“Le grandi industrie di tutto il mondo potranno essere d’accordo nel sostenere che eliminare le regolamentazioni del mercato gioverebbe ai loro profitti, i negoziatori di titoli converranno che gli accordi commerciali incrementeranno i loro profitti, ma, escluse queste e poche altre categorie, tutti noi perderemmo qualcosa se questi accordi venissero negoziati”.
Comincia con questa citazione di Bruno Simma e Theodore Kill il rapporto per la promozione di un ordine internazionale democratico ed equo, presentato all’assemblea generale da Alfred-Maurice de Zayas, esperto indipendente per i diritti umani delle Nazioni Unite, incaricato dal Segretario Generale di esaminare nel dettaglio la situazione dei trattati commerciali bilaterali e multilaterali, che vincolano stati diversi a norme comuni per uniformare i mercati.
Zayas, e come lui anche altri esperti delle Nazioni Unite e non solo, si definisce critico nei confronti dei trattati, che, a suo dire, potrebbero giovare agli interessi delle popolazioni coinvolte, ma risultano spesso manipolati da interessi corporativi talmente forti da limitarne gli effetti positivi. In particolare si scaglia con veemenza contro l’ISDS (investor-state dispute settlement, o risoluzione delle controversie tra investitore e stato) meccanismo extragiudiziale che prevede un arbitrato tra le aziende straniere che si definiscono parte lesa e lo stato che ne “limita” le attività, composto non da magistrati nazionali o internazionali, ma da analisti privati il cui compito è quello di valutare il “comportamento” (leggi: le norme votate o applicate) dello stato chiamato in causa in relazione alle clausole di garanzia dei trattati di scambio firmati in precedenza dallo stato stesso con le nazioni sede delle aziende che lo citano.
Tale meccanismo, particolarmente cavilloso, secondo Zayas è “un affronto al diritto ed alla sovranità degli Stati”, e, scrive nel suo rapporto, “in futuro si parlerà dell’ISDS come di un tentativo corporativo di assaltare le prerogative costituzionali dei singoli Stati”. Secondo l’esperto infatti nella maggior parte dei casi gli analisti darebbero ragione alle aziende, che possono richiedere compensazioni pecuniarie per i mancati introiti derivanti da attività legislativa o esecutiva giudicata “lesiva degli interessi corporativi”.
Sebbene in questi termini la questione non sembri particolarmente preoccupante (da sempre le aziende possono citare lo stato che le ospita in caso di attività specifiche che ne alterino forzatamente l’operatività) in questo caso la questione è molto più delicata: gli analisti nominati durante la disputa (spesso scelti e pagati dalle aziende grazie a clausole contrattuali, puntualizza Zayas) non si rifanno al diritto comune ma solo alle norme contenute nei trattati di commercio tra il paese citato in giudizio e quello sede delle aziende che lo accusano. Questa visione “stand alone” dei trattati, secondo Zayas è una forzatura della giurisprudenza nazionale e del diritto internazionale, in quanto non riconosce il primato di nessuna costituzione, convenzione o trattato al di fuori di quelli economici di riferimento. Questo aspetto viola apertamente le norme del diritto internazionale, che riconoscono ad alcuni trattati (primi fra tutti la carta fondativa delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo) la preminenza su tutti gli altri trattati internazionali, specialmente su quelli economici, che non ne possono ignorare i princìpi.
Un esempio eclatante tra quelli riportati è il caso Philip Morris contro Uruguay, in cui la nota azienda di tabacchi svizzera ha citato in giudizio la repubblica sudamericana per aver approvato nuove leggi che limitavano la vendita e la pubblicità dei prodotti a base di tabacco, applicando tra l’altro le direttive di una convenzione ONU sulla lotta al fumo ed ai danni che causa. La disputa è tutt’ora in corso (la Philip Morris sembra aver chiesto 25 milioni di dollari di compensazioni) ma, qualsiasi sia il risultato, è chiaro che il caso di una multinazionale che cita in giudizio un’intera nazione per delle leggi riguardanti la salute pubblica non sembra costituire un buon precedente per nessun paese.
Zayas continua il suo rapporto con una lista di casi eclatanti che riguardano gli ambiti più disparati: dalla denuclearizzazione all’inquinamento delle falde acquifere, ed arriva ad una sola conclusione: “i diritti umani possono essere garantiti solo nel pieno rispetto della democrazia, e la democrazia può essere garantita solo da tribunali che riconoscano la sovranità dei paesi e le norme comuni del diritto internazionale volte a tutelare la popolazione mondiale da ogni abuso”. Secondo Zayas il rischio di impresa è insito nella decisione di investire in qualsivoglia paese, e la richiesta degli investitori di garanzie extragiudiziali per il denaro che rischiano non può e non deve essere ascoltata: si creerebbe una situazione in cui alcuni cittadini, in forza del denaro che possono portare ad uno stato, otterrebbero uno status “al di sopra della legge ordinaria” per poter investire il proprio denaro nel modo che preferiscono.
Zayas, durante il suo intervento nella terza commissione dell’Assemblea Generale ha anche ricordato le proteste di alcuni giorni fa in Germania contro il TTIP, giudicando positiva la reazione dei cittadini europei alle clausole del trattato transatlantico, che impedirebbero di fatto agli Stati europei l’ingerenza negli affari di diversi gruppi industriali, ed ha affermato che le proteste sono “il segnale che i popoli sono già contrari all’esistenza di questi trattati” definiti “contra bonos mores” ovvero “contrari agli interessi del popolo”, termine usato diverse volte nel rapporto e nel corso degli interventi dell’esperto.
“È in corso un tentativo di privatizzazione del rule of law” ha concluso l’esperto, “ed essendo tutto ciò altamente illegale l’unica soluzione possibile sembra essere l’abolizione del meccanismo dell’ISDS e la sua sostituzione con una corte specifica che rispetti la totalità dei trattati internazionali e la sovranità dei singoli stati. Per questo abbiamo chiesto alla Corte Internazionale di Giustizia un parere sull’abolizione dell’ISDS e sulla creazione di una normativa che regoli gli oltre 3000 trattati di commercio bilaterali esistenti in una logica di promozione e sviluppo di democrazia e diritti umani”.