Distratti dal repentino e inatteso aumento del numero dei positivi al coronavirus (e alle conseguenze che potrebbero derivarne – c’è già chi parla di un nuovo lockdown in diversi paesi europei) sono passati quasi inosservati due eventi. Il primo è la presentazione del rapporto RED 2020 dell’UNEP, l’agenzia per l’Ambiente delle Nazioni Unite.
Giunto alla terza edizione, questo rapporto, prodotto da Plan Bleu, un centro di attività regionale dell’UNEP per il Mediterranean Action Plan (MAP), mostra un quadro allarmante. Impressionanti i numeri: il 15 per cento dei decessi nei paesi mediterranei sarebbe attribuibile a fattori ambientali, con oltre 228mila morti causati dall’inquinamento atmosferico. E ancora: 730 tonnellate di plastica riversate in mare ogni anno, una cattiva abitudine che mette a rischio la biodiversità del Mar Mediterraneo. Il tutto in un’area dove i cambiamenti climatici si stanno verificando molto più velocemente di quanto previsto.

Al punto che i ricercatori hanno deciso di scrivere anche una versione ridotta del report perché facesse da “sveglia per i leader politici” dei paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Consigli che sembrano più un ultimatum: “Se non si inverte la rotta i danni saranno irreversibili”. “I progressi ci sono stati, ma i risultati non sono stati sufficienti”, ha dichiarato François Berqui, direttore del Plan Bleu, che ha curato il rapporto.
“É vero – si legge nel documento – che sono stati compiuti progressi nelle risposte politiche e nelle azioni per gestire il mar Mediterraneo in modo sostenibile”. E anche che “i risultati sono positivi rispetto a scenari senza intervento”. Ma tutto questo “non è sufficiente per ridurre le pressioni più significative sull’ambiente e per salvaguardare il Mediterraneo per le generazioni presenti e future”.
Per questo, “sono necessari interventi urgenti e collettivi per consentire un cambiamento che possa salvaguardare” non solo il Mar Mediterraneo, ma tutto l’ambiente circostante. L’analisi dei ricercatori, infatti, ha riguardato non solo l’ambiente marino, ma tutti i paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo: sistemi strettamente legati tra loro che condividono un patrimonio comune, ma anche stili di vita e di valori analoghi e spesso vivono in condizioni climatiche analoghe e devono far fronte a rischi, forme di urbanizzazione ed erosione costiera simili.

Non mancano, però, le differenze tra i paesi del Nord del Mediterraneo (NMC) e i paesi del Mediterraneo meridionale e orientale (SEMC). Differenze che vanno dal grado di sviluppo alle dinamiche demografiche, dall’accesso alle risorse naturali alla tutela ambientale. A unire questi gruppi di paesi è la rapidità dei cambiamenti: gli NMC sono caratterizzati da un basso tasso di fertilità, una età media della popolazione piuttosto elevata e una percentuale relativamente bassa di popolazione attiva; al contrario i SEMC presentano una maggiore crescita della popolazione, mediamente più giovane e, di conseguenza, più attiva.
Sorprendenti le differenze economiche: i tassi di crescita del PIL nei Paesi SEMC sono superiori a quelli dei paesi mediterranei dell’UE, ma questo potrebbe non essere sufficiente a colmare il gap che li separa. Questa crescita, però, ha conseguenze rilevanti sull’ambiente dato che spesso è legata ad un utilizzo massiccio di fonti energetiche ad elevate emissioni di carbonio che causano disuguaglianze nella resilienza e nella capacità di adattamento ai cambiamenti climatici.
Nel bacino del Mediterraneo la temperatura media è aumentata di 1,54°C rispetto ai valori preindustriali (il riscaldamento è più evidente durante i mesi estivi con ondate di caldo più frequenti, soprattutto nelle città, per effetto “isola di calore urbana”). Anche i periodi di siccità stanno aumentando e così pure le forti precipitazioni: i ricercatori prevedono un calo delle precipitazioni estive di circa il 10-15% in alcune zone, (un aumento da 2 a 4°C implicherebbe una riduzione delle precipitazioni fino al 30% nell’Europa meridionale) e un aumento delle piogge che si intensificheranno del 10-20% in tutte le stagioni.

Tutto questo ha un impatto non indifferente: il rischio di incendi è aumentato e sono rilevanti le conseguenze sulla fauna selvatica nelle zone umide interne e sugli ecosistemi di acqua dolce. Entro il 2080, nei paesi del Mediterraneo si prevede che la produttività agricola potrebbe diminuire di oltre il 20% (con punte di quasi il 40% in paesi come Algeria e Marocco, minacciando la già difficile situazione alimentare di una popolazione in crescita).
L’erosione delle coste causata dai cambiamenti climatici potrebbe avere effetti rilevanti anche sul turismo, un altro dei fattori che accomuna i paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Il Mediterraneo è una delle destinazioni turistiche più ambite al mondo (360 milioni di arrivi nel 2017). Ma è anche una delle zone marittime più trafficate ed è inquinata da circa 730 tonnellate di rifiuti di plastica.
“Facendo luce sugli errori del passato, i risultati del rapporto possono guidare una rinascita verde nel Mediterraneo. Intraprendere percorsi di sviluppo più verdi ora può fermare le tendenze al degrado ambientale e salvare i risultati conquistati a fatica nell’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG)”, ha dichiarato Gaetano Leone, Coordinatore del Segretariato della Convenzione UNEP/MAP-Barcellona.

(pixabay – MatthewGollop)
“E’ in gioco il futuro del Mediterraneo. Negli ultimi mesi, il mondo si è chiesto come sarà il mondo in futuro”, ha detto François Guerquin, direttore di Plan Bleu. “Questo è il terzo rapporto SoED dal 2005 e da allora è cambiato molto poco. Se vogliamo proteggere il Mediterraneo per le generazioni presenti e future, non possiamo più permetterci passaggi frammentari. Dobbiamo intraprendere cambiamenti drastici nel nostro rapporto con la natura”.
Cambiamenti che potrebbero avere effetti geopolitici non indifferenti. I paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo ospitano il 6,7% della popolazione mondiale (numero in aumento: da circa 475 milioni del 2010 si è passati a 512 milioni di abitanti nel 2018). E quasi un terzo di loro vive sulle coste del mar Mediterraneo (e più del 70% in città). Una condizione che, alcuni decenni fa, portò alcuni politici locali a pensare di creare una unione “euro-mediterranea” (di fatto se non di diritto).

Oggi, tutto questo appare quasi impossibile. Così come appare improbabile che i paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo possano cambiare rotta e raggiungere gli SDGs, gli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile entro il 2030. Obiettivi nati con grandi speranze ma che la stessa Unione Europa sembra aver dimenticato: nell’accordo del 23 Ottobre con il quale i Ministri dell’ambiente dei paesi dell’Unione europea di questi obiettivi non c’è traccia: l’accordo sancito sulla nuova climate law, la legge sul clima europea, ha spostato l’obiettivo di ridurre (anzi di azzerare) le emissioni di CO2 al 2050. Una decisione che è una finta promessa di un nuovo green Deal: nel documento finale, i Ministri dell’ambiente hanno concordato una posizione negoziale parziale del Consiglio rimandando la decisione sul target 2030 alla riunione dei Capi di Stato il prossimo dicembre. “Nella riunione del 15 e 16 ottobre il Consiglio europeo ha discusso la comunicazione sul piano per l’obiettivo climatico 2030, compresa la proposta di un obiettivo di riduzione delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030, e ha deciso di tornare sulla questione nella riunione di dicembre al fine di concordare un nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2030 e di comunicare all’UNFCCC, entro la fine dell’anno, l’aggiornamento del contributo determinato a livello nazionale (NDC) dell’UE”, si legge nel testo definitivo. “La presidenza ritiene pertanto che il testo della proposta modificata della Commissione relativa a un nuovo obiettivo climatico per il 2030 (che figura nel doc. 10868/20) debba rimanere tra parentesi quadre fino all’adozione della decisione politica e che al momento non faccia quindi parte della proposta di compromesso”.
L’ennesimo rinvio camuffato da obiettivi più incisivi e con tappe intermedie difficili da rispettare. Ben sapendo che la maggior parte i paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo non saranno in grado di raggiungere questi obiettivi.