Il disprezzo per il valore delle vite umane, in Yemen, continua. E parallelamente non si ferma a pieno il blocco di porti e aeroporti nel Paese su decisione della coalizione saudita, che solo negli scorsi giorni ha parzialmente riaperto l’accesso agli aiuti umanitari al porto di Hodeida. Una decisione che però non è stata e non è considerata sufficiente a fermare una delle più gravi tragedie degli ultimi decenni, perché il blocco nella realtà dei fatti continua. A Sanaa, capitale yemenita, da tempo non esistono più regole e i bombardamenti sono all’ordine del giorno. Secondo le organizzazioni umanitarie ONU sono 20,7 milioni le persone che in Yemen hanno bisogno di protezione oggi, 9,8 delle quali necessitano di grave assistenza umanitaria.

Under-Secretary-General for Humanitarian Affairs and
Emergency Relief Coordinator (Foto Twitter: @ItalyUN_NY)
I numeri sono drammatici, e spaventano. Le agenzie delle Nazioni Unite, però, non si può dire che non lo abbiano detto. O che quantomeno non stiano facendo oggi quanto sia in loro potere di fare per trovare una soluzione al dramma: denunciare lo scempio in corso, in tutte le lingue e in tutte le salse, ogni volta che possono. Già a margine dell’ultimo Consiglio di Sicurezza sul fronte yemenita, l’8 novembre 2017, l’Under-Secretary-General for Humanitarian Affairs ONU, Mark Lowcock era stato durissimo: “I bambini in Yemen muoiono ogni secondo”, aveva detto. “Le persone in Yemen moriranno a milioni se non si porrà fine al blocco del porto di Hodeida agli accessi umanitari”, aveva proseguito. Uno schiaffo a cui il Consiglio di Sicurezza aveva risposto con inspiegabile timidezza: un semplice “Press Elements”, un documento congiunto nel quale non si era nemmeno trovato il coraggio di inserire la parola “blockade”, in riferimento alla decisione della coalizione saudita (della quale fanno parte anche gli Stati Uniti) di chiudere gli accessi umanitari nel Paese.

Ora, alla vigilia di un nuovo Consiglio di Sicurezza previsto da calendario per martedì 5 dicembre, le agenzie ONU e il Segretario Generale Antonio Guterres sembrano volersi attendersi qualcosa di più dal loro Consiglio. Lo stanno facendo capire, forse, attraverso una serie di messaggi lanciati su più fronti. Attraverso un monito giunto innanzitutto dallo stesso Guterres, che ha espresso preoccupazione in uno statement: “Le ambulanze e le squadre mediche non possono avere accesso ai luoghi in cui ci sono feriti e le persone non possono uscire di casa per comprare cibo e prodotti di prima necessità. Gli operatori umanitari non sono in grado di viaggiare e attuare programmi di salvataggio vitali in un momento in cui i milioni di yemeniti si affidano all’assistenza per sopravvivere”. Una preoccupazione confermata anche da Jamie McGoldrick (Humanitarian Coordinator for Yemen), che ha chiesto una pausa umanitaria per garantire i soccorsi più urgenti: “Le strade di Sanaa sono diventate campi di battaglia e le persone sono intrappolate nelle loro case, incapaci di spostarsi in cerca di sicurezza e di cure mediche, e di accedere a beni di prima necessità come cibo, acqua sicura, carburante. Chiedo a tutte le parti in conflitto di attivare una paura umanitaria martedì 5 dicembre dalle 10am alle 4pm locali”.

Un appello alla pace ribadito, in modo congiunto, anche dai titolari di tutte le principali organizzazioni ONU: dal direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus per World Health Organization, ad Achim Steiner per UN Development Programme, da Filippo Grandi di UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), all’Executive Director UNICEF Anthony Lake, passando per l’Executive Director WFP David Beasley, così come dal Director General IOM William Lacy Swing e dal già citato Under Secretary for Humanitarian Affairs ONU Mark Lowcock. Il monito delle agenzie è chiaro: la parziale riapertura dei porti negli scorsi giorni non è sufficiente, si deve fare qualcosa di più per scongiurare il massacro. “Data la vastità della crisi umanitaria in Yemen, questa parziale riapertura del blocco rallenta il collasso della tragedia umanitaria di massa che sta costando milioni di vite, ma non lo impedisce”, hanno detto i leader delle Nazioni Unite, aggiungendo: “Senza l’urgente ripresa delle importazioni commerciali, in particolare cibo, carburante e medicinali, milioni di bambini, donne e uomini rischiano la fame, le malattie e la morte”.

Intanto a Sanaa continua a succedere di tutto. Sabato 2 dicembre l’ex presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, aveva annunciato in televisione di aver deciso di cambiare fazione nel conflitto in corso, chiedendo alla popolazione di ribellarsi alle milizie Houthi. Milizie che lui stesso aveva supportato nel 2014, contro l’allora presidente Abdrabbuh Mansur Hadi e che oggi presidiano la capitale Sanaa. Una posizione che secondo Al Jazeera sarebbe stata presa a seguito di un accordo stretto da Saleh, con l’Arabia Saudita, corresponsabile del conflitto in corso. Una posizione che però lo stesso Saleh ha pagato rapidamente con la morte: lunedì 4 dicembre, infatti, gli Houthi hanno mostrato in televisione le immagini di un corpo che è sembrato essere quello dell’ex presidente Saleh, con una vistosa ferita alla testa. Una morte improvvisa per mano dei ribelli, per uno degli attori politici yemeniti più silenziosi, ma non per questo meno importanti. Un conflitto drammatico che continua a proseguire senza regole e in cui a pagare sono sempre le persone comuni. E sul quale il Consiglio di Sicurezza, prima o poi, dovrà dare un segnale.
UPDATE
Nella giornata di martedì 5 dicembre, il Consiglio di Sicurezza si è riunito per parlare di Yemen e si è espresso con un nuovo documento condiviso. Nei “Press Elements” votati all’unanimità a porte chiuse, manca ancora una volta una richiesta esplicita e diretta alla coalizione saudita di eliminare il “blockade”, il blocco per il quale milioni di civili rischiano la vita oggi in Yemen. Nel documento si legge piuttosto che il Consiglio di Sicurezza reitera il sostegno e il supporto all’inviato speciale ONU Ismail Ould Cheick Ahmed, chiede un’immediata de-escalation del conflitto “a tutte le parti coinvolte” e chiede “a tutte le parti di garantire un “sicuro, rapido e privo di ogni ostacolo” accesso commerciale e umanitario nel Paese, a sostegno della popolazione yemenita, “attraverso tutti i porti e gli aeroporti in Yemen, in particolare Hodeidah e Sanaa”.
La parola “Saudi Arabia”, come già durante l’ultimo “Press Elements” del Consiglio di Sicurezza di novembre, emerge solo alla fine del documento. In un passaggio infatti i membri del Consiglio di Sicurezza esprimono la loro “forte condanna all’attacco missilistico” verso Ryad, lanciato dallo Yemen nelle scorse settimane e intercettato dal sistema anti-missilistico saudita.
Intanto, però, nel Paese yemenita si continua a morire. In un annuncio di mercoledì 6 dicembre, “Medici senza Frontiere” ha lanciato l’allarme: “Le parti coinvolte nel conflitto in Yemen stanno mostrando un nuovo livello di disprezzo per i civili: i pesanti combattimenti e gli attacchi aerei continui hanno paralizzato Sana’a, lasciando i feriti senza un accesso sicuro alle cure mediche, mentre il blocco paralizza e impedisce l’ingresso di rifornimenti vitali nel paese”, si legge nel comunicato stampa. Il blocco agli accessi umanitari deciso dalla coalizione saudita sta facendo aumentare anche il costo del carburante, creando non pochi problemi: “Il blocco e i recenti combattimenti hanno avuto un effetto devastante sulla missione medica nello Yemen”, ha affermato infatti Djoen Besselink, capo missione di MSF. “L’aumento del costo del carburante, ad esempio significa che le persone devono pagare di più per il trasporto negli ospedali, o scegliere tra andare in ospedale e comprare cibo per il resto delle loro famiglie. Le strutture ospedaliere stesse stanno lottando per pagare i costi del carburante, portando così alcuni dei pochi ospedali funzionali rimasti, a chiudere”.