“Siamo il Paese che ha salvato più di mezzo milione di vite umane nel Mediterraneo. Non saremo noi a chiudere gli occhi sui diritti umani, riguardo ai centri dove vengono trattenuti i migranti, in Libia”. La conferenza stampa è tutta in italiano. I giornalisti stranieri chiedono che le risposte siano in inglese. Ottengono, tradotte, soltanto le ultime due loro domande. Il Ministro degli Esteri italiano, Angelino Alfano, a poche ore dall’apertura della 72esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite esordisce così. Parlando di migranti, diritti umani, sicurezza. Quindi soprattutto di Libia. Che continua a essere, insieme alle crisi del Mediterraneo, il tema più urgente per il responsabile della Farnesina. Ma che non sembra arrivare a un punto. Perché la risoluzione del Consiglio di Sicurezza per rinnovare la missione Onu in Libia (UNSMIL) è stata approvata. Ma senza un rafforzamento concreto.
Oltre alla questione libica, la Corea del Nord, considerata da Alfano “la minaccia più importante e seria, in questo momento” per il mondo, e le riforme dell’Onu. “L’amministrazione americana, da questa mattina, è ancora più a bordo in questo processo di riforma delle Nazioni Unite che noi sosteniamo, fin dall’esordio della Segreteria Generale di António Guterres, perché riteniamo importante lo snellimento burocratico e una profilatura dell’Onu sempre più marcata, utile ai fini della pace e della sicurezza nel mondo”. Tornando sulla Corea del Nord, commentando la proposta cinese e russa del Freeze-for-Freeze, a La Voce di New York, il Ministro degli Esteri ha dichiarato: “Ci sono esercitazioni militari che sono regolarmente svolte in un quadro di legalità internazionale e ci sono altre cose, come quelle che sta facendo la Nord Corea, che non vi rientrano, chiaramente. Mettere sullo stesso piano le due cose non ci vede, ovviamente, favorevoli”.
“Abbiamo un ruolo molto importante da giocare in quest’Assemblea”, ha detto Alfano affrontando la questione libica, dove i migranti restano ancora intrappolati, tra accordi che ci sono e pezzi di responsabilità difficili da collocare. Migranti e rifugiati, detenuti in condizioni degradanti all’interno di veri e propri “lager”, spesso ostaggio dei trafficanti. In migliaia aspettavano di superare il Mediterraneo per trovare condizioni di vita migliori, ma vengono ora bloccati dalle vedette libiche.

“È molto importante accelerare la conclusione dell’accordo per un insediamento sempre più robusto e stabile delle organizzazioni umanitarie in Libia” ha proseguito Alfano, “a cominciare da UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ndr) e OIM (Organizzazione Internazionale per le migrazioni, ndr)”. Accordo che c’è stato ma che non ha ancora chiarito i tempi di attuazione. “Questo, per noi, significa diritti umani perché il nostro Paese non può rinunciare alla loro salvaguardia e alla loro tutela, ora che cominciano a funzionare una serie di scelte”. Il riferimento è al controllo del confine meridionale del Paese con il Niger. Una soluzione che, secondo il Ministro, avrebbe limitato e ridotto il flusso migratorio. “70mila transiti dal Niger alla Libia nel 2016, contro i 4mila nel 2017”, ha spiegato il responsabile della Farnesina. Ma che cosa accade a questi migranti in Niger? Probabilmente vengono rispediti indietro.
“Ci stiamo muovendo su una strada che già abbiamo tracciato in Italia, con due parole che iniziano per ‘s’: solidarietà e sicurezza, perché non esiste antagonismo tra rigore e diritti umani, tra sicurezza e solidarietà”, ha dichiarato Alfano. C’è poi l’intenzione di garantire la presenza di operatori di organizzazioni non governative sul terreno libico: “Vogliamo sollecitare la presenza di Ong italiane, anche attraverso risorse finanziarie, tutto in una cornice di sicurezza per le persone che andranno”.
Bene, per l’Italia il problema sembra risolversi. Ma con i diritti umani rispettati? E, anche, con il diritto internazionale non calpestato? L’accordo tra Roma e Tripoli, infatti, che ha diminuito (per ora) le ondate di flussi nel Canale di Sicilia, secondo anche i piani alti delle Nazioni Unite, potrebbe non rispettare la legge internazionale. Perché la Libia, in questo momento, non è in grado di assicurare protezione ai rifugiati (e migranti) ai quali viene impedito di prendere il mare. Il governo italiano è cosciente del problema, ma indica nell’ONU la soluzione: dovrebbero essere le sue agenzie umanitarie (come l’UNHCR) ad aiutare la Libia nel far rispettare i diritti umani di queste masse migratorie. Per questo, anche Alfano chiede il rafforzamento della missione dell’ONU in Libia per ciò che riguarda la questione umanitaria. UNSMIL, infatti, finora, si è occupata dell’aspetto di stabilizzazione politica del paese.
Quindi riguardo alla volontà di un maggior coinvolgimento umanitario delle Nazioni Unite in Libia, a una domanda sui tempi per raggiungerla, a La Voce di New York, il Ministro ha risposto: “L’Italia è membro dell’ONU ma non è tutta l’ONU: noi siamo qui in funzione di acceleratori del processo di conclusione dell’accordo, per insediare gli uffici delle istituzioni umanitarie a Tripoli. Esprimo un caldo ottimismo sui tempi, non avendo il potere di dare la data. Siamo qui per spingere esattamente in quella direzione”.
Quando abbiamo fatto la stessa domanda, mezz’ora dopo lo stake-out con il Ministro, al portavoce del Segretario Generale Guterres, durante il briefing giornaliero, Stéphane Dujarric ha risposto in maniera vaga, ribadendo la priorità della missione ONU di stabilizzare la Libia, perché soltanto con un’intesa politica tra i vari “governi” che controllano le diverse aeree del paese, sarà poi più semplice raggiungere lo scopo della tutela dei diritti umani.
Quindi per quanto riguarda i tempi certi di questo rafforzamento a scopi umanitari della missione ONU in Libia, che ovviamente dovrebbe essere approvato dal Consiglio di Sicurezza, nessuno si prende la responsabilità di indicarli. Non è proprio uno scarica barile, ma chi ci rimette sono sempre loro: i migranti-rifugiati prigionieri, torturati, seviziati, venduti e, a volte, uccisi in Libia.
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