Prima cita Truman, poi auspica un ritorno alla sovranità, promette di distruggere la Nord Corea se necessario e attacca l’Iran e il Venezuela socialista. Dovessimo riassumere in punti il primo discorso del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, alla 72esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, potremmo seguire questa falsariga. In un’Assemblea Generale blindata dai controlli di sicurezza e colma di giornalisti che attendevano solo il suo intervento, Trump si è presentato ufficialmente alle Nazioni Unite utilizzando tutte le armi tipiche della sua dialettica, quella che gli ha permesso di diventare Presidente e di intervenire al Palazzo di Vetro: 42 minuti di discorso, un linguaggio semplice e comune, un tono grossolano e un po’ arrogante, e nessun pelo sulla lingua. Nemmeno uno, su nessuno dei fronti.
Dopo un inizio soft, quasi riflessivo, sulla necessità di tornare al modello di Nazioni Unite di Harry Truman e del piano Marshall – quelle in cui la sovranità degli stati aveva più valore e peso istituzionale (e formale) rispetto all’ONU di oggi -, Trump ha toccato i principali punti caldi dell’attualità. Ha chiamato il dittatore nord-coreano Kim Jong Un “rocket man” (tradotto “l’uomo razzo”), cosa che aveva già fatto su Twitter dopo un colloquio telefonico con il presidente della Sud Corea. Poi ha definito l’azione nord-coreana suicida e lanciato un avvertimento, esplicito, sull’onda del “fire and fury” del recente passato: “Se gli Stati Uniti saranno forzati a difendere loro stessi o i loro alleati, non ci sarà altra scelta che distruggere totalmente la Nord Corea”, ha detto, provocando il sussulto della stampa e dell’aula.
Anche su Iran e Venezuela, Donald Trump ha mostrato i muscoli. Almeno a parole. Ha prima accusato Teheran di “appoggiare e finanziare organizzazioni terroristiche”, compresa Hezbollah in Libano, che potrebbe mettere a rischio la missione UNIFIL delle Nazioni Unite. Poi ha condannato l’accordo nucleare stretto sotto l’amministrazione Obama, definito “un disastro” da cui “non possiamo considerarci legati”. Nella parte conclusiva del suo intervento, invece, ha messo nel mirino i regimi socialisti. Da Cuba, per il quale le sanzioni saranno confermate “finché il regime continuerà a violare i diritti umani”, a soprattutto il Venezuela, al quale Trump ha dedicato – un po’ a sorpresa – una buona fetta del suo intervento. Dopo aver attaccato duramente Maduro, considerato un “dittatore che sta portando il suo Paese alla catastrofe” e aver promesso di liberare il Paese dal regime, in un passaggio ha provocato il sorriso di una parte dell’Assemblea Generale, ironizzando sull’interpretazione venezuelana del socialismo: “Il problema in Venezuela non è il fatto che il socialismo sia stato incrementato in modo povero, ma che sia stato incrementato in maniera ‘faithfully’”, ovvero piena di (false) speranze. In nome, insomma, proprio di un socialismo che ha rispettato le sue promesse che per Trump sono sempre fallimentari.
Tra i punti toccati nella parte conclusiva del suo intervento, anche la riforma delle Nazioni Unite, un passaggio in cui ha abbassato i toni pur mantenendo l’atteggiamento diretto. Il breve High-Level debate, organizzato dalla missione USA all’ONU nella giornata di lunedì 18 settembre, aveva deluso tutte le aspettative. Così all’Assemblea Generale, il presidente Trump è stato più chiaro. E nel ringraziare il Segretario Antonio Guterres, ha tirato fuori la “calcolatrice”: “Gli Stati Uniti coprono il 22% del budget delle Nazioni Unite, ma sono solo uno dei 193 Paesi che lo compongono: i fondi destinati alla pace sono investimenti e come tali devono essere pensati nel modo giusto”.