“We will take care of it”. Ce ne prenderemo cura. Il presidente statunitense Donald Trump ha commentato così, secco e in sei parole, il nuovo lancio di un missile balistico intercontinentale (ICBM) da parte della Corea del Nord, avvenuto nella giornata di martedì 28 novembre. Si tratta del primo test da quello registratosi il 15 settembre, quando alla vigilia della 72esima Assemblea Generale ONU, un missile aveva sorvolato i cieli del Giappone prima di finire in mare, dopo un viaggio di circa 4mila chilometri.
Se il lancio di settembre era stato il più “lungo” di sempre, il missile di novembre è stato viceversa il “più alto” mai lanciato finora: secondo le analisi del Pentagono, infatti, sarebbe volato per mille chilometri, toccando un’altezza massima (un apogeo) di 4.500 chilometri. Il missile è stato fatto partire da un lanciatore mobile, probabilmente al largo di Pyongyang e nel mezzo della notte nord-coreana. Non è chiaro, però, se fosse potenzialmente capace di miniaturizzare un’eventuale bomba nucleare.
La nuova pesantissima provocazione targata Kim Jong Un arriva a poche ore dalla decisione del presidente USA Donald Trump di inserire la Corea del Nord tra i cosiddetti “stati sponsor del terrorismo internazionale”, il 20 novembre. E riapre i giochi anche alle Nazioni Unite. Che nella giornata di mercoledì 29 novembre, alle 4.30pm ora locale (22.30 in Italia), si riuniscono in un Consiglio di Sicurezza straordinario, chiesto dall’ambasciatrice USA Nikki Haley, affiancata da Giappone e Corea del Sud.
Quando si parla di ONU e Pyongyang, i fattori che emergono sono di solito due. Da una parte la lunga, prevedibile, sequela di “we strongly condemn”, pronunciata dagli ambasciatori membri del Consiglio di Sicurezza, prima, durante e dopo la seduta straordinaria in questione. Dall’altra invece la scontata riflessione sulle sanzioni, che per essere efficaci dovrebbero essere sempre rispettate (cosa non sempre successa in passato invece e sulla quale l’Italia, presiedendo la commissione 1718, sta lavorando). E che in ogni caso non devono finire per colpire il target sbagliato: il popolo nordcoreano, i cui diritti umani vanno rispettati comunque, nonostante le disumane intenzioni del dittatore Kim Jong Un.
Dopo questo nuovo lancio missilistico, però, ai soliti due fattori se ne potrebbe aggiungere un terzo. O meglio, forse sarebbe giunto il momento che se ne aggiungesse, un terzo. Ci riferiamo all’Articolo 32 della Carta ONU. Secondo questa “regola del gioco” delle Nazioni Unite, infatti, ogni parte coinvolta in una disputa o in una crisi internazionale dovrebbe essere convocata dal Consiglio di Sicurezza a esprimersi nel merito. L’obiettivo è duplice. Innanzitutto per permettere ai membri dell’aula di sentire tutte le “voci”, per poter poi prendere posizione. In secondo luogo per costringere chi è considerato, tra le due parti in contrasto, più colpevole dell’altra, a motivare ufficialmente, nel tempio della diplomazia, le proprie azioni. In passato questo Articolo è stato rispettato, e in modo quasi naturale. Quando si acuirono le tensioni tra Israele e Stato di Palestina ad esempio, i due ambasciatori intervennero al Consiglio di Sicurezza. Lo stesso avvenne per la crisi dei rifugiati in Myanmar, più di recente. E in numerose altre occasioni. Perché quindi con la crisi missilistica di Pyongyang questo non si è mai verificato? Applicare l’Articolo 32 della Carta ONU permetterebbe da una parte al Consiglio di Sicurezza di rispettare le proprie regole. E dall’altra metterebbe in un angolo per davvero, dal punto di vista diplomatico, il rappresentante della Nord Corea, che sarebbe costretto a prendere posizioni ufficiali di fronte all’intera comunità internazionale. Un Consiglio di Sicurezza con tutte le parti coinvolte presenti potrebbe costituire poi, forse, anche l’inizio di un vero tavolo diplomatico per risolvere – una volta per tutte – la crisi. E per di più avverrebbe nella stanza dei bottoni dove si prendono le decisioni che contano. Magari, perché no, in presenza del Segretario Generale Antonio Guterres. Scenari alternativi a parte, però, la situazione al momento non accenna a modificarsi. E la domanda rimane sempre la stessa, dopo ogni lancio missilistico: perché ci si ostina a non convocare la Corea del Nord in Consiglio di Sicurezza?