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October 3, 2015
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Russia e USA alla resa dei conti in Siria e il mondo trema

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 10 mins read

Potrebbe, esplodendo, la polveriera del Medio Oriente scatenare una serie di avvenimenti tali da portare, anche solo attraverso un incidente, ad uno scontro armato tra grandi potenze con risvolti imprevedibili e apocalittici? 

Quando il 28 giugno del 1914 lo studente Gracilo Princip sparò a Sarajevo all'Arciduca Francesco Ferdinando d'Amburgo, principe ereditario d'Austria-Ungheria, ci fu forse qualcuno che capì che quell'evento sarebbe stato l'inizio della Prima guerra mondiale? (L'Austria dichiarò guerra alla Serbia il 28 luglio, la Germania alla Francia il 3 agosto) . 

Mercoledì 30 settembre, per la prima volta dai tempi della Guerra Fredda, degli aerei russi bombardano fuori dai confini dell'Ex Unione Sovietica. E lo fanno in Siria, il cuore del Medio Oriente, a sua volta la santa barbara del mondo. 

Questa svolta russa a quattro anni dall'inizio della guerra civile in Siria, che secondo fonti siriane ribelli e anche americane nel primo bombardamento avrebbe attaccato soltanto forze ribelli siriane anti Assad addestrate dagli USA  e non l'ISIS, avviene a poche ore dai discorsi e poi dall'incontro di lunedì, al Palazzo di Vetro dell'ONU, tra il presidente USA Barack Obama e quello russo Vladimir Putin. Chi scrive ha ascoltato entrambi i discorsi all'Assemblea Generale e poi ha aspettato con altri giornalisti fuori dalla saletta dove si teneva l'incontro durato un'ora e mezza. Alla fine Obama è uscito senza far vedere la sua faccia ai fotografi da una porta laterale, Putin ci è passato davanti velocemente, senza rispondere alle domande. Poi ha rilasciato una dichiarazione in un breve incontro riservato ai soli giornalisti russi, dicendo che il vertice era stato utile e "orientato al business", ma che gli americani devono capire "che chi governa la Siria lo decidono i siriani e non loro". Obama quel giorno era scurissimo in volto, quasi furioso,   l'abbiamo visto tutti in quella foto durante il pranzo al Palazzo di Vetro in cui era seduto, separato solo dal Segretario Generale Ban Ki-moon, vicino a Putin.

Siamo forse entrati in una serie di eventi che potrebbero portarci tutti all'inizio della fine?

La sera di lunedì, come abbiamo già raccontato in un precedente articolo, abbiamo chiesto al ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, se dopo l'incontro Obama-Putin, fosse più ottimista o pessimista sulla pace nel mondo. Ci ha risposto: "Ottimista, dato che non potrei rispondere altrimenti. Le relazioni tra USA e Russia devono migliorare…". Come per dire, peggio di come sono adesso, si va verso la guerra. Ora, rispetto a lunedì, con i bombardamenti russi iniziati in Siria, la tensione tra Washington e Mosca va a peggiorare.

Obama Ban Putin

Barack Obama, Ban Ki-moon e Vladimir Putin luned├¼ scorso al Palazzo di Vetro dell’ONU

Ci sono due tendenze di pensiero per spiegare l'ultima mossa "a sorpresa" di Vladimir Putin, per iniziare i bombardamenti in Siria contro gli anti-Assad (ISIS o non ISIS, basta che siano un pericolo per il regime di Damasco). Una che questa sarebbe una dimostrazione di debolezza. Che la Russia, riaffermando la sua presenza in Siria,  nel cuore del Medio Oriente (dove ha la sua unica base militare fuori dai confini della Ex Unione Sovietica), stia solo cercando di preservare i suoi interessi anche dopo la caduta del regime di Assad ormai considerata inevitabile. Un'altra, invece considerata una posizione di forza e molto più ambiziosa e pericolosa, è quella in cui Putin avrebbe deciso che il regime di Damasco è fondamentale agli interessi della Russia e se si vuol stabilizzare la regione e non scatenare la Terza Guerra Mondiale, si deve scendere a patti con Assad protetto da Mosca.  

Se con la prima mossa, Washington potrebbe convivere e anzi potrebbe accelerare la fine della crisi in Siria una volta rassicurati gli interessi russi, la seconda porta ad una situazione di tensione alle stelle, dato che l'amministrazione Obama, almeno a parole, insiste che Assad e il suo regime "criminale" deve andar via (ora si parla di un periodo dove questa "cacciata" potrebbe diventare meno traumatica, ma la sostanza resta quella del "regime change").

Lavrov

Sergey Lavrov durante la conferenza stampa alle Nazioni Unite (Foto ONU/Mark Garten)

Lavrov, giovedì alle Nazioni Unite ha tenuto la tradizionale conferenza stampa di fine settimana AG (ma perché Kerry non la fa?). La conferenza stampa avveniva subito dopo la prima giornata di bombardamenti russi in Siria. Rispondendo soprattutto a chi gli chiedeva come la Russia stesse scegliendo i suoi obiettivi da colpire, dato che fino a quel momento, secondo alcune informazioni provenienti dalla Siria,  non avevano mai colpito l'ISIS (che a quanto pare verrà poi colpito giovedì e venerdì), Lavrov ha detto: "Noi attacchiamo i terroristi". Quando gli si è chiesto chi la Russia considerava terrorista in Siria, ecco la risposta del ministro esteri russo: "Se sembra un terrorista, se agisce come un terrorista, se cammina come un terrorista, allora è un terrorista. Giusto?". Infatti gli obiettivi dei bombardamenti russi, diceva Lavrov, non sono solo ISIS ma anche il Nusra Front (Al Qaeda in Siria) e "tutte le altre formazioni terroristiche". Questa ultima frase rende la tensione tra USA e Russia in questo momento altissima. Perché praticamente la Russia sembra si senta autorizzata a bombardare chiunque combatta il regime di Assad, dato che lo stesso regime chiama tutti "terroristi". 

Ma quando a Lavrov gli si è chiesto se anche la Free Syrian Army, appoggiata dagli USA e la cui leadership politica aveva tenuto proprio il giorno prima all'ONU una conferenza stampa, facesse parte del terroristi, Lavrov aveva risposto di no, che "sono dei partner per arrivare ad una soluzione politica. Noi combattiamo il terrorismo" ha ripetuto Lavrov.

Eppure, nell'incontro di mercoledì con i giornalisti del presidente della Syrian National Coalition (il braccio politico della Free Syrian Army) Kahled Konja, i siriani dell'opposizione "moderata" ad Assad avevano detto a noi giornalisti di essere stati attaccati dai russi e che 32  civili sotto la loro protezione erano morti nell'attacco di mercoledì. Alla domanda de La VOCE se ad un prossimo attacco russo la Free Syrian Army avrebbe risposto militarmente, Konja ha replicato: "Noi ci stiamo preparando ad attaccare i russi per liberare la Siria…". 

Opposizione Siriana

La conferenza stampa della Syrian Free Coalition con i giornalisti dell’ONU

Come si capisce, la situazione in Siria ogni giro si fa sempre più incandescente. Ma non solo in Siria. Bansta pensare a che cosa sta avvenendo a pochi chilometri dai suoi confini,  tra Israele e l'autorità palestinese del presidente Mahmoud Abbas.  Sempre mercoledì, proprio il giorno in cui Abbas issava all'ONU per la prima volta la bandiera palestinese, tra gli applausi di una gran folla in una cerimonia ufficiale tenuta nel giardino delle rose con Ban Ki-moon, il presidente palestinese nel discorso all'Assemblea Generale affermava che agli accordi di Oslo (1993, che definiscono l'attuale processo di pace)  non ci crede più e che questo verrà abbandonato (Quando? E che succede dopo? Non lo ha detto…). Se non bastasse, il giorno dopo il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito, sempre all'Assemblea Generale, che il deal di Barack Obama con l'Iran che era stato con così tanto entusiasmo festeggiato nei discorsi ascoltati fino a quel momento – compreso quello di Papa Francesco –  ci sta avvicinando alla guerra invece di allontanarla. Che l'Iran sta già approfittando del rilassamento delle sanzioni che avrà per rafforzarsi e una dimostrazione di tutto ciò sarebbero le truppe iraniane appena arrivate in Siria per combattere contro le forze anti Assad addestrate dagli americani, e che adesso potranno anche ricevere la copertura dell'aviazione russa.  Israele ovviamente è pronta… 

Bandiera palestinese

La cerimonia per la bandiera palestinese all’ONU

Si potrebbe continuare ancora, citando altri discorsi tenuti all'ONU questa settimana da molti leader della regione, e lo spettro della guerra si riflette ad ogni finestra del Palazzo di Vetro.

Qui bisogna anche sottolineare gli errori americani e dei suoi alleati. Lo "scacco" di Putin, che ha potuto presentare la sua svolta militare in Siria, come un intervento russo necessario a sconfiggere il pericolo ISIS e questa volta sotto l'ombrello della carta ONU e contrapposto quindi all'intervento illegale della coalizione guidata dagli USA (vedere mio articolo precedente), è sicuramente dovuto all'errore di Obama di attaccare l'ISIS in Siria  (o ISIL come lo chiamano non a caso alla Casa Bianca) senza chiedere l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. La Russia avrebbe posto il veto? Oggi la Russia, come lo stesso Lavrov ha detto nella sua conferenza stampa, dice che non lo avrebbe posto. Ma anche se lo avesse fatto un anno fa, almeno la Casa Bianca allora avrebbe potuto accusare la Russia di aver protetto l'ISIS invece di trovarsi dalla parte di chi viola la legge internazionale. 

Così, ad una anno dagli attacchi "soft" della coalizione ( il territorio sotto il controllo dell'ISIS in Siria è praticamente rimasto invariato!), lo "scacco matto" di Putin a Obama potrebbe arrivare all'epilogo di far vedere al mondo come in pochi mesi i russi riescano a far "piazza pulita" dello Stato Islamico e sotto l'ombrello della legge internazionale (perché la forza miliare russa è stata richiesta dal governo di Assad, che è ancora per l'ONU formalmente quello legittimo). 

E l'Italia? In questa situazione di pericolosissime tensioni tra grandi potenze in Siria,  che posizione ha assunto il governo di Matteo Renzi? In questi giorni abbiamo visto due volte in conferenza stampa il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che ha cercato di spiegare ai giornalisti la posizione italiana nelle crisi mediorientali. Mentre si è capito bene che sulla Libia l'Italia ha assunto un ruolo fondamentale e che (e se) quando la situazione si risolverà (venerdì nell'importantissima riunione all'ONU con le varie fazioni libiche, si sono fatti ulteriori passi avanti, sembra che manchino solo i nomi per un nuovo governo libico) dovrebbe essere proprio quello di Roma tra  i governi europei a guidare la stabilizzazione della Libia. 

Gentiloni

Paolo Gentiloni durante la conferenza stampa alla missione italiana all’ONU

Ma quando si tratta della posizione sulla Siria, ecco che il ministro degli Esteri italiano non ci è apparso affatto chiaro. Gentiloni ha ripetuto come l'Italia nella coalizione anti ISIS in Iraq contribuisce con una presenza militare (soprattutto per l'addestramento di forze irachene),  mentre in Siria fa parte della coalizione, ma dando un apporto che non si è capito bene in cosa consista.  Alla nostra domanda se questa differenza sia dovuta proprio al fatto che in Siria la coalizione anti ISIS operi, come ha detto Putin nel suo discorso all'ONU, fuori dalla legge internazionale, non rispettando quindi la carta delle Nazioni Unite (lo ripetiamo: perché non è stata invitata a bombardare dal governo di Damasco né ha ricevuto un mandato dal Consiglio di Sicurezza), qui Gentiloni, invece di rispondere, magari anche con orgoglio, che l'Italia rispetta sempre la legge internazionale, ha sfumato. Certo, ha detto che "sono convinto che oggi si esce da questa crisi se si abbandonano le posizioni estremiste seguite da diversi paesi anche dai nostri alleati. C'erano le posizioni di chi diceva prima di cacciare Assad a forza di bombe e poi si discute di pace, e chi diceva Assad non si tocca, lo difenderemo fino all'ultimo uomo. Ora si è aperta una terza soluzione, che l'Italia aveva proposto fin dall'inizio con l'allora ministro degli Esteri Emma Bonino. Quindi trattative subito, l'allontanamento di Assad si avrà dopo ma senza creare un vuoto, ma con un tragitto…". Bene, giusto, infatti questa è la soluzione che si stava cercando, almeno fino al giorno prima dei bombardamenti russi.

Ma quando poi si tratta della Siria e della lotta all'ISIS, ecco che qui la posizione dell'Italia appare più nebulosa. Partecipa alla coalizione, ma senza bombardare. Come dire, armiamoci e partite?

Proprio venerdì c'è stata una dichiarazione firmata da Francia, Turchia, Stati Uniti, Germania, Qatar, Arabia Saudita e Gran Bretagna che ha espresso "concern" sull'azione russa "che sta soltando alimentando più estremismo e radicalizzazione" del conflitto in Siria. Perché l'Italia non ha firmato quella dichiarazione? Non gli è stato forse chiesto?  

Eppure il ministro Gentiloni lo ha detto ai giornalisti che con le bombe non si risolve ma si peggiora la situazione in Siria. Ma allora perché non prendere una posizione più forte e affermare apertamente dove si posiziona l'Italia, sperando continui ad essere dalla parte della legge internazionale ("non si risolve il confitto con le bombe" e infatti in Siria gli italiani ai bombardamenti non partecipano).

Quando lo abbiamo chiesto a Gentiloni, se Roma tende a distinguersi nella sua azione in Siria, per rispetto alla legge internazionale violata dalla coalizione, il ministro ha ripetuto che "noi facciamo parte della coalizione che si batte in Siria. Un conto è le differenti valutazioni se siano utili o no i bombardamenti in Siria. Per esempio gli strike di elicotteri USA nella regione curda all'inizio, parlo nel settembre ottobre 2014,  sono stati fondamentali. La nostra è una valutazione sul considerare i bombardamenti come la soluzione per risolvere la crisi siriana. Questo non vuol dire affatto che ci tagliamo fuori dalla coalizione,  restiamo un paese determinante…. Ogni paese da un contributo secondo la sua disponibilità. Sul piano militare la nostra è concentrata solo sull'Iraq". 

Abbiamo un atteggiamento diverso quindi tra Iraq e Siria, ma il ministro non riesce a dire che ciò avviene perché la coalizione in Siria è fuori dalla legge internazionale dettata dalla carta Onu.  L'Italia, invece, forte della sua posizione di non aver violato la legge internazionale, dovrebbe non ribadire che fa parte della coalizione anti ISIS in Siria – perché di fatto non ne fa parte negli suoi aspetti militari – e dimostrare più coraggio.

Proprio chi svolge un compito delicato e difficilissimo di inviato speciale dell'ONU per cercare la via della pace in Siria, è un italiano, Staffan De Mistura, l'espertissimo diplomatico già veterano di tante missioni ONU (ma è stato pure sottosegretario agli Esteri). Questo non è un riconoscimento di poco conto. L'Italia, tra i paesi della NATO, è forse quello che in questo momento ha le migliori relazioni con la Russia. Faccia valere questo suo vantaggio. Riavvicini le posizioni tra Russia e Stati Uniti, che nei confronti dell'estremismo islamico dovrebbero essere le stesse, almeno si spera. Ma soprattuto aiuti ancora più attivamente, dalla posizione di forza del rispetto della legge internazionale, a spegnere la miccia che si è accesa in Siria e che potrebbe far esplodere tutto. Non c'è tanto tempo, come nell'estate di 101 anni fa.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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