AGGIORNAMENTO Venerdì 5pm: Dopo la lunga attesa di oggi, dopo continui rinvii, il Consiglio di Sicurezza ha rimandato il voto a domani, sabato 24, “giorno 3” alle ore 12pm. “Ci siamo andati molto vicini durante il giorno, ma ancora non siamo stati capaci di riempire il gap rimanente”, ha dichiarato Olof Skoog, l’ambasciatore svedese, alla stampa, “lavoreremo stanotte e voteremo domani”. Speriamo che però questa notte porti consiglio al Consiglio. E intanto, il disastro in Ghouta orientale continua.
Due giorni di fuoco diplomatico a New York. Altri due giorni di bagno di sangue in Siria, in Ghouta orientale. Giovedì 22 febbraio al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite è iniziata la discussione sulla bozza di risoluzione proposta da Svezia e Kuwait, che avevano chiesto con urgenza una tregua di un mese in Siria, entro 72 ore dal voto, a seguito della recente escalation nel Ghouta est, sobborgo in mano ai ribelli alle porte di Damasco, dove si contano in pochi giorni più di 400 civili uccisi, compresi 95 bambini. “La nuova Aleppo”, l’hanno definita i partner locali delle ong internazionali. Un inferno in terra per cui gli osservatori ONU hanno fatto sapere di non avere nemmeno “più parole per descrivere quanto sta accadendo a Ghouta e in Siria”.
Proprio il 22 febbraio, nella seduta del Consiglio di Sicurezza, Mark Lowcock (UN Emergency Relief Coordinator) è stato protagonista in video-conference da Ginevra di un intervento struggente. Non è la prima volta, Lowcock già sulla tragedia umanitaria in Yemen aveva indirizzato al Consiglio parole taglienti, molto dirette. E sulla strage in Siria non è stato da meno. Ha implorato “di cessare le ostilità, ne abbiamo bisogno disperatamente” e ha evidenziato come “milioni di bambini, donne e uomini maltrattati e assillati dipendono dall’azione significativa di questo Consiglio”.
Poi ha detto chiaramente ai membri del Consiglio di essere ancora in tempo per “salvare delle vite umane”. E di farlo mentre in Siria erano (e sono) in corso ore folli, che di umano non hanno nulla, in cui “la maggior parte dei raid aerei ha intenzionalmente preso di mira edifici residenziali civili. Intere famiglie sono morte sotto le macerie. Vi chiedo, mentre le battaglie si intensificano, di agire per fermare le operazioni sistematiche contro i civili e aprire le strade per l’assistenza umanitaria”.
In realtà, alla fine, il Consiglio di Sicurezza giovedì 22 febbraio non ha trovato nessuna quadra. Se USA, Francia e Gran Bretagna hanno chiesto l’approvazione immediata della risoluzione, la Russia ha chiesto modifiche al testo, che esclude dal cessate il fuoco l’Is, al-Qaeda e Jabhat al-Nusra. Una risoluzione insufficiente per i russi alleati nella regione a Bashar al-Assad. Russi che, attraverso il capo della diplomazia Sergei Lavrov, hanno chiarito come vadano esclusi dal cessate il fuoco anche il gruppo Hayat Tahrir al-Sham (alleato di al-Qaeda e presenta nella Ghouta orientale) e i gruppi ribelli che, dicono i russi, operano nella regione proprio con Hayat Tahrir al-Sham, in particolare nelle aree in mano ai lealisti al governo.

“Quello di cui abbiamo bisogno non sono simboli, non sono decisioni prese solo per prenderle. Abbiamo bisogno di misure calibrate con quelle che sono le condizioni di questo territorio” ha rimarcato nella seduta di giovedì 22 l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite all’ONU Vassily Nebenzia.
Passa “il giorno 1”, ma non passano le tensioni diplomatiche. Un’ulteriore seduta del Consiglio di Sicurezza, prevista nella mattinata di venerdì 23 febbraio, è stata costantemente rinviata. Prima alle 11am. Poi alle 12pm. Infine alle 2.30pm. Segno di come le trattative tra le parti continuino. E di come l’ombra di un nuovo veto russo, che sarebbe il decimo per bloccare risoluzioni contro Damasco, abbia accompagnato le difficili 48 ore all’ONU, nuovamente impotente sul fronte siriano. Così come inascoltati sono gli appelli dei potenti del mondo. Gli ultimi, quelli di Angela Merkel ed Emmanuel Macron: la cancelliera tedesca e il presidente francese hanno inviato una lettera formale a Vladimir Putin, condannando “nei termini più duri possibili gli indiscriminati e deliberati attacchi alla popolazione civile, incluso un gran numero di bambini” in Ghouta est, e chiedendo al presidente russo di supportare la risoluzione ONU: “È ora il tempo di agire” hanno scritto Merkel e Macron. Ma le tensioni continuano e in Ghouta si continua a morire.
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