Presentato in questi giorni il rapporto CAF World Giving Index 2015 dalla Charities Aid Foundation, che, paese per paese, traccia la propensione della popolazione alla beneficenza, tramite sondaggi approfonditi volti a scoprire quante persone si dedichino al volontariato, all’assistenza verso gli stranieri o a donazioni monetarie verso enti caritatevoli.
Sorprendentemente, nella lista dei 20 paesi con le migliori performance “caritatevoli”, molti sono i paesi classificabili come “sottosviluppati” o “in via di sviluppo” secondo gli standard comuni. Il primo posto nel WGI spetta infatti al Myanmar, repubblica fino a pochi giorni fa sotto il controllo di una spietata giunta militare ed in condizioni di relativa indigenza. Secondo gli esperti del CAF, le condizioni del paese hanno agito da collante sociale, incentivando la popolazione ad organizzarsi per far fronte comune davanti alla difficile situazione di molti abitanti del paese. Inoltre, secondo il rapporto, il culto buddista ha parecchio incentivato la generosità degli adepti, incitati dai monaci a prendersi cura degli indigenti in ogni modo. Anche a questo sarebbe dovuto il dato sorprendente secondo cui ben il 92% della popolazione avrebbe fatto donazioni in denaro ed il 50% avrebbe dedicato del tempo al volontariato.
Al secondo posto troviamo gli Stati Uniti, dove il 63% della popolazione intervistata dichiara di aver donato denaro in beneficenza ed il 76% afferma di aver aiutato direttamente degli stranieri bisognosi. Al terzo, chiude il podio la Nuova Zelanda. Le sorprese sono invece lo Sri Lanka all’ottavo posto ed il Kenya all’undicesimo, oltre al Guatemala, al Bhutan, al Kyrgyzstan e alla Tailandia, rispettivamente al diciassettesimo, diciottesimo e diciannovesimo posto. Secondo gli esperti del CAF infatti, i paesi in via di sviluppo quest’anno hanno visto aumentare la percentuale di persone impegnate nelle attività caritatevoli in maniera diretta o indiretta, con un incremento delle sole donazioni di oltre l’11%. Più contenuti i dati sui paesi sviluppati, dove il Giving Index totale aumenta di meno del 2% rispetto all’anno scorso.
Lo studio pone poi una particolare attenzione sulla questione mediorientale, dove, secondo il sondaggio, a causa della crisi umanitaria in corso, quasi il 50% in più della popolazione si è trovata ad aiutare personalmente stranieri in difficoltà, spesso profughi in fuga dalla guerra; negli stati del Golfo (Arabia Saudita, Oman, Qatar) i cittadini hanno aumentato le donazioni ad enti umanitari di oltre il 45%, spinti dalla situazione dei paesi confinanti. In cima alla classifica dei più disponibili verso gli stranieri troviamo poi l’Iraq, paese ad oggi occupato parzialmente dai terroristi dell’ISIS, in cui oltre il 79% dei cittadini dichiara di aver aiutato stranieri in fuga.
Complessivamente, leggendo il rapporto, risulta evidente come, in paesi di media industrializzazione, la percentuale di popolazione in grado di contribuire in qualche modo al benessere della collettività aumenti risultando in un incremento generale del volontariato e della beneficenza che porta così tanti paesi in via di sviluppo in cima alla classifica. Non è difficile immaginare infatti che, in questi paesi, le famiglie che hanno contribuito nell’ultimo decennio ai processi di industrializzazione e sviluppo, abbiano raggiunto di recente una stabilità economica e lavorativa tale da potersi permettere di aiutare gli altri. Sono i paesi dell’Asia centrale e meridionale quelli che hanno infatti registrato il maggior aumento percentuale nella partecipazione dei cittadini ad attività benefiche, mentre la situazione nel Nord America risulta stazionaria ed in Europa l’aumento è limitato ad un 3%. Ma secondo la proiezione dei dati per i prossimi 5 anni ci sarà una diminuzione del 3% del giving index asiatico dovuto ad un benessere più diffuso e ad una minore propensione alla donazione da parte di famiglie cresciute in un contesto di pieno sviluppo, rispetto a quelle che hanno attraversato personalmente la fase di transizione dall’arretratezza economica allo sviluppo industriale.
Analizzando poi la situazione italiana, la classifica non è lusinghiera: il Bel Paese si trova al settantaduesimo posto, superato di parecchio da paesi come Zambia, Sierra Leone o Botswana. Solo il 33% degli italiani ha affermato di aver compiuto azioni o donazioni benefiche nell’ultimo anno (comunque un 3% in più rispetto al 2014). Nel dettaglio, il 32% degli intervistati ha dichiarato di aver effettuato donazioni e solo il 17% della popolazione intervistata ha preso parte personalmente ad attività di volontariato. In periodo di forte immigrazione però, un dato sembra salvare il mito degli italiani “brava gente”: il 50% esatto del campione considerato ha affermato di aver aiutato personalmente almeno uno straniero in difficoltà, dato invariato negli scorsi anni.
Vedere il Paese scavalcato in quanto a “generosità” da nazioni incredibilmente più povere la dice lunga sull'individualismo italico e non concede molto spazio a chi porta la crisi economica come pretesto per la scarsità di donazioni, da tempo denunciata da tante ONG italiane. Mentre si spera in un “ravvedimento” degli italiani, i dati danno anche un’idea generale della situazione Europea, dove le nazioni del Centro-nord, e gran parte di quelle dell’Europa orientale, aumentano gradatamente da anni la loro partecipazione ad attività di beneficenza in maniera diretta o indiretta, mentre l’area mediterranea da anni risulta stabile, se non in lieve calo nei dati riguardanti la disponibilità della popolazione ad adoperarsi in qualche modo per gli altri.
Visto il peso economico dell’Europa che, considerata nel suo insieme, ha il maggior PIL al mondo, nonché ovviamente, i più alti standard di vita, la fondazione che ha firmato lo studio chiede agli stati una legislazione che favorisca e supporti l’operato delle ONG e ne garantisca la trasparenza e correttezza, così da incentivare volontariato ed offerte. I dati sulle aspettative future per il continente infatti parlano chiaro: se il trend negativo dei paesi mediterranei dovesse continuare, la generosità diffusa nel Nord e nell’Est non riuscirà più a coprire il “disavanzo”, trascinando il continente ad un minimo atteso del 31% di cittadini disponibili a finanziare o aiutare i più bisognosi, penultimi nella graduatoria per aree geografiche subito prima dell’Africa, continente infinitamente più povero (ed infinitamente più popoloso) in cui, si ritiene, in 5 anni il 29% della popolazione si troverà implicato in qualche forma di aiuto caritatevole.