Dalla crisi dell’eurozona alle tensioni tra Russia e Ucraina, passando per le tragiche vicende legate all’immigrazione, oggi l’Europa si trova di fronte a sfide epocali che ne scuotono le fondamenta. In tutto ciò, l’Italia sembra incapace di imprimere un cambiamento alla politica europea.
Su questi temi abbiamo chiesto il parere del Senatore Corradino Mineo, già volto notissimo del giornalismo italiano, siciliano, per un decennio corrispondente Rai a Parigi e New York e dal 2006 al 2013 direttore di Rai News 24. Sui temi di politica estera, da quando è stato eletto senatore nel 2013 nelle fila del Partito Democratico, Mineo non ha certo lesinato critiche nei confronti della leadership di Renzi, né pare credere ai leitmotiv renziani, fatti di “svolte buone” e bordate anti austerity…
Senatore Mineo, partiamo dalla vittoria di Tsipras alle elezioni greche. Quali sono le ragioni per cui, secondo lei, le sinistre crescono un po’ dovunque (in Grecia, Gran Bretagna, Spagna… perfino negli Usa), mentre in Italia sembrano ancora deboli?
É vero, Tsipras ha tenuto alta la bandiera della sinistra pur sottoposto a un fuoco di fila estenuante di conservatori e socialisti europei. In Spagna senza Podemos i socialisti non potranno mai governare, il Labour party ha cambiato verso. In Italia invece governa, nel nome della sinistra, un grande restauratore: Renzi, che ha dichiarato guerra alla contrattazione sindacale, ai diritti acquisiti dagli insegnanti, sta sostenendo una riforma che cambierà la forma del governo verso una sistema di premierato assoluto. La sinistra non sa reagire. Perché? Per due ragioni: per la sua lunga subalternità, prima al neoliberismo e Berlusconi, poi ai tecnici di Monti portatori dei diktat europei. In secondo luogo perché una gran parte dello spazio della sinistra è occupato dal Movimento 5 Stelle. Che porta istanze simili a quelle delle sinistre nuove (una forte polemica del "basso" verso "l'alto", una richiesta di pulizia morale), ma al tempo stesso si muove in una logica da setta, molto solista. Quindi non contribuisce ad alleanze o alla crescita di uno schieramento. Al contrario vampirizza la sinistra senza essere di sinistra.
Dopo le vicissitudini di quest’estate, pensa che Tsipras abbia snaturato il programma anti-rigorista del suo partito (Syriza)?
Non credo che Syriza si sia snaturata, ma piuttosto che Tsipras abbia dovuto prendere atto di una pesante sconfitta, e nonostante i greci lo abbiano sostenuto votando “no” al referendum, la stragrande maggioranza di essi non riesce nemmeno a immaginare l’uscita della Grecia dall’euro. Eppure, visto che i trattati europei non consentono la ristrutturazione del debito, forse proprio l’uscita temporanea dalla moneta unica poteva essere una soluzione accettabile. Insomma, a differenza dell’ex ministro dell’economia Varoufakis, Tsipras non ha mai voluto pensare a un “piano B”, e la conseguenza è stata la capitolazione totale di fronte alle richieste dei partner dell’Eurogruppo, che non sono stati teneri nei suoi confronti.
Perché l’unione monetaria europea sta generando così tante tensioni tra gli stati?
Il motivo di fondo è che invece di fare l’Europa come avremmo dovuto, partendo da un autentico processo di unificazione politica, si è pensato che si potesse raggiungere l’unità solo attraverso un accordo sulla moneta. A prevalere è stata la cultura della Banca Centrale tedesca, che rifiuta in modo assoluto qualsiasi politica economica espansiva, creando le premesse per l’attuale crisi dell’euro. Per intenderci, non abbiamo fatto come negli USA, in cui la Federal Reserve ha un ruolo importantissimo nell’innescare la ripresa attraverso politiche di investimenti che rimettano in moto l’economia. Cedere alla Bundesbank è stato un errore gravissimo che stiamo pagando caro e che rischia di far crollare l’intera costruzione europea.
Anche sull’immigrazione l’Europa sembra in difficoltà…
La questione è cruciale ed è strettamente connessa alla mancanza di una politica estera condivisa. L’immigrazione è sempre esistita, ma le dimensioni che sta assumendo negli ultimi tempi sono la conseguenza diretta delle guerre in corso, in Siria e in Libia per esempio. Il Papa ha perfettamente ragione quando parla di “terza guerra mondiale a spezzoni”. Per la verità, sul tema la Merkel si è dimostrata il migliore tra i leader europei. La svolta nell’atteggiamento che la Germania ha assunto sull’immigrazione è iniziata con il famoso episodio in cui (durante una trasmissione televisiva, ndr) la Cancelliera, ribadendo la fermezza del suo paese nei confronti degli immigrati, fece scoppiare in lacrime una bambina palestinese. Dalle parole della ragazzina, che si esprimeva in perfetto tedesco sognando di frequentare l’università in Germania, i tedeschi stessi hanno compreso come l’immigrazione potesse rappresentare una risorsa per il loro paese. Da quel momento, intuendo i sentimenti dell’opinione pubblica, la Merkel non ha ripetuto l’errore quando ha dovuto fare i conti con l’emergenza dei profughi siriani alle frontiere. Da questo punto di vista è innegabile che la Cancelliera sia un politico abile e opportunista, una “dorotea”, abilissima nella gestione del potere. È altrettanto vero, però, che sulla questione ha impresso una forte svolta nell’agenda europea.
Quale potrebbe essere il ruolo dell’Europa nello scenario internazionale in questo frangente?
Una posizione europea forte e univoca nel mondo dovrebbe anzitutto bilanciare l’irruenza degli USA su molte questioni, dalla guerra in Siria alla crisi Ucraina, consentendo alla Casa Bianca di commettere meno errori in politica estera. Nel caso della Siria, sembra che si sia finalmente aperto uno spiraglio di dialogo tra Obama e Putin. Speriamo porti dei frutti. Ma dobbiamo anche capire che i nostri alleati nell’area sono stati i responsabili della guerra e spesso aggravano la situazione con politiche ambigue. La Turchia, per esempio, che con la scusa di bombardare l’ISIS colpisce i curdi, o l’Arabia Saudita e il Qatar, i quali invece fanno la guerra agli sciiti, nemici degli integralisti nello Yemen.
In Ucraina, poi, bisogna far capire agli Stati Uniti che l’entrata di quel paese nell’Unione Europea può essere attuato solo concedendo un fortissimo federalismo, per evitare altissime tensioni con Putin, che sarà anche poco democratico, ma non ha sempre torto…
Che ruolo gioca l’Italia in questo momento? Renzi ha spesso ribadito di voler “cambiare verso” anche all’Europa, ma non ha riscosso grandi successi…
Renzi è un ottimo politico (e ne avevamo bisogno dopo una stagione popolata di leader che pensano a coltivare esclusivamente il proprio elettorato), ma il problema è che non ha una visone del mondo, un ideale, un’ispirazione. Non è certamente un grande della sinistra né un Churchill o un De Gaulle. La conseguenza è che quando si sposta sulla scena internazionale i suoi metodi non funzionano e la sua forza contrattuale è praticamente nulla. Sul piano europeo è purtroppo un cortigiano della Merkel, cioè di una che pensa che i mercati abbiano sempre ragione. Sembra poi credere, come peraltro Berlusconi prima di lui, di poter risolvere le questioni internazionali semplicemente coltivando rapporti di amicizia con i potenti del mondo, senza affrontare i problemi con una chiara visione strategica.
Il quadro che mi ha delineato non è certo dei migliori. C’è uno spiraglio di cambiamento in Europa?
C’è ben più di uno spiraglio. Ormai, oltre a intellettuali come Habermas, anche la classe dirigente tedesca, di destra e di sinistra, dopo la crisi greca e l’emergenza immigrazione sta capendo che bisogna cambiare qualcosa, altrimenti l’Europa rischia di naufragare. Esiste dunque una possibilità di riscatto, ma ci sarebbe bisogno di una forte mobilitazione popolare (cosa non più molto comune in tempi recenti) per indirizzare la politica esistente verso obiettivi più giusti.