È rissa diplomatica tra Russia e Stati Uniti al Palazzo di Vetro di New York. Sulla questione ucraina i toni tornano ad alzarsi durante la riunione speciale del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Washington accusa Mosca di intraprendere azioni che mettono in pericolo la pace e la sicurezza internazionale, colpendo direttamente “il cuore della Carta delle Nazioni Unite”. La Russia respinge le accuse e ribadisce di non avere alcuna intenzione di invadere l’Ucraina, anzi denuncia gli Stati Uniti per “aver fomentato l’isteria“, ritenendo responsabili gli stessi americani di “voler provocare un’escalation” accusando falsamente i russi. Ma per gli USA le azioni di Mosca sono chiare minacce: ha ammassato centomila soldati ai confini con l’Ucraina con l’intento di invaderla se la NATO non accetterà di siglare una formale dichiarazione – e in tempi brevi – assicurando che l’Ucraina non farà mai parte dell’Alleanza Atlantica.
“È la più imponente mobilitazione militare in Europa – negli ultimi decenni ha detto l’ambasciatrice americana Linda Thomas-Greenfield, accusando la Russia di voler aumentare la propria forza militare sino a 30 mila unità al confine tra Bielorussia e Ucraina “a meno di due ore da Kiev”. “Continuiamo a sperare che Mosca scelga la strada della diplomazia e non del conflitto, ma non possiamo aspettare… La situazione è pericolosa e urgente”. La diplomatica americana ha spiegato agli altri Quattordici del Consiglio che la Russia sta “tentando di dipingere l’Ucraina e i paesi occidentali come gli aggressori per fabbricare un pretesto per l’attacco“, e se passerà all’azione, “le conseguenze saranno orribili”, non solo per l’Ucraina, ma anche per tutta l’Europa.
Illustrando la minaccia, Thomas-Greenfield ha spiegato il preciso “modello di aggressione” russo: nel 2014, Mosca ha invaso illegalmente la Crimea, nel 2008 la Georgia, mentre attualmente, le truppe russe si stanno rifiutando di lasciare la Moldavia nonostante i desideri del popolo moldavo e del suo governo democraticamente eletto. Negli ultimi otto anni, quando Vladimir Putin ha annesso la penisola della Crimea, l’entourage del Cremlino ha frequentemente affermato che l’Ucraina non è un vero paese e ha messo in dubbio il suo diritto all’autodeterminazione. Ma l’Ucraina è uno Stato, membro delle Nazioni Unite dal 1991: un paese sovrano con un popolo sovrano, autorizzato a determinare il proprio futuro, senza che nessun paese lo minacci con la forza. Questa non è solo la convinzione degli ucraini, ma un diritto sancito dalla Carta delle Nazioni Unite. Ecco perché l’incontro di lunedì era doveroso e urgente, almeno secondo Washington. “Sulla scia della Seconda Guerra Mondiale, il Consiglio di Sicurezza è stato formato per affrontare esattamente il tipo di minaccia che ora l’Ucraina si trova a fronteggiare – ha chiarito l’ambasciatrice statunitense e citando l’articolo 39 ha spiegato che il compito del Consiglio di Sicurezza – non è solo quello di affrontare i conflitti dopo che si sono verificati, ma anche quello di impedirli”.
In un botta e risposta senza sconti, l’ambasciatore russo Vassily Nebenzia, ha ricordato alla controparte americana e agli altri diplomatici, l’invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti nel 2003: “quello che è successo a quel paese è noto a tutti” ha detto, come a voler sbeffeggiare gli USA di essere loro, per primi, a non tenere conto dei principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite. Il diplomatico russo ha negato qualsiasi piano di attacco, e nella stessa mattinata di lunedì, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha accusato i media statunitensi di aver diffuso “informazioni inaffidabili, false e provocatorie sulla situazione in Ucraina“, chiedendo a Washington e ai suoi alleati di “assumere una posizione calma, equilibrata e costruttiva“. Secondo Peskov, la retorica americana sta spaventando gli ucraini perché “la gente sta praticamente facendo le valigie lì“. Della stessa opinione è il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che venerdì ha minimizzato la minaccia di un’invasione. E lo stesso ambasciatore russo Nebenzia, nel suo intervento, ha citato le dichiarazione del presidente ucraino Zelensky per sostenere la tesi dell’ingiustificato allarme.
La Casa Bianca promette che “gli Stati Uniti e gli alleati continueranno a prepararsi per ogni scenario“, ma obiettivo principale di Washington è quello di “radunare il mondo a parlare con una sola voce“. Lo ha dichiarato il presidente Joe Biden questa mattina prima dell’inizio della riunione, ma il suo auspicio per una maggiore coesione sembra essersi vanificato quando la riunione è stata aggiornata senza che siano stati presi provvedimenti.
Se il buongiorno si vede dal mattino… la giornata non era partita con il piede giusto. Prima del meeting gli animi erano già accesi. Mosca, infatti, ha tentato inutilmente di boicottare l’incontro fortemente voluto dagli Stati Uniti, e poi, non ricevendo sufficiente appoggio dagli altri membri, ha chiesto di svolgerlo a porte chiuse. Per il Cremlino, la riunione dei Quindici sarebbe stata “un tentativo di depistare la comunità internazionale” e un esempio di “diplomazia megafono“, in un momento in cui ci sarebbe bisogno di maggior silenzio. Ma l’incandescente dossier ha spinto dieci membri a votare a favore della riunione a porte aperte, tre membri si sono astenuti e soltanto la Cina si è opposta appoggiando Mosca.
Alla fine dell’incontro, l’ambasciatrice americana Thomas-Greenfield, davanti ai giornalisti di New York, ha dichiarato che purtroppo “non abbiamo ricevuto le risposte che ognuno di noi avrebbe sperato di ricevere“.
L’ambasciatore russo Nebenzia, nel sostenere che la Russia non ha piani di invasione, ha però messo in guardia l’Ucraina da ogni provocazione, e andandosene dalla sala del Consiglio di Sicurezza, non ha nemmeno ascoltato l’intervento del diplomatico di Kiev. L’ucraino Sergiy Kyslytsya ha replicato che nessuna provocazione verrà dal suo Paese e, rivolgendosi ai giornalisti alla fine della riunione, ha accusato il collega russo di preparare un “trappola Kafkiana“: “l’ho detto ripetutamente nel mio discorso, ho ricevuto istruzioni dal mio governo di riaffermarlo: non abbiamo alcun piano offensivo, alcun piano militare di attacco, non è nei nostri piani“.
Una settimana densa di missioni diplomatiche è alle porte. Martedì, 1° febbraio il Segretario di Stato americano Antony Blinken e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov avranno un altro colloquio telefonico. Intanto, il Congresso USA va verso un accordo su un pacchetto di sanzioni per esercitare pressioni affinché Putin ritiri le sue forze dal confine con l’Ucraina. Anche Bruxelles si muove nella stessa direzione, lavorando a potenziali sanzioni personali, economiche e commerciali, con l’intento di scoraggiare la Russia da ulteriori azioni aggressive.
Nessuno vuole una guerra, almeno a parole. E anche se i funzionari cercano una soluzione diplomatica alla crisi, molti si comportano come se il peggio stesse per arrivare. Il Canada ha annunciato domenica che avrebbe ritirato tutti i dipendenti non essenziali e le persone a carico rimanenti dalla sua ambasciata in Ucraina, dopo che la scorsa settimana, Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia avevano intrapreso azioni simili. Mentre lunedì pomeriggio, Biden ospiterà alla Casa Bianca, l’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim Bin Hamad al-Thani, per lavorare a possibili fonti di energia alternative per l’Europa, nell’eventualità che Mosca risponda alle potenziali sanzioni tagliando i rifornimenti del gas.