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È morto l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, “il gladiatore” dell’Italia all’ONU

Il diplomatico "isolano" inventò il Coffee Club per un Consiglio di Sicurezza più democratico, bloccando Germania, Giappone, India e scontrandosi con gli Usa

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
È morto l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, “il gladiatore” dell’Italia all’ONU

12/23/1996: Ambassador Francesco Paolo FULCI (Italy), President of the Security Council, addressing Members of the Council, during a meeting on Cyprus. (UN Photo/Milton Grant)

Time: 3 mins read

Si è spento all’età di 91 anni Francesco Paolo Fulci, storico diplomatico italiano che tra il 1993 e 1999 fu ambasciatore all’ONU di New York e ricevette i tributi (“la tua diplomazia è leggenda”) dell’ex segretaria di Stato statunitense Madeleine Albright.

Nato a Messina nel 1931, figlio del deputato liberale Sebastiano Fulci, Francesco Paolo si laureò con lode in giurisprudenza all’Università di Messina, per poi specializzarsi in diritto comparato alla Columbia University di New York grazie a una borsa di studio Fulbright, e quindi all’Accademia del diritto internazionale dell’Aia e al Collegio d’Europa di Bruges.

Nel 1956, appena venticinquenne, entrò a far parte del corpo diplomatico, iniziando una lunga carriera al servizio dello Stato che gli avrebbe fatto girare il mondo e le più importanti capitali politiche del globo: da Tokyo a Parigi, da Mosca a Ottawa, passando per la rappresentanza italiana alla NATO di Bruxelles. Più tardi, nei primi anni ’90, la nomina a segretario generale del Comitato esecutivo per la sicurezza e l’intelligence (CESIS), prima dell’ultimo incarico ufficiale alla Rappresentanza permanente d’Italia alle Nazioni Unite dal 1993 al 1999.

Fu in quest’ultima veste che Fulci ha lasciato l’eredità più importante, soprattutto per la fondazione del cosiddetto “Coffee Club”, oggi rinominato “Uniting for Consensus”, assieme ai colleghi di Egitto, Messico e Pakistan e tanti altri Paesi. Scopo del club era (ed è) impedire l’allargamento dei seggi permanenti al Consiglio di Sicurezza – ritenuta dall’ambasciatore messinese una scelta di stampo ottocentesco, elitaria e ad esclusivo appannaggio di Germania, India, Giappone e Brasile – per favorire invece il numero dei seggi non permanenti a rotazione, in modo da dare maggiore spazio ai Paesi più piccoli o meno influenti. Infine la pensione, nel 2000, e la collaborazione con il Gruppo Ferrero.

⚫️ La #Farnesina piange la scomparsa dell'Amb. Francesco Paolo #Fulci, uno dei più importanti diplomatici della storia repubblicana italiana. Ai familiari il sentito cordoglio di tutto il Ministero

— Farnesina 🇮🇹 (@ItalyMFA) January 22, 2022

Numerosi gli aneddoti su di lui. Ne ricordiamo alcuni (a uno dei quali siamo stati diretti testimoni): durante una discussione con l’allora ambasciatrice USA all’ONU, Madeleine Albright, Fulci non sembrò gradire il tono particolarmente alterato e supponente della sua interlocutrice, che gli stava elencando le cose da fare: “Gentile signora, volevo ricordarle che io sono il rappresentante dello Stato italiano, non un sergente dei Marines”. Una schiettezza che sembrò essere apprezzata dalla diplomatica statunitense, che qualche hanno più tardi – questa volta da segretaria di Stato di Bill Clinton – si sarebbe complimentata con Fulci per la sua “diplomazia leggendaria”.

Ma se con la Albright non ci fu alcun risentimento, con un altro “mastino” della diplomazia americana, Richard Holbrooke, ci fu un vero e proprio scontro, di cui chi scrive è stato testimone oculare. Erano gli stessi anni in cui l’amministrazione Clinton stava tentando di realizzare il cosiddetto “quick fix“, l’allargamento dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza con l’entrata di Germania, Giappone, India e Brasile (e forse di uno Stato africano). Ma Fulci ormai aveva ben rodato il suo “coffee club”, con tanti micro-Paesi che in Assemblea Generale votavano sempre compatti con l’Italia, come gli arcipelaghi del Pacifico e tanti altri sparsi nel mondo.

Fulci, che aveva la propria residenza a Salina, nelle isole Eolie, e si considerava un “isolano”, era riuscito a conquistare la loro fiducia con la sua mitica diplomazia. Così, quando riuscì a bloccare per l’ennesima volta le ambizioni della diplomazia USA del plenipotenziario “filo-tedesco” di Clinton, Richard Hoolbroke, ecco che l’allora cronista di America Oggi, passando per un corridoio del Palazzo di Vetro, assistette ad una animata discussione tra l’ambasciatore americano e l’ambasciatore italiano. Quando Fulci si accorse che il giornalista italiano stava ascoltando l’accesa e rumorosa discussione, invece di fermarsi, lo chiamò più vicino e disse: “Ecco, vieni Stefano, guarda come l’Italia non lascia calpestare i suoi interessi…”. Quando capì che Fulci praticamente stava chiamando a testimone della discussione un giornalista, l’ambasciatore Holbrooke si dileguò facendo un chiaro segnale di disappunto con la mano.

Quel giorno America Oggi titolò: Fulci, il gladiatore dell’Italia all’ONU. Inoltre in quegli stessi anni Fulci, attraverso appelli sui media,  mobilitò gli italoamericani a scrivere al Dipartimento di Stato USA contro le iniziative di riforma all’ONU che andavano contro gli interessi dell’Italia. Anni dopo, Fulci ci disse che a “Foggy Bottom” le tante lettere di protesta che arrivarono ebbero il loro peso…

A sinistra l'ex ambasciatore d'Italia all'ONU Pier Paolo Fulci con accanto l'attuale ambasciatore Sebastiano Cardi
A sinistra l’ex ambasciatore d’Italia all’ONU Francesco Paolo Fulci con accanto l’ambasciatore Sebastiano Cardi, uno dei “Fulci Boys”  e attuale consigliere diplomatico del ministro degli Esteri Luigi Di Maio

Ci fu poi una volta in cui, ambasciatore a Parigi, Fulci si travestì da povero emigrante italiano per vedere che trattamento gli veniva riservato dai funzionari del consolato. O ancora, quella in cui invitò gli ambasciatori dei piccoli Stati insulari membri ONU a cena, e per ingraziarseli fece proiettare alcune scene de Il Postino di Massimo Troisi.

La sua caparbietà conferì all’Italia grande prestigio nelle sedi ONU, confermato dal fatto che Fulci fu nominato presidente del Consiglio di sicurezza in ben due occasioni, nel 1995 e nel 1996. L’ambasciatore ha anche formato una schiera di discepoli, soprannominati “Fulci Boys”, molti dei quali sono oggi arrivati ai vertici della diplomazia italiana.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e dirigo La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018.

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