Da inizio novembre la missione permanente dell’Italia alle Nazioni Unite, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, ha organizzato al Palazzo di vetro la mostra “The Art of Living Together” (L’arte di vivere assieme). Quella di Sant’Egidio è un’organizzazione religiosa pro bono non governativa che fu fondata a Roma nel 1968; è dedicata all’assistenza delle persone con disabilità e alla promozione dei loro diritti.
La mostra si è conclusa la scorsa settimana con una cerimonia. Ha presentato opere di vari artisti dell’Art Lab di Sant’Egidio, handicappati e non, e la maggior parte italiani. L’Art lab fu fondato nel 1985 per offrire esperienze educative integrate e creative ai portatori di disabilità mentali, ai quali fino ad allora erano state negate simili esperienze. Nell’occasione sono stati anche celebrati i cinquant’anni della fondazione di Sant’Egidio e i quarant’anni della Legge Bersaglia, che fece diventare l’Italia il primo paese al mondo ad abolire manicomi, un fatto citato varie volte durante la serata come evidenza dell’attenzione storica del paese per i diritti dei disabili.
La mostra ha offerto ai “senza voce” (come sono stati definiti più volte) l’opportunità di farsi sentire e una piattaforma per esprimersi. Questa piattaforma è la creatività o, per essere precisi, l’arte contemporanea, una categoria talmente vasta e comprensiva da poter accogliere qualsiasi partecipante. Come ha detto Mario Giro, direttore dell’ufficio di relazioni internazionali di Sant’Egidio, “l’arte parla a tutti”. Come ho detto, il tema della mostra era “vivere assieme,” ovvero la coesistenza: il bisogno di trovare strade condivise malgrado la diversità di razza, religione, abilità e cultura e la capacità di riconoscere e apprezzare questa differenza fra di noi – un tema appropriato alla sede che la ospitava.
Il Palazzo di vetro offre tante esposizioni durante l’anno, di vari autori e su vari argomenti; in contemporanea con “The Art of Living Together” si è tenuta infatti una mostra di fotografia su “Persone in movimento”, in giro per il mondo. Il programma culturale delle Nazioni Unite è in effetti ciò che permette a un’istituzione così poco omogenea di rappresentarsi come una totalità, in gran parte tramite la promozione di punti di vista relativamente facili da accettare e che dunque attirano a molti degli stati membri. In riferimento all’argomento di questa mostra, la Convenzione per i diritti delle persone con disabilità fu approvata dall’ONU nel 2006 ed entrò in vigore nel 2008. La legittimazione e responsabilizzazione delle persone con disabilità è anche una priorità dell’attuale segretario generale.
La mostra, e altri progetti analoghi, non servono però solo a dare una conferma retorica delle organizzazioni con missioni “etiche”, come la Chiesa e l’ONU, che malgrado le buone intenzioni non riescono sempre a realizzarle. Quando, dopo l’incontro, ho detto a Giro, uno degli organizzatori, che speravo che la lotta per il riconoscimento dei disabili ricevesse impeto dalla sua mostra, mi ha risposto che la mostra era in sé un successo, in quanto aveva consentito a delle persone con disabilità di esprimersi creativamente. La creazione artistica – centinaia di artisti sono stati coinvolti nel progetto anche se solo una dozzina sono stati poi esposti nella mostra – suscita esperienze di libertà e di espressione personale che costituiscono una presa di coscienza, anche se limitata ed effimera. “Arteterapia” è una delle strategie centrale dell’Art Lab e utilizza l’arte come strumento d’inclusione in quanto incoraggia, come detto, la libera espressione individuale. L’Art Lab si propone di continuare a coinvolgere artisti e preparare mostre in giro per il mondo su temi ogni anno diversi.
Durante l’evento al Palazzo di Vetro uno degli artisti, Alessia de Montis, ha espresso la sua felicità per aver potuto partecipare alla mostra, citando una delle sue opere, “Listening”, nella quale la parola “ascolta” è scritta molte volte, in corsivo, con una vernice chiara, quasi bianca, sulla tela, in modo da coprire tutto lo spazio. L’intento era di dare importanza all’atto di ascoltare, anche se parlare è spesso più facile e più soddisfacente. Nel corso della serata il pubblico è stato incoraggiato varie volte a considerare l’importanza di atti apparentemente semplici e banali come la comprensione, la connessione e, appunto, l’ascolto. A volte incoraggiamenti del genere appaiono troppo riduttivi, però, chissà, potrebbero far riflettere sui gesti minimi ma socialmente complessi necessari per facilitare la coesistenza. Marianna Caprioletti, un’altra artista, ha scelto invece di riprodurre alcune opere classiche della tradizione artistica italiana, presentando delle rappresentazioni di Cupido e Venere ma invecchiati. In queste opere Caprioletti fa riferimento in modo diretto all’esclusione di certe categorie sociali e tipologie di corpo dal canone artistico, inventando la loro inclusione. Adesso che la gente vive più a lungo, dare più spazio al ruolo e alle caratteristiche degli anziani è una priorità non solo politica ma anche culturale.
In generale, le opere di questa mostra affrontavano una varietà di argomenti personali legati al problema della coesistenza. Parecchie le definirei poetiche e molte, cosa piuttosto rara, genuine: si avvertiva che erano nate da un desiderio autentico, forse un bisogno, di farle esistere. Tutte però condividevano un aspetto, ovvero che si trattava di rappresentazioni bidimensionali di solito su tela – dipinti, disegni, composizioni di diversi materiali. Non c’erano né sculture né fotografie né esperimenti con mezzi più nuovi come performance e film; e in effetti nell’intera produzione degli artisti dell’Art Lab ci sono pochi esempi in questi altri media (comunque non portati all’esposizione all’ONU). Al giorno d’oggi una mostra intitolata “The Art of Living Together” fa pensare all’arte impegnata, che va di moda, con artisti che vanno a lavorare in vere comunità per incorporare la coesistenza. In questo caso invece il “vivere assieme” non era lo strumento o lo sfondo dell’operazione creativa bensì il tema, l’aspirazione; l’arte esposta passava l’onere della cura e dell’accettazione al pubblico o all’istituzione, invece di realizzarli essa stessa.
La cerimonia di chiusura di “The Art of Living Together” ha confermato che l’idea di partenza era stata buona. Pur esponendo poche opere, la mostra è riuscita a trovare un equilibrio fra rigore estetico, valori astratti e soddisfazione personale. Le opere, originali e belle, erano piacevoli da guardare; però erano anche un invito a ricordarci delle voci, dei desideri, e della creatività dei membri della comunità dei disabili.
La mostra sarà esposta prossimamente al Consolato Italiano di New York, con una cerimonia di apertura lunedì il 26 novembre.