António Guterres chiama, Donald Trump risponde. A 48 ore dal discorso del Segretario Generale dell’ONU presso la New York University Stern School of Business sul Climate Change, dalla Casa Bianca il Presidente USA ha ufficializzato nel pomeriggio di giovedì quanto era già trapelato ai media fin da mercoledì: gli Stati Uniti d’America usciranno dagli accordi di Parigi.
In un discorso schietto, di una trentina di minuti, Trump ha evidenziato la necessità di “proteggere e difendere gli Stati Uniti e i nostri cittadini” da un accordo definito, in più di un passaggio, “molto ingiusto” e “che ha finito per penalizzare l’economia del Paese: il documento di Parigi ci è costato una fortuna”. Trump ha puntato il dito sia contro l’amministrazione Obama, colpevole di aver negoziato un compromesso al ribasso, sia contro gli altri Paesi firmatari: “Gli accordi di Parigi sembra siano focalizzati sull’avvantaggiare le altre potenze economiche dal punto di vista finanziario, più che sul clima”
La reazione delle Nazioni Unite, attraverso le parole di Stéphane Dujarric, portavoce del Segretario Generale António Guterres, non si è fatta attendere. E si è basata, di fatto, sui temi-chiave già esplorati da Guterres durante lo speech di martedì alla NYU. In primo luogo, la necessità di affrontare il problema del surriscaldamento globale in modo altrettanto globale: “La decisione degli Stati Uniti di uscire dagli accordi di Parigi è una grande delusione per tutti coloro che stanno agendo con l’obiettivo di ridurre le emissioni gas nel mondo”. Poi, l’importanza del documento sottoscritto a Parigi del 2015: “Riconosce l’immenso danno che il cambiamento climatico sta già causando, così come l’enorme opportunità rappresentata oggi dall’azione climatica”. Infine, un messaggio importante: per l’ONU, la porta lasciata aperta da Trump è una opportunità di operare per il bene delle generazioni che verranno. Se alla New York University l’interlocutore di Guterres era chiaro ma non era stato esplicitato, nello statement di Dujarric gli Stati Uniti sono chiamati in causa direttamente: “Il Segretario Generale è impaziente di impegnarsi con il governo americano e con tutti gli attori economici e industriali degli Stati Uniti d’America per costruire un futuro sostenibile da cui dipende il destino dei nostri nipoti”.

Che la partita non sia completamente chiusa, infatti, lo ha confermato anche lo stesso Donald Trump, durante il suo discorso alla Casa Bianca. Negoziare è sempre stata una prerogativa professionale del presidente americano, che non a caso, forse per cortesia istituzionale o forse per necessità politica (nel suo staff c’è infatti chi spera ancora in un accordo), ha lasciato aperto uno spiraglio: “Stiamo uscendo dall’accordo ma faremo ripartire i negoziati e vedremo se ci sarà l’opportunità di un accordo migliore: se sarà possibile bene, altrimenti ne rimarremo fuori”.
Quello che sembra servire ora, come per ogni buona negoziazione che si rispetti, sembra essere quindi un mediatore. E se fosse lo stesso António Guterrez a ricoprire questo ruolo nei prossimi mesi? Il portavoce del Segretario Generale ha detto che rivedere gli accordi è competenza degli Stati firmatari e non delle Nazioni Unite. Ma in questo gioco di spiragli aperti e di porte non chiuse, la figura di Guterres potrebbe ritagliarsi un ruolo strategico per entrambe le parti: da un lato Donald Trump, dall’altro il resto del mondo. Intanto venerdì, da San Pietroburgo, il Segretario Generale Guterres ha ribadito in maniera chiara la sua posizione sul cambiamento climatico: “È un fenomeno innegabile, una delle questioni più importanti che riguardano il futuro del mondo: sollecitare tutti i governi di tutto il mondo a rimanere impegnati nell’attuazione dell’accordo di Parigi è un beneficio per tutti noi”. E sulla decisione degli Stati Uniti: “Sono profondamente convinto che gli Stati, le città, gli imprenditori e la società civile rimarranno impegnati sulla green economy, perché l’economia verde è la buona economia, quella del futuro: chi scommette oggi sull’attuazione dell’accordo di Parigi, avrà un ruolo di primo piano nel contesto economico del XXI secolo”.