Un Antonio Guterres così non si era ancora visto. Al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il Segretario Generale mai aveva chiesto di replicare ad un ambasciatore. Non ha digerito la cacciata dei sette funzionari umanitari dall’Etiopia e, al Palazzo di Vetro, durante la riunione dei Quindici sulla tragica situazione umanitaria, Guterres ha avuto l’occasione per tirare le orecchie al rappresentante etiope che a nome di Addis Abeba cercava di infangare la reputazione dell’organizzazione internazionale.
Quando è stata messa in dubbio l’imparzialità dei sette incriminati per “ingerenza negli affari interni dello stato”, il Segretario generale si è sentito in “dovere di difendere l’onore delle Nazioni Unite”. E rivolgendosi direttamente a Taye Atskeselassie Amde, ambasciatore etiope all’Onu, ha chiesto di fornire le “prove scritte” di quanto sosteneva. Documenti, per giunta, già chiesti per ben due volte, sia al Primo Ministro sia al presidente del Consiglio, e che finora nessuno gli ha fornito. Guterres, quindi, ha tirato le somme: “è molto semplice… riteniamo che l’Etiopia stia violando il diritto internazionale”.
L’espulsione, “inquietante” e “senza precedenti”, ha scioccato l’organizzazione. Ordinare ad un membro del personale Onu di lasciare il territorio è incompatibile con l’obbligo di un paese ai sensi della Carta delle Nazioni Unite. Guterres ha spiegato che se un governo dovesse avere problemi con uno dei lavoratori, dovrebbe informare l’Onu per consentire al Segretario generale di investigare e agire se necessario.
È chiaro però che il movente del governo di Addis Abeba non era la cattiva condotta dei lavoratori umanitari, ma piuttosto il tentativo di silenziare il dissenso dell’organizzazione che nelle ultime settimane criticava le politiche del Paese nel Tigray.

I resoconti condivisi dagli operatori umanitari sono allarmanti: uomini in uniforme stuprano donne e ragazze, persino bambine nella regione a nord del Paese che da 11 mesi è teatro di un sanguinoso conflitto tra le truppe di Addis Abeba e il Fronte di Liberazione Popolare del Tigray, che rivendica l’indipendenza dal resto dell’Etiopia.
Abiy Ahmed, Primo Ministro e protagonista di questo macabro scenario, nel novembre scorso, aveva detto che la guerra sarebbe terminata in poche settimane. Invece, in questo inferno, migliaia di persone sono state sfollate e oltre 70 mila tigrini sono fuggiti nelle regioni al confine con il Sudan.
I militari lasciano morire di fame milioni di persone impendendo l’accesso e la distribuzione di cibo e aiuti. Per evitare una “enorme tragedia”, Guterres ha chiesto personalmente al governo etiope di non ostacolare più il lavoro umanitario.