L’ambasciatrice degli USA alle Nazioni Unite Nikki Haley lo ha voluto dire chiaro e tondo: il missile lanciato dai ribelli houthi in Yemen in direzione Riyad, rivolto verso l’aeroporto internazionale della capitale araba il 4 novembre, “è stato fabbricato dall’Iran”. E ora l’accusa arriva con le prove. Prove definite “schiaccianti, assolute, innegabili”. “Undeniable” appunto, innegabili come secondo gli USA lo sono le violazioni delle risoluzioni ONU che l’Iran ha commesso riguardo l’uso di armi nucleari. E che ora le Nazioni Unite dovrebbero contrastare.
Con una conferenza stampa dura, spigolosa, inedita, in “stile Haley”, a Washington l’ambasciatrice degli USA alle Nazioni Unite Nikki Haley ha chiesto alla “comunità internazionale di aprire gli occhi” su una minaccia, quella iraniana, che non è solo rivolta agli Stati Uniti e ai suoi alleati, “ma al mondo intero”. Alle spalle della (poco) diplomatica ambasciatrice, i resti carbonizzati di un missile balistico Qiam a corto raggio, recuperato dagli USA e sul quale si trova “il logo S.B.I., riconducibile all’industria d’armi iranaiana “Shahid Bagheri Industries”. È il missile, secondo Haley e il Pentagono, lanciato verso l’Arabia Saudita dallo Yemen il 4 novembre, intercettato dai sistemi antimissilistici sauditi: “È stato lanciato un missile contro la capitale di un Paese che fa parte del G20. È come se fosse stato diretto verso JFK a New York, o verso Parigi in Francia. Pensateci”, ha proseguito Haley. Lancio che, e qui arriva la difesa degli alleati sauditi (gli USA fanno parte della coalizione araba nel conflitto), “ha portato l’Arabia Saudita a imporre il blocco (di porti e aeroporti, ndr) che ha esacerbato la crisi umanitaria in Yemen”.
Nella conferenza stampa, durata una ventina di minuti, Haley ha parlato di fronte al missile Quiam, ma anche ad altri resti di armi che, per il Pentagono, sono state realizzate dall’Iran: materiali provenienti da un missile antitank, un drone kamikaze e una “Shark-33 explosive boat”. “Gli iraniani non dovrebbero poter vendere missili o materiali di questo genere”. Tutte queste armi “includono parti realizzate dall’Iran, alcune dall’industria gestita dalla difesa e quindi dal Governo iraniano”. Una prova “che l’Iran sta sfidando l’intera comunità internazionale”.
Non è la prima volta che l’ambasciatrice USA alle Nazioni Unite attacca l’Iran, seguendo fedelmente la linea dell’amministrazione Trump. Per questo il messaggio, di per sé, non sciocca. Sorprendono però le modalità e il fatto che questo materiale sia stato declassificato e presentato in modo così plateale alla stampa: “Come sapete, non declassifichiamo spesso questo tipo di equipaggiamento militare recuperato da questi attacchi, ma oggi stiamo compiendo un passo straordinario nel presentarlo qui, apertamente”, ha detto Haley. “Lo abbiamo fatto per un singolo obiettivo: il regime iraniano non può permettersi di perseguire nel suo comportamento contrario alle leggi così a lungo”.
Haley si è appellata al Consiglio di Sicurezza ONU, confermando che saranno necessari “molti step” per risolvere la situazione. Ha detto che il presidente Donald Trump è impegnato per continuare a collaborare con il Congresso riguardo i rapporti con l’Iran. Ha evidenziato che sono “tante le risoluzioni che Iran sta violando: soprattutto la 2231”, ma anche la 2216, la 1559 e la 1701. Poi ha citato un recente report ONU a firma del Segretario Generale Antonio Guterres, nel quale i funzionari ONU hanno evidenziato in via confidenziale “l’origine comune” dei due missili lanciati nel mese di luglio e il 4 novembre verso l’aeroporto di Riyad, pur non confermando che quei missili fossero entrambi fabbricati dall’Iran.
La dura posizione di Haley ha provocato una lunga serie di reazioni. Innanzitutto dall’Iran stesso che con il responsabile della comunicazione della missione iraniana all’ONU Alireza Miryousefi ha rigettato “categoricamente le accuse, accuse infondate e allo stesso tempo irresponsabili, provocatorie e distruttive”. Ma non solo dall’Iran. Perché, mentre in Yemen centinaia di migliaia di persone continuano a morire tra carestia e colera, vittime incolpevoli di un gioco di guerra più grande di loro, gli interessi continuano a gonfiarsi. L’ambasciatrice USA ha detto che gli Stati Uniti hanno le prove che armi come quelle lanciate dagli houthi e “fabbricate dall’Iran”, siano state usate anche in Libano, Siria, Iraq. Haley lo ha ripetuto in due occasioni distinte durante la conferenza, e con lo stesso ordine: “Libia, Siria, Iraq”. Ed è proprio la Siria, secondo le voci che trapelano nelle ultime ore, che potrebbe diventare il nuovo campo di guerra, se guerra ci sarà. Anche se non si sa ancora chi potrebbe volerle ricominciare.
Certo è che quello di Haley si è rivelato un assist, probabilmente volontario, alle due parti più vicine in questo momento all’amministrazione Trump: Israele e Arabia Saudita. “Le rivelazioni di oggi hanno dimostrato ancora una volta la pericolosa presenza dell’Iran nel Medio Oriente, una presenza che sta crescendo, nonostante i loro tentativi di ingannare il mondo”, ha detto l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Danon, che ha evidenziato: “La minaccia dei missili iraniani si estende dal Golfo Persico, attraverso lo Yemen, la Siria e fino in Libano e Gaza. I pericoli che provengono dall’Iran sono inaccettabili ed è imperativo che le Nazioni Unite e la comunità internazionale agiscano immediatamente per garantire la fine di queste minacce”. A Danny Danon ha fatto eco l’agenzia stampa dell’Arabia Saudita. Che ha espresso soddisfazione per il fatto che “il rapporto ONU affermi l’ostilità dell’intervento iraniano e il suo sostegno alla milizia terroristica degli houthi, tramite avanzate e pericolose armi missilistiche che minacciano la sicurezza e la stabilità del regno e della regione”. Intanto in Yemen si continua a morire. E le prime settimane del 2018 si preannunciano infuocate.