È bastato uno “scandaletto” per mettere in crisi il Partito repubblicano. Le goffe bugie del senatore del Texas Ted Cruz che è stato fotografato mentre si imbarcava con la famiglia per andare a Cancun mentre il suo Stato, lo Stato che rappresenta al Senato, è in ginocchio colpito dalla drammatica ondata di maltempo, ha evidenziato la sua ipocrisia politica e la sua indifferenza nei confronti di milioni di persone che lo hanno mandato al Parlamento per difendere i loro interessi nei momenti di necessità.
Non solo una insensibilità politica, ma anche umana dato che inizialmente tra un selfie e l’altro all’aeroporto non vedeva nulla di male nelle sue azioni. E la condanna, il giorno dopo che con la coda tra le gambe il senatore è tornato in Texas, è diventata politica. E poiché Cruz negli ultimi tempi era anche alleato di Trump, ha avuto anche una maggiore enfasi. E non sono solo i democratici a condannarlo.
Oramai tra i repubblicani si combatte una guerra tra le due anime del partito, tra i seguaci di Trump e gli ortodossi del Grand Old Party. Manovre nascoste, incontri segreti, appuntamenti annunciate e colloqui negati a Mar a Lago, la residenza di Donald Trump dove in mattinata è volato il senatore della South Carolina Lindsey Graham e poco prima c’era il secondo in comando alla Camera dei Rappresentanti Steve Scalise. Negata, invece, la visita a Nikki Haley, l’ex rappresentante alle Nazioni Unite nell’amministrazione Trump. L’ex presidente non l’ha voluta vedere dopo che nei giorni seguenti all’assalto al Congresso del 6 gennaio aveva pronunciato dure parole sulle sue responsabilità.
Sdegnato, invece, il capo della minoranza repubblicana al senato Mitch McConnell in guerra totale con Trump. Su di lui una valanga di insulti da parte dell’ex presidente dopo che McConnell aveva usato parole di fuoco con Trump dopo aver votato per la sua assoluzione dall’impeachment. Il partito è spaccato. Trump ha detto che non darà il suo appoggio politico, che è molto pesante con i milioni di elettori che lo hanno votato, a tutti quei repubblicani che non seguiranno la sua linea. Minacce che hanno terrorizzato molti politici. McConnell non parla, si tiene a distanza da Trump e dai trumpiani. La sua lunga esperienza politica gli da quella sicurezza che lo ha reso leader del partito. Da vedere chi sarà il vincitore. Ma Mitch McConnell è di sicuro in una migliore posizione e non solo con il partito. Su Trump, infatti, aleggiano i pesanti problemi che l’ex presidente ha con la giustizia.
A New York le grandi manovre per la battaglia finale sono cominciate. In sordina, dando poco nell’occhio, i cannoni sono stati spostati in prima fila. La caccia a Donald Trump da parte della procura distrettuale di Manhattan sembra la trama di un legal-thriller scritto da John Grisham o Scott Turow. Ieri Cyrus Vance (ma si fa chiamare Cy) il procuratore distrettuale di Manhattan, figlio di Cyrus Vance Senior, segretario di Stato nell’amministrazione di Jimmy Carter, ha assunto a tempo determinato Mark Pomerantz, ex assistente procuratore federale specializzato in contabilità forense, attualmente uno dei partner della Paul Weiss, la più importante ditta legale di New York, forse degli Stati Uniti. A lui l’incarico di studiare e ricostruire le manovre finanziarie dell’ex presidente legate alla Trump Organization, la società capofila del conglomerato composto da altre 500 società.
La Trump Organization è una società privata fondata nel 1923 dalla nonna e dal padre dell’ex presidente della quale è il solo proprietario. I figli Donald Junior ed Eric sono vicepresidenti esecutivi dell’azienda. La figlia Ivanka, invece, è una “consulente”. Poiché la società è privata, i bilanci e le dichiarazioni dei redditi sono privati e Donald Trump non ha mai reso pubblico il suo stato patrimoniale. La decisione finale per mostrare le tasse alla procura distrettuale di Manhattan verrà esaminata dalla Corte Suprema Federale nei prossimi mesi, dopo che due corti federali in primo grado e in appello hanno convalidato la richiesta degli inquirenti. Le indagini vengono svolte perché nella richiesta di prestiti bancari da parte della Trump Organization il valore di alcune proprietà immobiliari date come garanzie collaterali a due banche sarebbe stato gonfiato e nello stesso tempo, per ridurre l’imponibile, le stesse proprietà sarebbero state deprezzate. Per gli inquirenti si tratta o di una truffa alle banche o di evasione fiscale. Una delle due istituzioni finanziarie che ha prestato i soldi, circa 240 milioni di dollari, è la Deutsche Bank, una banca tedesca che tra i maggiori clienti ha Oleg Deripaska, l’oligarca considerato il braccio economico di Putin. Questa inchiesta è anche condotta dalla Commissione Financial Services and Intelligence della Camera dei Rappresentanti per capire se ci siano state ingerenze del Cremlino nella concessione dei prestiti.
Gli inquirenti, inoltre, voglio sapere per quale motivo la figlia Ivanka avrebbe ottenuto centinaia di migliaia di dollari in consulenze e se queste consulenze siano state un altro espediente per gonfiare le spese di gestione e quindi pagare meno tasse, e se Ivanka le abbia denunciate nei redditi.