In occasione del ritorno degli USA negli accordi di Parigi Antonio Guterres e l’inviato speciale degli USA per il clima, John Kerry, hanno tenuto un evento congiunto speciale. Tutto è avvenuto, non casualmente, durante la sessione di apertura del vertice della Environment Assembly voluta da Nazioni Unite e Stati Uniti.
Nel (ri)dare il benvenuto agli USA, Guterres ha individuato i due contributi essenziali che si aspetta dalla prima economia mondiale: da una parte impegnarsi in un piano di misure per ottenere dei risultati tangibili già entro il 2030, e dall’altra riprendere un ruolo di leadership nelle negoziazioni per realizzare una coalizione globale che aspiri a raggiungere le emissioni zero entro il 2050. “E’ la corsa della nostra vita” ha detto il segretario generale “e dobbiamo correre più veloce”.
Guterres non ha nascosto il rammarico per l’operato di Trump negli ultimi anni. Gli Stati Uniti erano tra i primi paesi firmatari degli accordi di Parigi, su cui John Kerry come segretario di Stato lavorò intensamente, e nell’ultimo quadriennio “è venuto a mancare un anello fondamentale dell’accordo”.

Kerry ha confermato che per il presidente Biden rientrare nell’accordo di Parigi era la assoluta prima priorità. “Torniamo con umiltà e ambizione. Umiltà perché sappiamo di aver perso i 4 anni in cui l’America non è stata presente. Ambizione, perché la scienza dimostra che gli obiettivi dell’accordo di Parigi non sono più sufficienti. Questo novembre al COP26 tutti i paesi devono alzare l’asticella, aumentare le loro ambizioni. Dobbiamo farlo tutti insieme, o falliremo tutti insieme. E fallire non è un’opzione.”
Secondo Kerry dobbiamo muoverci più in fretta, agire con un senso di maggiore urgenza. “Possiamo farcela? Assolutamente sì amici miei, possiamo”, ha detto l’inviato speciale prendendo in prestito lo slogan storico del suo ex datore di lavoro. Affrontare la crisi climatica è anche una grande occasione dal punto di vista economico, per creare milioni di posti di lavoro. “Dobbiamo far contare ogni giorno, ogni mese, sulla strada per il COP26”.
Poche ore prima della conferenza congiunta con Guterres, il ritorno degli USA nel patto di Parigi è stato celebrato con una conversazione su come contrastare in cambiamento climatico organizzata con l’ambasciatore d’Italia negli USA Armando Varricchio, cui hanno preso parte lo stesso Kerry e l’ambasciatrice britannica Karen Pierce.
L’ambasciatore Varricchio ha dato il benvenuto ricordando che questa è stata la prima occasione di incontro tra il presidente del G20, l’Italia, il presidente del G7, la Gran Bretagna, e il nuovo governo degli Stati Uniti rappresentato da Kerry, la cui partnership sarà fondamentale al COP26. Varricchio si è detto molto ottimista riguardo al 2021, poiché “gli USA mostrano un grande rinnovato interesse politico al problema del cambiamento climatico” e al contempo “Mario Draghi ha messo le politiche climatiche al centro della sua agenda politica” indicando una particolare comunità di intenti tra i due paesi. Nel rispondergli, Kerry ha ammesso che riguardo agli ultimi quattro anni gli Stati Uniti sono “dispiaciuti, dolorosamente dispiaciuti. Sentiamo il dovere di fare gli straordinari per farci perdonare”.
A proposito della sua posizione di negoziatore, John Kerry si trova su un terreno scivoloso. Come molto altro, anche le politiche climatiche sono impantanate nel pasticcio dell’immobilità del Congresso. Le principali proposte dell’amministrazione Biden nei tre macro ambiti di inquinamento (automobili, centrali elettriche e metano) sono molto simili ai regolamenti dell’era Obama, gli stessi che Trump ha eliminato con un colpo di stilografica una volta inaugurato, che ancora una volta un nuovo presidente si prepara a reintrodurre.
Per John Kerry sarà molto complicato mostrare agli altri paesi cosa stanno facendo gli USA sotto l’amministrazione Biden e convincerli a seguirne l’esempio: dopo l’esperienza della presidenza Trump è evidente a tutti che regolamenti ed ordini esecutivi durano quanto il presidente che li implementa. L’obiettivo è una legge che sopravviva all’avvicendarsi di democratici e repubblicani alla Casa Bianca e al Congresso, l’unica reale strada per avere un qualche senso di permanenza, ma sembra una possibilità piuttosto lontana considerata la regola del filibuster che blocca la legiferazione in Senato.
La prima domanda posta dalla moderatrice Susan Glasser (New Yorker) si è incentrata esattamente su questo, chiedendo a Kerry come pensa di poter essere persuasivo. L’inviato speciale non è entrato troppo nel merito, ma si è detto sicuro che il mondo è alle porte di una totale trasformazione e rivoluzione. C’è per la prima volta “uno sforzo reale di pubblici e privati: gli investimenti climatici hanno dimostrato di essere vincenti, come nel caso di Tesla”, e nessun politico potrà più negare che finanziamenti miliardari ed energie vanno in questa direzione.
Anche in merito alla complicata situazione di polarizzazione politica, Kerry si è detto ottimista. “La vasta maggioranza della popolazione supporta misure che contrastino il cambiamento climatico”, e dunque non si tratta di un problema polarizzante. “Migliaia di sindaci” ha detto Kerry “sono rimasti all’interno degli accordi di Parigi. Donald Trump è uscito, ma il popolo americano è sempre rimasto dentro gli accordi”.
Kerry si è detto sicuro di poter collaborare con la Cina, seconda potenza economica. “La Cina rappresenta il 30% delle emissioni, gli USA il 15% e l’UE circa il 14%. Siamo oltre la metà del problema, e se cooperiamo lo possiamo risolvere”.

In conclusione, l’ambasciatore Varricchio ha ricordato che il motto del G20, in questa annata guidata dall’Italia è People, Planet, Prosperity. La prosperità ed il benessere non possono prescindere dal pianeta e i governi “hanno la responsabilità di prendere decisioni coraggiose ed affrontare l’emergenza soprattutto per i giovani. Glielo dobbiamo”.
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