Un contesto politicamente complicato e pericoloso. Spaccato, dopo la morte di Muhammar Gheddafi, nel 2011. Un Paese fragile e diviso, luogo di passaggio di migliaia di migranti e rifugiati, spesso bloccati e detenuti lì prima della traversata del Mediterraneo. Costretti a subire ogni tipo di abuso. Uomini. Donne. Ma soprattutto bambini. Vittime anche dei trafficanti. Un luogo difficile, dove è urgente la necessità di operare assistenza. E dove, finora, non sembrava possibile mettere ordine.
“Siamo in Libia da molto tempo. Lavoriamo in condizioni difficili, ma stiamo progressivamente espandendo la nostra presenza per avere un contatto più diretto con rifugiati e migranti che si trovano lì. Prima di tutto, dobbiamo assisterli. E, in secondo luogo, dobbiamo assicurarci che vivano in condizioni adeguate e che siano risparmiati dagli abusi e dalle violenze a cui sono stati soggetti per molto tempo”. Filippo Grandi, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), rispondendo a una domanda de La Voce di New York, non ha dubbi. L’urgenza sono loro. I profughi, ma anche i migranti. E la situazione in cui versano. “Il lavoro è complesso: parliamo di uno Stato (la Libia, ndr) nel quale il conflitto continua, le istituzioni restano fragili e le condizioni di sicurezza sono molto precarie”, ha dichiarato Grandi a margine dell’High Event meeting “The New York Declaration for Refugees and Migrants: One Year On”, dove ha più volte riaffermato il valore della protezione dei rifugiati.
Nella conferenza, a cui ha partecipato il Segretario Generale António Guterres e il Presidente dell’Assemblea Generale Miroslav Lajcak, Grandi ha fatto riferimento ai suoi recenti viaggi nei Paesi che contano il maggior numero di rifugiati e che versano in uno stato di abbandono. “I rifugiati”, ha continuato, “sono persone con uno status differente”, che, spesso, non possono nemmeno fare ritorno ai loro Paesi d’origine.
A maggio, Grandi aveva incontrato alcuni profughi in alcuni dei principali centri di detenzione libici. E a seguito di quella visita, l’UNHCR aveva annunciato l’espansione della propria presenza nel Paese, a causa del deterioramento della crisi umanitaria, legata soprattutto all’instabilità politica ed economica. Circa 300 mila libici, in quel momento, erano sfollati. In tutto, l’Alto Commissario, aveva registrato oltre un milione di persone vulnerabili che avevano bisogno di assistenza umanitaria. Medicinali. Cibo. Cure mediche.
Il Ministro degli Esteri, Angelino Alfano, il 18 settembre, alla vigilia dell’apertura della 72esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, aveva sottolineato l’importanza di accelerare la conclusione dell’accordo con l’Onu “per un insediamento sempre più robusto e stabile delle organizzazioni umanitarie in Libia, a cominciare da UNHCR e OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ndr)”, individuando nel Mediterraneo la questione più urgente. E a 48 ore dalle sue parole, la chiosa di Grandi: “La mia non è un’esitazione a intervenire, ma una spiegazione realista dei risultati che intendiamo ottenere. Che arriveranno, ne sono certo: abbiamo le risorse per farlo, un dialogo con le autorità dello Stato e l’appoggio politico di molti Paesi. Ci vorrà tempo, come in tutte le situazioni molto fragili, ma siamo fermamente intenzionati a intraprendere e a continuare questo lavoro”.
E al termine del suo intervento alla conferenza ha aggiunto: “I semi del cambiamento sono stati piantati, ma avranno bisogno di nutrimento”.