Oltre ad Africa, Libia e migranti, un altro focus della presidenza italiana del Consiglio di Sicurezza ONU, riservato – come da massima latina dulcis in fundo – per l’ultimo giorno, il tema della protezione del cultural heritage. Un tema che più italiano non si può: e non solo perché il Belpaese è per antonomasia terra di cultura, bellezza e arte che non ha pari al mondo, ma anche perché l’Italia è stata promotrice del progetto internazionale “Unite4Heritage”, presentato all’ONU nel 2015 dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini (che lo scorso ottobre è stato nuovamente ospite d’onore al Palazzo di Vetro per parlare del tema), teso alla protezione del patrimonio culturale in aree di conflitto o minacciato da gruppi terroristici. Un’iniziativa, portata avanti in cooperazione con l’UNESCO, supportata e implementata dalla storica risoluzione approvata lo scorso marzo su iniziativa italo-francese.
Sì, perché in prima linea sul tema non c’è solo l’Italia, che pure ha giocato un indiscusso ruolo da apripista visto che, tra le altre cose, è stata il primo Paese a creare una vera e propria unità preposta alla difesa del patrimonio artistico-culturale, composta da personale dell’Arma dei Carabinieri, e da 30 tecnici italiani con varie specializzazioni. Anche la Francia ha giocato un ruolo chiave, come facilmente si constata dalla paternità binazionale della suddetta risoluzione. Un impegno non casuale, considerando che, lo scorso 10 novembre, proprio la Francia ha espresso il nuovo Direttore Generale dell’UNESCO, l’ex ministro della Cultura dal Febbraio 2016 al Marzo 2017 Audrey Azoulay.
Alla Azoulay, ospite alla sessione del Consiglio di Sicurezza, tutti gli Stati membri hanno indirizzato le proprie congratulazioni per il nuovo incarico, che giunge in un periodo storico in cui, proprio grazie alla risoluzione italo-francese, il ruolo dell’UNESCO nella difesa del patrimonio artistico nel mondo a 360 gradi è sempre più influente. Perché, come ha sottolineato l’architetto Alessandro Bianchi, a lungo project leader del ministero della Cultura italiano, nel corso degli ultimi 25 anni il panorama internazionale su questo argomento è molto cambiato. Oggi c’è una maggior consapevolezza della stretta relazione esistente tra i temi relativi al cultural heritage e quelli che riguardano la pace, la sicurezza globale e la lotta al terrorismo. Un argomento che peraltro – ha sottolineato Bianchi – pertiene al concetto stesso di identità nazionale e collettiva, ed è proprio per la loro natura di simboli identitari che in molti casi i monumenti artistici vengono distrutti durante i conflitti o per mano di gruppi terroristici. Si pensi – ha osservato Bianchi – a quanto accaduto non solo a Palmira, ma anche nel centro di Mosul, dove Daesh ha abbattuto decine di edifici perché simboli della comunità shiita.
Quello della difesa del cultural heritage, insomma, è un tema che ne sfiora tanti altri: non da ultimo quello dell’educazione, che, ha ricordato Azoulay, è un’arma di prevenzione fondamentale, che sia diretta alle nuove generazioni o al mondo della comunicazione e dei media. Per non parlare, poi, delle ricadute sul lato giudiziario e del contrasto alle reti di criminalità organizzata: perché, come hanno ricordato tutti i relatori, in primis Jürgen Stock, segretario generale dell’Interpol, attraverso il traffico di opere e oggetti d’arte tali reti – comprese quelle terroristiche – traggono profitto per le proprie attività. Stock ha individuato, in particolare, tre modalità per continuare l’implementazione della risoluzione: innanzitutto attuando l’imperativo di un sempre più efficace scambio di informazioni tra gli enti preposti e gli Stati membri sulle rotte del traffico di opere d’arte e sul modus operandi delle organizzazioni terroristiche e criminali; quindi, creando unità di polizia dedicate alla protezione del patrimonio culturale – seguendo dunque l’esempio dell’Italia –; e infine migliorando la cooperazione e le investigazioni specializzate nel campo, anche attraverso una sempre più efficace raccolta di dati.
Il cammino, insomma, è tracciato, e lo è proprio a partire dalla risoluzione dello scorso marzo. Per quanto riguarda la sua implementazione, come ha sottolineato lo stesso Segretario Generale nel suo report, dato il periodo relativamente recente il cui il documento è stata adottato, è difficile tracciare un bilancio. Di certo, come hanno sottolineato gli Stati membri, molte iniziative internazionali sono state proposte allo scopo di fortificare la protezione del patrimonio artistico in aree di conflitto, e di combattere il traffico di opere d’arte con strumenti adeguati. Alcuni Paesi, ad esempio, hanno seguito l’esempio dell’Italia nel creare unità dedicate all’obiettivo, come il Messico, nell’ottobre 2015, o la Svezia, nell’aprile 2016.
Di certo, nonostante gli sforzi internazionali in questo senso, il patrimonio culturale mondiale resta altamente minacciato. Di 82 siti dichiarati dall’UNESCO patrimonio culturale dell’umanità, ancora 17 sono contenuti nella lista di quelli in pericolo a causa di conflitti armati. In Iraq, i siti di Hatra e Ashur hanno subito consistenti danni. Anche Nimrud e la Città Antica di Ninive sono stati colpiti, e altri 100 siti culturali in Iraq sono stati danneggiati o distrutti. Il bilancio che riguarda la Siria è ancora più severo: tutti i 6 siti dichiarati dall’UNESCO patrimonio mondiale sono stati gravemente colpiti dal conflitto armato. Componenti chiave del sito di Palmira sono stati deliberatamente distrutti da Desh. In Yemen, tra le vittime del conflitto si possono enumerare la Città Antica di Sana’a e la città storica di Zabid, oltre alla Città Antica di Sa’adah. In Libia, tra il 2014 e il 2015 anche la Città Antica di Tripoli ha perso il suo prezioso aspetto originario a causa dei combattimenti, come anche il sito di Sabratha nel 2017. Non solo: nonostante le continue perdite territoriali subite da Daesh in Iraq e in Siria, il traffico di opere d’arte originarie di questi Paesi continua, così come la distruzione di siti che si trovano in aree controllate dai terroristi.
L’argomento, insomma, è di calda attualità. E il rilievo garantito dalla presidenza italiana del Consiglio di Sicurezza è un segno eloquente di quanto su questo tema la leadership di Roma, tra i Paesi indiscutibilmente più ricchi a livello artistico e culturale (anche se, come già abbiamo avuto modo di rilevare, non si dimostra sempre all’altezza di difenderlo e valorizzarlo come dovrebbe), sia non solo giustificata, ma anche doverosa. Lo ha rimarcato lo stesso ambasciatore Sebastiano Cardi durante lo stakeout conclusivo della sua presidenza del Consiglio di Sicurezza. Stakeout che è stato anche l’occasione per tracciare un breve bilancio, su sollecitazione dai giornalisti, di questo mese che l’Ambasciatore ha legittimamente definito particolarmente denso. “Abbiamo sempre cercato di trovare l’unità del Consiglio, che è il più importante obiettivo da raggiungere per una presidenza. Non è stato sempre possibile, ma pensiamo di poter essere soddisfatti del nostro lavoro per aver portato specialmente il Mediterraneo e naturalmente la Libia al centro di alcune delle sessioni del Consiglio”, ha spiegato Cardi, che ha ribadito l’impegno dell’Italia nel dossier libico sia dal punto di vista politico che umanitario. In questo quadro, il tema del cultural heritage è stato sicuramente uno di quelli su cui la targa italiana è risaltata in modo più evidente. La speranza espressa dallo stesso Ambasciatore, tuttavia, è che molti altri Paesi seguano l’esempio di Roma nell’inserire il dossier tra le prime prime pagine della fitta agenda del Consiglio di Sicurezza. Proseguendo così il cammino inaugurato da quello che a pieno diritto, nonostante tutte le difficoltà del caso, viene unanimamente soprannominato il “Belpaese”.