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December 14, 2015
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La “sconfitta” di Le Pen in Francia: il “pericolo utile” per i soliti noti

Manlio GrazianobyManlio Graziano
Time: 3 mins read

First past the post: così i britannici chiamano il loro sistema elettorale. I costituzionalisti lo chiamano “scrutinio maggioritario uninominale”: chi si piazza primo in una circoscrizione elettorale, anche solo per un voto, porta a casa il seggio. Se questo sistema fosse applicato in Francia, le discussioni sui risultati delle regionali si sarebbero fermate alla situazione delineatasi domenica scorsa: il Fronte nazionale avrebbe conquistato sei regioni, la destra perbene cinque, e i socialisti due. Insomma, il risultato del voto avrebbe rispecchiato i rapporti di forza elettorali reali.

Ma in Francia vige il meccanismo a due turni: una trovata ingegnosa che permette, appunto, di fare astrazione dei rapporti di forza elettorali reali. Le discussioni di questo lunedì post-secondo turno sono quindi inficiate da considerazioni legaliste e tatticiste che poco hanno a che vedere con la situazione sul terreno. Gli stessi che una settimana fa versavano fiumi di lacrime sulla vittoria del Front national, questo lunedì si rallegrano della “sconfitta” del Front national.

Nella vita reale, però, il partito di Marine Le Pen ha ulteriormente rafforzato la sua assise elettorale, passando in capo ad una settimana da poco più di sei milioni di voti a 6,82, superando anche il record stabilito dalla stessa Le Pen al primo turno della presidenziale del 2012 (6,42 milioni). Ma il fatto di non esser riuscita a mettere in bisaccia nessuna regione sposta di nuovo il pendolo del dibattito politico: dall’espressione (minacciosa) della “volontà popolare” alle tattiche rese possibili dall’ingegneria istituzionale del doppio turno.

I risultati di domenica, in qualche modo, confortano i tatticisti in seno al partito di Sarkozy e a quello di Hollande: la paura del Front national ha infatti portato alle urne una fetta considerevole di astensionisti al primo turno (la partecipazione è cresciuta di dieci punti, passando dal 49 al 58,5%, cioè quasi due milioni e mezzo di votanti in più), e ha spinto molti elettori a spostarsi sul candidato “repubblicano” (cioè non frontista) meglio piazzato. I due presidenti più detestati della Quinta Repubblica – Sarkozy e Hollande appunto – calcolano di avere ancora una speranza di commettere recidiva nel 2017: a condizione che l’uno prenda più voti dell’altro al primo turno e, soprattutto, che Marine Le Pen arrivi in testa o seconda. Nell’anno e mezzo che ci separa dalle presidenziali del 2017, quindi, i due partiti “repubblicani” si combatteranno senza esclusione di colpi, usando il Front national come sponda – e come speranza.

L’autismo apparente del partito di Sarkozy e di quello di Hollande rappresenta piuttosto una coerenza tutta francese, che consiste nell’autoriproduzione della sua classe dirigente. Tutto il sistema – dall’educazione alle Grandes Écoles, e fino al sistema elettorale a doppio turno – è costruito intorno alla creazione e alla preservazione di réseaux de pouvoir a tenuta stagna: i suoi prodotti sono destinati a dirigere municipalità o aziende municipali, governi o grandi imprese, commissioni parlamentari o gruppi editoriali. La commistione tra politica ed economia, seconda soltanto a quella della Cina, si spiega anche così.

Per quanto possa apparire incredibile al di fuori della Francia, il giorno dopo l’elezione di François Hollande, nel 2012, il dibattito politico esagonale ha cominciato a concentrarsi sulle elezioni presidenziali del 2017. Lo scopo principale della classe dirigente transalpina, si è detto, è quello di mantenersi e di riprodursi; dopo, ma solo dopo, vengono gli altri dettagli, quali le guerre, il terrorismo, l’Europa, l’immigrazione, la disoccupazione, i quartiers sensibles, etc. E anche questi temi, spesso, sono giocati nella prospettiva di mantenersi e riprodursi. Marine Le Pen lo sa, e punta coscientemente allo spariglio, ad alimentare presso gli elettori l’illusione che main street possa prendersi la rivincita sulle elite e liberare le “riserve di caccia della Repubblica”.

Quel che ci si può attendere dai risultati delle elezioni regionali in Francia del 13 dicembre, dunque, è che tutto continui come prima. I tre partiti principali fondano le loro speranze su questa continuità. A meno che un altro uomo, o un’altra donna, della Provvidenza non venga a sua volta a sparigliare il gioco di Marine Le Pen, mettendosi in concorrenza con lei sul suo stesso terreno antisistema. Ma il sistema, appunto, è vaccinato.

Questo articolo viene pubblicato anche dalla rivista di geopolitica Limes

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Manlio Graziano

Manlio Graziano

Insegno geopolitica e geopolitica delle religioni alla Sorbona e all’American Graduate School in Paris. Ho scritto In Rome we Trust. Cattolici e vita politica americana (Il Mulino, 2016), Guerra santa e santa alleanza. Religioni e disordine internazionale nel XXI secolo (Il Mulino, 2015; ed. inglese Columbia University Press, 2016); The Failure of Italian Nationhood (Palgrave-MacMillan 2010, anche in francese e italiano); Identité catholique et identité italienne (L’Harmattan, Parigi, 2007); Il secolo cattolico. La strategia geopolitica della Chiesa (Laterza, Roma, 2010) e Essential Geopolitics: A Handbook (eBook Amazon, 2011). Collaboro con Limes, rivista italiana di geopolitica.

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