Dopo l’indigestione mediatica durante la fase delle trattative con l’Eurogruppo e il clima di preoccupazione che ha pervaso la nostra opinione pubblica, oggi la questione greca sembra esser passata in secondo piano. Eppure dovremmo guardare con la massima attenzione ciò che sta avvenendo in queste ore in Grecia, perché è la dimostrazione perfetta di come l’attuale funzionamento dell’Unione Europea neghi i basilari principi democratici dei singoli stati, svuotandoli dall’interno.
In seguito all’annuncio delle dimissioni di Tsipras e la conseguente fase di consultazioni, il Presidente della Repubblica Pavlopoulos fisserà il giorno delle elezioni anticipate (la data più probabile è il 20 settembre). Nel frattempo Syriza si è frantumata in mille rivoli, tra protagonismi personali e differenze programmatiche. Panagiotis Lafazanis, ex ministro dell’energia, ha già inaugurato la nascita di un nuovo partito marxista anti euro, che secondo gli analisti sarà a breve seguito da un’altra formazione di sinistra indipendente guidata dalla combattiva Zoe Konstantopoulou, presidente del Parlamento, mentre il popolarissimo Varoufakis pare prendere le misure per una probabile discesa in campo. Non bastasse, due giorni fa Tasos Koronakis, segretario di Syriza e fedelissimo di Tsipras, ha lasciato l’incarico in dissenso con la linea del partito.
Per farla breve, il confuso scenario ellenico avvera in questi giorni una profezia scontata, diretta conseguenza della capitolazione greca di fronte al piano di “aiuti” imposti con la forza dall’Eurogruppo: un governo democraticamente eletto è infatti costretto a stravolgere totalmente il programma con cui aveva guadagnato il consenso popolare, e di fronte alle inevitabili divisioni del partito di maggioranza il paese è costretto per l’ennesima volta a nuove elezioni. In Grecia, il voto sembra diventato ormai una sorta di inutile pellegrinaggio dei cittadini alle urne per nominare gli esecutori di ineluttabili misure recessive prese altrove. Una pura formalità per salvare le apparenze.
Questo allarmante deficit democratico è chiaramente dovuto ai meccanismi dell’unione monetaria, che, come ammesso implicitamente dalle stesse istituzioni europee, rendono l’austerity una necessità alla quale i paesi più deboli devono adeguarsi senza se e senza ma. Indipendentemente da chi sia al governo nei singoli stati e da cosa abbia promesso al suo elettorato. Sta proprio qui l’altro motivo della crisi di Syriza: l’aver fatto credere che ci sia una prospettiva di benessere per la Grecia dentro l’euro. Puntando su questa contraddizione economica che tranquillizzava gli elettori si sono raccattati molti voti, ma quando la forza della realtà ha smentito gli slogan rendendo di fatto impossibili politiche di investimenti e crescita, sono partite le divisioni.
Dal canto suo il furbo Tsipras, continuando a negare l’equazione euro uguale austerità, è costretto a fare sempre esattamente il contrario di quello che promette. Gioca così in modo spregiudicato la sua personale partita politica, sfruttando la residua popolarità per provare a vincere le elezioni e attuare senza dissensi il famigerato memorandum (al quale lui stesso aveva dichiarato guerra ai tempi del referendum). È l’ennesima capriola di un leader camaleontico, capace di trasformarsi come se nulla fosse da rivoluzionario a conservatore, da eroe della patria a traditore del popolo.
Insomma, le contraddizioni e le incognite della situazione greca dovrebbero servirci da esempio per aprire una seria discussione di riforma dell’Europa e delle sue inquietanti ambiguità. Se le classi dirigenti non ne prendono atto, rischiamo di distruggere tutto ciò che di nobile esiste nel progetto europeo, perdendo al contempo un bene preziosissimo: la democrazia.
*Massimo Manzo, classe 1986, dopo la laurea in giurisprudenza si è convertito al giornalismo, occupandosi di divulgazione storica e relazioni internazionali. E' membro della redazione di InStoria (rivista online di Storia e informazione) e collabora con altre importanti riviste tra cui Focus.