Cinquant’anni fa di questi giorni Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi iniziavano le riprese di un documentario destinato nel 1966 a riscuotere vasti consensi internazionali, ma anche a scatenare l’animosità di circoli progressisti europei, americani. Il documentario, che fece registrare enormi incassi specie in Italia, Francia, Gran Bretagna, s’intitolava (prodotto e distribuito da Rizzoli) “Africa addio”. Fu calcolato che un italiano su cinque assistè alle proiezioni in cinema di città, in cinema di provincia: percentuale assai alta, eloquente sotto ogni aspetto.
Si trattò di una pellicola che, in un senso o nell’altro, scosse, infiammò, turbò parecchi spiriti in particolar modo fra noi italiani che all’epoca avevamo diciannove, vent’anni ed eravamo animati da grandi, e opposte, passioni. Fu un esempio di giornalismo novecentesco: accurato, esplicito, corredato da una notevole conoscenza della Storia, del mondo, di come funzionano i rapporti di forza. Girato in Kenya, Tanzania, Zanzibar, Congo e in altri Paesi africani ancora, fu un pugno nello stomaco: nello stomaco dei progressisti quanto nella pancia di quelli influenzati da profondo scetticismo nei riguardi della de-colonizzazione ispirata, perfino imposta in vari casi, dagli Stati Uniti.
“Africa addio” pose l’accento sulla criminosa frettolosità con cui si svolse il processo di de-colonizzazione. Chiamò in causa la scarsa familiarità africana col concetto dello Stato etico, denunciò il vuoto di potere lasciato dagli europei, vuoto di potere sfruttato alla svelta da demagoghi, da ‘capataz’, da rètori africani, in realtà interessati soltanto – come dimostrato dai fatti – alla conquista del potere, al mantenimento del potere su basi tribali, religiose. E sul piano di connivenze con le nascenti multinazionali occidentali… Capi africani che per proprio interesse, per interesse della propria etnìa, condannavano altri africani, altre moltitudini di africani, allo sfruttamento, al servaggio, all’abbrutimento. Parlano chiaro i conflitti, innumerevoli, succedutisi fino a oggi nell’Africa Occidentale, specie in Nigeria, Costa d’Avorio, Ghana, nel Burundi, nel Ruanda. E in Somalia, anch’essa abbandonata a se stessa.
Parla chiaro, come dimostrato da Jacopetti e Prosperi già mezzo secolo fa, lo sterminio della fauna africana, ‘in primis’ la decimazione di elefanti, ippopotami rinoceronti, sacrificati all’indecente turismo occidentale (il “safari”…), sacrificati ai bassi, turpi, interessi di bottega di ministri, funzionari, poliziotti africani appunto in combutta ‘monetaria’ con bianchi tipo il dentista americano, l’assassino, settimane fa, nello Zimbabwe, del leone “Cecil”; campione “assoluto” di arrampicamento sugli specchi… “Non sapevo che il leone fosse oggetto di studi”, dichiarò giorni fa l’inqualificabile personaggio…
Un pugno nello stomaco, eccome, “Africa addio”, che ci rivelò la micidiale caccia all’arabo avvenuta mezzo secolo fa per mano di etnie nere che, oltretutto, non erano mai state vessate, sfruttate, ricattate, da commercianti musulmani. Un cazzotto nello stomaco le uccisioni di bianchi in Kenya a opera dei Mau-mau; uccisioni, e stupri, di donne, uomini, bambini, bambine: assassinio di genti che mai avevano nuociuto ai neri, anzi: avevano creato lavoro, avevano garantito salari, s’erano comportate con decenza, con senso di giustizia. Avevano tutelato la pace razziale, la pace sociale, finchè sulla scena erano balzati i de-colonizzatori e i loro alleati africani in cerca, appunto, del potere: del potere illimitato nei riguardi dei loro cittadini, ma ‘limitatissimo’ nei confronti delle avide multinazionali sostituitesi ai governi europei.
Maghreb, Africa Nera… L’uno e l’altra rappresentano l’enorme bacino d’un mondo che ha creduto sia in “dei falsi e bugiardi”, sia in spiriti candidi, generosi, ma ingenui, drammaticamente ingenui, i quali hanno quindi fatto il gioco degli approfittatori, degli sciacalli, dei “pescecani”.
Ne è prova l’assalto dei migranti alle coste italiane, macedoni, greche; inglesi. E’ un assalto sistematico, incessante; secondo noi, per la sua dinamica, perfino pianificato da governi decisi a liberarsi di quanti più cittadini possibili; di quanti più “pesi” possibili. Altrimenti, non si spiega. Dov’è che tutta quella massa di gente trova i soldi per spostarsi, i soldi da consegnare agli scafisti? Un passaggio dalla Libia alla Sicilia non è che costi 50 euro…
Eccolo, allora, il fallimento della de-colonizzazione: o di come la de-colonizzazione venne eseguita. Venne eseguita con puerilità, con emotività, senza il sostegno d’un sano, umano realismo.
Un secolo e mezzo fa ebbe avvio lo “Scramble for Africa” a opera di inglesi, francesi, belgi, tedeschi; di italiani in seconda battuta. Oggi ha invece luogo lo “Scramble for Europe” da parte di masse maghrebine, africane, medio-orientali.
Ma la classe politica europea non se ne rende conto. I “nani” d’Europa non sanno rendersene conto…