Faker Bouzghaya, ha detto che la polizia è intervenuta “su richiesta dell’UNHCR” e che 80 migranti sono stati arrestati, di cui 30 posti in custodia cautelare. In una lettera aperta, un gruppo di richiedenti asilo e migranti provenienti da quindici Paesi subsahariani ha dichiarato di essersi “rifugiato” nei pressi dell’UNHCR dopo essere stato “cacciato” da diverse città della Tunisia, dopo il discorso di febbraio del presidente Kais Saied che ha preso di mira l’ immigrazione illegale. “La Tunisia non è sicura e non possiamo più restare qui”, avevano scritto, chiedendo di essere “evacuati immediatamente in qualsiasi altro Paese sicuro che ci accetti e ci rispetti come esseri umani”.