Ospedali bombardati, civili uccisi, bambini in fuga, donne violentate: la carneficina, in Siria, continua imperterrita. E non cenna a fermarsi, nonostante i moniti che continuano ad arrivare, come bollettini di guerra giornalieri, dalle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale. Che ora sta pensando, seppur in modo ancora preliminare, a intervenire direttamente con una missione di monitoraggio sotto l’egida dell’ONU. I fronti più caldi, del resto, sono sempre gli stessi. Da una parte Ghouta, la regione alle porte di Damasco. Dall’altra, la città di Afrin, a 60 chilometri da Aleppo.

In Ghouta, l’esercito di Basshar Al-Assad continua la propria avanzata ai danni delle milizie anti-regime. In migliaia sono i civili in fuga, attraverso i fragili corridoi umanitari imposti dalla risoluzione 2401 del Consiglio di Sicurezza. Spesso, però, i cordoni di quei corridoi non tengono e donne, uomini e bambini rimangono intrappolati nelle loro case, sotto i bombardamenti. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani, gli attacchi dell’esercito siriano hanno provocato dal 18 febbraio al 15 marzo più di 1200 vittime. Quasi 2 ogni ora. Il tutto, sotto gli occhi impotenti dell’ONU, la cui risoluzione per il cessate il fuoco di un mese non è stata di fatto mai rispettata.

Non solo Ghouta, però. L’altro genocidio annunciato sta avvenendo ad Afrin, l’enclave curda vittima del pesante assedio da parte delle truppe turche. L’Europarlamento ha chiesto nella giornata di giovedì 15 marzo al presidente della Turchia Recep Erdogan, di ritirare le proprie truppe da Afrin. Ma il leader turco ha risposto picche. E anzi, ha calcato la mano. Ricordando che quasi il 70% del territorio di Afrin è già nelle mani del suo esercito, e replicando duramente: “Qualsiasi cosa dicano ci entra da un orecchio ed esce dall’altro. Non vi esaltate. Noi non lasceremo (la Siria) finché il nostro compito non sarà concluso. Dovreste saperlo”.

La situazione, quindi, rimane gravissima. Dal punto di vista umanitario si tratta della carneficina più grave di questo inizio 2018. E nella mattinata di venerdì 16 marzo, a Ginevra, la portavoce dell’agenzia ONU UN High Commisioner for Human Rights, Ravina Shamdasani, ha lanciato un nuovo allarme, l’ennesimo, evidenziando come continuino ad essere “fortemente critici” i report che arrivano dalla città di Afrin: “C’è una grande scarsità d’acqua, dovuta alla distruzione di una stazione di pompaggio e controllo delle risorse idriche, segnalataci, per mano delle forze a guida turca”, ha detto Shamdasani. Un monito a cui ha fatto eco, dal Palazzo di Vetro di New York, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres: “Sono profondamente preoccupato del fatto che la risoluzione 2401, relativa alla cessazione delle ostilità in tutta la Siria, non sia stata attuata” ha dichiarato Guterres, evidenziando: “Esorto tutte le parti a proteggere i civili. Qualsiasi evacuazione deve essere sicura, volontaria e in stretta conformità con gli standard internazionali previsti dalle leggi umanitarie e sui diritti umani”. Non solo, il Segretario Generale ha inoltre evidenziato che è “fondamentale che a tutte queste persone sia concesso di tornare in condizioni di sicurezza e dignità, alle loro case, non appena la situazione lo consenta. Invito il Consiglio di sicurezza a prendere posizione e ad adottare misure concrete per porre fine urgentemente a questa tragedia”. Guterres ha poi precisato che “le Nazioni Unite e i suoi partner sono pienamente mobilitati per portare soccorsi immediati a tutti coloro che ne hanno bisogno”, ha invitato “tutte le parti a garantire un accesso umanitario sicuro e senza ostacoli”. E ha concluso: “La situazione in Siria richiede un’azione rapida che protegga i civili, allievi la sofferenza dei più deboli, prevenga un’ulteriore situazione di instabilità, affronti le cause profonde del conflitto e forgi, finalmente, una soluzione politica duratura in linea con la risoluzione 2254”.
Gli obiettivi dell’ONU, insomma, sono chiari. E li ha ribaditi anche l’inviato speciale in Siria, Staffan De Mistura, intervenuto in videoconferenza in una seduta del Consiglio di Sicurezza venerdì 16 marzo: “Le sofferenze legate alle escalation in Ghouta sono diventate insopportabili e i civili devono essere protetti”, ha detto nel suo briefing, evidenziando: “Ci sono confermate violazioni nell’uso di armi, mentre le donne siriane sono state esposte ad aggressioni sessuali continue durante la fuga”. Per De Mistura, “la nostra bussola deve essere quella delle persone siriane e della protezione dei civili colpiti dal conflitto in corso. Qualunque cosa stiamo facendo, qualunque cosa faremo, qualsiasi ruolo di facilitazione vogliamo ritagliarci, lo dobbiamo interpretare pensando a questo”. Secondo l’inviato speciale, la risoluzione 2401 “non è un menu alla carta, che si può rispettare solo su singole voci”, ma deve essere rispettata “a pieno” dalle parti a cui è stata indirizzata. Per questo “chiedo che la risoluzione venga implementata”, che “il cessate il fuoco venga rispettato in tutto il territorio siriano”, e che si smetta la carneficina di “dozzine di feriti”, che “continuano a non ricevere assistenza medica a causa dei bombardamenti”.
Se quindi è chiaro cosa si deve fare, il dubbio rimane sul come farlo. Perché nei corridoi del Palazzo di Vetro c’è chi, come la Francia, sta pensando a una missione di monitoraggio e controllo proprio in Ghouta, per intervenire direttamente là dove le notizie sono ormai tragicamente chiare: “È un suggerimento di cui ho sentito parlare” ha commentato l’ambasciatore del Regno Unito all’ONU Jonathan Allen in uno stakeout a margine del Consiglio di Sicurezza di venerdì 16 marzo, evidenziando: “Non so cosa abbiano davvero in mente esattamente, ma è una soluzione di cui vorremmo discutere. Stiamo vedendo tutti ciò che sta succedendo in Siria e abbiamo bisogno di persone che intervengano per porre fine ai bombardamenti”.