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July 19, 2016
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L’ONU sostiene la democrazia in Turchia: ma esiste ancora?

In seguito al colpo di stato, l'ONU esorta Ankara a rispettare i valori democratici

Laura LoguerciobyLaura Loguercio
Democrazia turchia

L'Alto Commissario per i Diritti Umani Zeid Ra’ad Al Hussein. UN Photo/Jean-Marc Ferré

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La situazione in Turchia continua ad essere drammatica in seguito al tentativo di colpo di stato portato avanti dall’esercito nella notte tra il 15 e il 16 luglio. Erdogan ha infatti fatto arrestare più di 9.300 persone sospettate di aver collaborato al golpe o di essere associate con Fetullah Gülen, l’uomo accusato dall’attuale Premier di essere a capo del golpe e attualmente auto-esiliatosi negli Stati Uniti. Oltre alle migliaia di persone finite in carcere il Ministero dell’Educazione ha inoltre sospeso 15.200 dipendenti, ritirato la licenza per l’insegnamento a 21.000 docenti di scuole private e chiesto le dimissioni di 1.577 rettori. La Presidenza turca per gli Affari religiosi ha anche allontanato 429 persone tra imam e insegnanti di religione, mentre sono per ora stimati a 100 gli agenti di polizia sospesi dal lavoro perché accusati di aver sostenuto il golpe.

Pronte le reazioni da parte delle Nazioni Unite. L’Alto Commissario per i Diritti Umani Zeid Ra’ad Al Hussein, tramite un comunicato stampa, ha elogiato le azioni del popolo turco che ha occupato le strade per difendere il paese da coloro che cercano di minarne la democrazia, ma ha invitato il governo a rispondere ai recenti eventi “rafforzando la protezione dei diritti umani e le istituzioni democratiche. In seguito ad un fatto tanto traumatico è cruciale assicurare che i diritti umani non siamo messi in pericolo nella foga di punire coloro che sono ritenuti responsabili dei disordini, in nome della sicurezza nazionale”. Zeid ha inoltre sottolineato l’importanza di assicurare che anche i colpevoli possano godere di un processo corretto e trasparente che rispetti i diritti di entrambe le parti. “L’indipendenza del sistema giudiziario è la chiave di una corretta amministrazione della giustizia. I giudici devono essere posti nella condizione di poter esercitare la loro funzione senza restrizioni, pressioni o minacce”, afferma l’Alto Commissario facendo riferimento agli arresti di massa che il governo di Erdogan ha messo in atto nei confronti dei magistrati, sospendendone 2.475 e arrestandone più di 750 nel corso degli ultimi giorni. Un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha inoltre ricordato  che, secondo la legge internazionale, i giudici possono essere sospesi dalla professione soltanto a causa di gravi mancanze o incompetenza nel portare avanti il lavoro.

Nelle ore successive al golpe circolano anche voci riguardanti una possibile reintroduzione della pena di morte in Turchia, abolita nel 2004. Zeid ha affermato che un eventuale ritorno alla pena capitale romperebbe gli impegni presi dalla Turchia nei confronti dei diritti umani e della comunità internazionale. “Sarebbe un grande passo nella direzione sbagliata” ha infine commentato Zeid, anche perchè il paese ha ratificato nel 2006 il Secondo Protocollo opzionale per il Patto Internazionali sui Diritti Civili e Politici, mirato proprio all’abolizione della pena di morte e che vieta ai suoi firmatari di ritirarsi dagli accordi presi.

Anche Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha commentato i recenti avvenimenti turchi da Bruxelles tramite un comunicato rilasciato insieme a Johannes Hahn, Commissario europeo per la politica di vicinato e i negoziati per l’allargamento. “Condanniamo il tentativo di colpo di stato ed assicuriamo il nostro pieno supporto alle istituzioni democratiche del paese. Chiediamo la fine delle violenze e che la polizia e le forze di sicurezza si dimostrino pronte a prevenire ogni altra possibile morte. La tensione sociale può essere risolta soltanto tramite processi democratici”, hanno affermato i due. Ma possiamo davvero ancora parlare di democrazia in Turchia?

La difficile relazione tra la Turchia e i diritti umani non è infatti cosa nuova: da anni il paese è vittima di una svolta autoritaria, spesso portata avanti proprio sotto agli occhi della comunità internazionale, che rende sempre più difficile credere che il governo di Ankara sia realmente disposto a collaborare. Esempio lampante di questo comportamento è la censura che ormai troppo spesso blocca la libera circolazione di notizie nel paese. Già in giugno erano finiti in carcere Erol Önderoğlu, rappresentante turco del gruppo Reporters Without Borders, il giornalista Ahmet Nesin e la presidente della Fondazione Turca per i Diritti Umani Şebnem Korur Fincancı. I tre sono stati arrestati con l’accusa di alimentare la propaganda al Partito dei Lavoratori Curdi (PKK). Oggi, in seguito al fallito colpo di Stato, il Committee to Protect Journalists denuncia  il fatto che l’Agenzia turca per le Trasmissioni (RTÜK) ha cancellato le licenze di tutte le radio ed emittenti televisive affiliate con Hizmet, il movimento di Gülen. Il breve comunicato rilasciato dall’agenzia non specifica quali stazioni precisamente avrebbero perso la licenza, né su quali basi sarebbe avvenuto il ritiro. Sono inoltre stati bloccati 12 siti web e 60 persone tra giornalisti, editori e tecnici sono stati licenziati dalle rispettive testate. La sede del giornale Gazetem İstanbul è stata attaccata durante la notte da decine di giovani ribelli.

Durante il press briefing giornaliero al Palazzo di Vetro, La VOCE di New York ha chiesto a Farhan Haq, Viceportavoce del Segretario Generale, che senso abbia parlare durante il golpe di protezione della democrazia in Turchia, dopo che la limitazione delle libertà fondamentali, come quella di stampa ed esrpessione, erano in atto da mesi ormai (qui dal minuto 14:00)  La risposta di Haq, non ci ha soddisfatto.

La democrazia turca sembra ormai crollata e il paese guidato da Erdogan appare sempre più autoritario ogni giorno che passa. 

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Laura Loguercio

Laura Loguercio

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