
Un ricordo commosso a Giovanni Falcone, un attacco poco velato a chi non crede nella cooperazione internazionale e un impegno, rinnovato, nella lotta contro il crimine. Lunedì 19 giugno, il Ministro della Giustizia Andrea Orlando è intervenuto alla seduta dell’Assemblea Generale dell’ONU per fare il punto sulla lotta alla criminalità organizzata transnazionale. Una seduta dedicata al magistrato palermitano ucciso da Cosa Nostra 25 anni fa, attorno al quale le Nazioni Unite si sono strette, alla presenza della sorella di Giovanni, Maria, e della famiglia Falcone.
Il dibattito, organizzato in collaborazione con UNODC, l’ufficio delle Nazioni Unite che si occupa di criminalità e lotta al traffico di droga, è stato aperto dal Presidente dell’Assemblea Generale Peter Thomson, che ha ricordato Giovanni Falcone come esempio di uomo delle istituzioni, capace di interpretare la lotta alla criminalità organizzata più ad ampio respiro di altri: “Falcone aveva capito l’importanza della cooperazione internazionale – ha detto nel suo intervento -. Non a caso nel 1992 partecipò al primo meeting della Commission on Crime Prevention and Criminal Justice all’ONU, appena un mese prima di essere brutalmente assassinato”. Thomson ha sottolineato come “25 anni fa il mondo abbia perso una straordinaria mente giuridica” ma anche che “oggi l’eredità del giudice Falcone ha reso possibile un impegno globale contro la criminalità organizzata”. Ed è proprio da quell’impegno globale che è nata, nel dicembre del 2000, la “Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale”, sottoscritta nel corso della Conferenza di Palermo. Un documento frutto dell’eredità di Falcone, delle sue intenzioni e delle idee, ma che deve continuare ad essere aggiornato per far fronte all’evolversi della criminalità organizzata. In questo senso, nel 2018 ci sarà un appuntamento importante nel percorso di revisione della convenzione, proprio durante l’anno in cui Palermo sarà capitale italiana della cultura. E in questo contesto Yury Fedotov, Executive Director UNODC, ha dichiarato: “I criminali sfruttano la disuguaglianza e la vulnerabilità e traggono vantaggio dalle lacune nello sviluppo e nell’applicazione. Non c’è nulla di inevitabile o di invincibile, però, nella lotta al crimine organizzato transnazionale: dobbiamo impegnare tutte le nostre istituzioni per sconfiggere i criminali”.
Aggiornare le intese per fronteggiare il crimine, quindi, è più che mai doveroso. Anche perché i numeri di oggi sono drammatici. La criminalità organizzata transnazionale guadagna miliardi di dollari ogni anno, eludendo le norme nazionali e raggirando azioni penali mirate. Le mafie agiscono nella sfera grigia, cambiano pelle, inquinano l’economia legale, fanno rete in ogni parte del mondo e sfruttano i vuoti normativi internazionali “investendo” sulla collusione di imprenditori disinteressati. L’Unione Europea, di recente, ha evidenziato come i bilanci nazionali europei perdano qualcosa come 50 miliardi di euro di gettito IVA, a causa delle frodi transfrontaliere, mentre nel 2015 gli Stati membri avevano individuato e segnalato alla Commissione Europea irregolarità fraudolente per circa 638 milioni di euro.
Cifre importanti, che confermano un fatto scontato ma da non dare per scontato: dove ci sono soldi, c’è mafia. E dove la mafia si internazionalizza, la cooperazione tra i Paesi deve diventare più forte, sia in ambito europeo che internazionale. Il Ministro Orlando è stato chiaro, anzi, più che chiaro. Durante il suo intervento all’Assemblea Generale, ribadito nelle dichiarazioni alla stampa a margine della seduta, ha lanciato un attacco diretto: “Non bastano gli appelli alla cooperazione internazionale, dobbiamo dire una brutale verità: chi rallenta la cooperazione internazionale per timidezza, per difendere i particolarismi è volontariamente o involontariamente complice delle mafie internazionali. Da questo punto di vista gli Stati che rallentano il processo di integrazione si assumono in questa fase storica una responsabilità grandissima” ha detto, tenendo un profilo molto meno basso di quanto potesse suggerire il tono di voce pacato del suo intervento.
I dubbi su quali siano, questi Stati menzionati da Orlando, ci sono. Quali sono le realtà che oggi ostacolano la cooperazione internazionale? Più stati di piccola dimensione o uno Stato più grande? Si potrebbe addirittura trattare degli Stati Uniti di Donald Trump, i cui possibili cambiamenti sulle legislazioni bancarie e movimenti finanziari potrebbero indirettamente favorire la criminalità organizzata? Il Ministro non ha specificato, noi giornalisti non lo abbiamo chiesto (male!), ma approfondiremo durante la conferenza stampa prevista martedì, presso la Missione Italiana a New York. L’analisi di Orlando, in ogni caso, ha toccato vari punti. In primo luogo, il tema del libero scambio e del controllo dei trasferimenti: “Non esistono norme a tutela di mercato che non debbano permettere di intervenire e di indagare sui trasferimenti finanziari illeciti”. In seconda istanza sullo sviluppo: c’è una “stretta interrelazione tra crimine organizzato e sviluppo sostenibile, tanto che l’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile per il 2030 ha incluso tra le sue priorità la lotta ad ogni forma di crimine organizzato, la riduzione dei flussi di capitali illeciti e di armi, il rafforzamento del contrasto patrimoniale alle organizzazioni criminali”. Infine, il perfezionamento “delle indagini sui patrimoni illeciti”, l’estensione dell’efficacia “delle misure di sequestro e confisca dei beni” e “l’impiego più dinamico delle risorse confiscate a vantaggio dei cittadini”.

A non aver bisogno di interpretazioni, invece, le parole dedicate a Giovanni Falcone. Il magistrato ucciso da Cosa Nostra non è stato soltanto un magistrato o un uomo delle istituzioni. Falcone è stato “un visionario, un intellettuale che seppe leggere il fenomeno mafioso, interpretarlo e comprenderlo”, ha detto Orlando alle Nazioni Unite. Ed è per questo, secondo il Ministro, che quando il 23 maggio 1992 la mafia decise di ucciderlo, quella “sentenza capitale non fu soltanto una vendetta per i risultati ottenuti grazie al maxi-processo ma aveva l’obiettivo di impedire a quel cervello di continuare a pensare”. Un cervello che ha saputo innovare il metodo d’indagine nonostante non potesse contare sugli strumenti innovativi di oggi, e che ha tracciato una via ancora considerata come prioritaria per i magistrati del terzo millennio. Grazie all’eredità di Falcone, nonostante i volumi d’affari della criminalità transnazionale di oggi e il rischio che la cooperazione internazionale rimanga tale solo a parole, uno spiraglio di speranza c’è. Perché come ha detto il ministro Orlando, quel 23 maggio il mondo è cambiato per sempre e le vicende del ’92 “ci hanno insegnato che non è consentito rassegnarsi e che si può vincere”. E perché proprio come disse Falcone, la mafia è un fatto storico e come tale ha un inizio, ma anche una fine.