Nel silenzio del mondo, la popolazione civile in Yemen continua a combattere la propria battaglia quotidiana per la sopravvivenza. E la combatte da sola, tra bombe e mortai, tra morti e feriti, risucchiata in un conflitto che non ha mai chiesto, danneggiata dal ritardo degli aiuti umanitari e colpita da un’epidemia di colera che si sta diffondendo a macchia d’olio. Secondo Save the Children i bambini malnutriti intrappolati nelle principali aree di guerra in Yemen sono oggi più di un milione. E secondo le ultime analisi, svolte sempre dall’organizzazione no-profit, in 153 dei 333 distretti del Paese si registrano tassi di sospetto colera superiori all’1%, vale a dire che almeno una persona su cento viene colpita dall’infezione. Mentre in termini prettamente numerici, dal 27 aprile al 29 luglio, nel Paese sono stati registrati oltre 425mila casi sospetti, con oltre 1900 decessi. In questo contesto drammatico, il distretto più colpito risulta essere quello di Al Hali a Hodeidah, dove oggi si registrano 15.300 casi e dove più di 31mila bambini sono affetti da gravi forme di malnutrizione.

La guerra civile, nonostante la formale condanna da parte della comunità internazionale, non si accenna ad arrestarsi. E diventa sempre più cruda. A più di due anni dal suo inizio e a poco più di due mesi dall’intervento dell’inviato speciale ONU Ismail Ould Cheikh Ahmed al Palazzo di Vetro, il Paese è una polveriera. E la guerra che lo sta travolgendo assume sempre più i contorni di una partita a scacchi, dove i giocatori attorno al tavolo sono le super-potenze Arabia Saudita, Stati Uniti e Iran, ma dove le pedine sono i civili, sporcati dal sangue dei bombardamenti di un conflitto senza regole.
Gli schieramenti continuano a essere due. Da una parte Abd Rabbo Mansur Hadi, sostenuto dalla coalizione araba e dagli Stati Uniti e tornato nello Yemen, ad Aden, dove presiede un governo riconosciuto a livello internazionale, dopo essere stato cacciato dalla capitale Sanaa. Dall’altra i ribelli houthi, un gruppo armato sciita nato nel 1992, capace di spodestare dopo due anni di tensioni e manifestazioni nel 2015 il governo presieduto da Hadi, accusato di corruzione e infedeltà. Nel mezzo, impotenti, le Nazioni Unite. Che hanno espresso ancora una volta preoccupazione dopo le drammatiche notizie giunte dal Paese di recente, dove le esecuzioni sono all’ordine del giorno e i bombardamenti pure, e che hanno ammesso un ritardo negli aiuti umanitari, in quanto rimasti letteralmente senza carburante.
Da una parte Jamie McGoldrick, coordinatore umanitario nello Yemen, in uno statement rilasciato nel fine settimana dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), ha usato una parola ben precisa per spiegare la situazione yemenita: disprezzo. Il disprezzo mostrato da “tutte le parti coinvolte nel conflitto”, verso “la protezione dei civili e verso il principio di distinzione tra civili e combattenti nella condotta delle ostilità”. Lo stesso disprezzo mostrato nei distretti di As Safra e Razih venerdì 4 agosto, nel governorato di Saada, dove due attacchi diversi a una casa e a un veicolo privato hanno portato alla morte di almeno dodici civili e al ferimento di altri dieci. “Ogni guerra ha delle regole e queste regole devono essere rispettate”, ha dichiarato ancora Jamie McGoldrick. In Yemen, però, non è così.
E dall’altra parte, mentre l’Agenzia Nova fa sapere che i combattenti di al Qaeda nella Penisola arabica (Aqap) si sono ritirati dalla provincia yemenita di Shabwa a sud-est, dopo un’offensiva condotta dalle forze a sostegno di Abd Rabbo Hadi, a nord gli aiuti dell’ONU sono in ritardo. Perché le Nazioni Unite, in Yemen, sono di fatto rimaste senza benzina. Su ammissione del portavoce del Segretario Generale Antonio Guterres, Stéphane Dujarric, si è verificato un ritardo nella fornitura del carburante per le operazioni umanitarie delle Nazioni Unite nel Paese. Carburante che dovrebbe arrivare soltanto in settimana a Sanaa (capitale dei ribelli houthi), da Aden (presieduta da Abd Rabbo Mansur Hadi, il leader yemenita supportato da Arabia Saudita e Stati Uniti), città dove la fornitura è rimasta bloccata troppo a lungo. Carburante che in ogni caso non sarà comunque sufficiente a porre fine a questa glaciale partita a scacchi, dove le grandi potenze continuano a giocare con la vita delle persone, tra l’indifferenza dell’opinione pubblica e il silenzio di un mondo distratto.