Negli ultimi tre anni in Italia si è parlato di India quasi solo in relazione alla “vicenda marò” e in questi giorni se ne sta riparlando perché c'è stato un nuovo rinvio dell'udienza. E’ di qualche ora fa la notizia che il tribunale speciale di New Delhi incaricato di esaminare l'”incidente” che ha coinvolto nel 2012 i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha preso atto che il caso è tuttora all'esame della Corte Suprema ed ha quindi citato nuovamente le parti per il prossimo 1 luglio. Questo secondo fonti d'agenzia ANSA sul posto.
Merita a questo punto fare qualche passo indietro per ripercorrere alcuni “passaggi chiave” di questa vicenda ai quali, in molti casi non è stato dato il giusto rilievo e la giusta visibilità e che hanno, da un lato, condotto ad interpretazioni non sempre corrette e a desueti e talvolta inappropriati atteggiamenti sciovinisti da parte di un pezzo del popolo italiano e dall’altro hanno fatto emergere una mancanza quasi totale di conoscenza da parte dei più dell’India. Un Paese che continuiamo a chiamare “emergente” ma che risulta in realtà essere – e lo sta dimostrando – un “player globale” del tutto “emerso” che rischia di far apparire noi, italiani prima ed europei poi, come “emergenti di ritorno”, immersi in una realtà come “vorremmo che fosse” piuttosto che quella “che è”.
Si ritiene innanzitutto necessario sottolineare come il termine “ incidente” al quale ci si riferisce quando si parla del fatto relativo ai marò non risulti appropriato e paia essere adoperato più per consuetudine che per ratio. Con il termine “incidente” ci si riferisce infatti ad un evento, ad un fatto che viene improvvisamente a interrompere il procedere regolare di un'azione; più specificatamente, si tratta di un fatto imprevedibile, che ha gravi conseguenze e non è intenzionale, cui difficilmente risulta assimilabile l’azione compiuta dai marò, ossia l’esplosione di colpi d’arma da fuoco, soprattutto se a sparare sono per l’appunto due fucilieri di marina, che si immagina siano stati adeguatamente addestrati e ritenuti in grado di svolgere l’incarico al quale erano stati assegnati.
Tutto ha inizio il 15 Febbraio 2012: la petroliera italiana Enrica Lexie naviga al largo della costa del Kerala verso l’Egitto. A bordo ci sono 34 persone, tra cui sei marò del Reggimento San Marco con l’incarico di difendere l’imbarcazione da eventuali abbordaggi e assalti di pirati. A breve distanza si trova il peschereccio indiano St. Antony sul quale vi sono 11 persone. Intorno alle 16:30 locali si verifica il fatto che vede implicati i due marò: l’Enrica Lexie ritiene infatti di essere sotto un attacco pirata e i due fucilieri aprono il fuoco contro la St. Antony uccidendo Ajesh Pinky (25 anni) e Selestian Valentine (45 anni), due membri dell’equipaggio, che si appura poi essere soltanto due pescatori.
La St. Antony avvisa la guardia costiera del distretto di Kollam in Kerala che a sua volta contatta l’Enrica Lexie, chiedendo conferma dell’accaduto. L’Enrica Lexie conferma e a quel punto le viene chiesto di attraccare al porto di Kochi.
La Marina Italiana ordina al capitano della Enrica Lexie, di non attraccare e di non far scendere a terra i fucilieri.
Il capitano – che è un civile e risponde agli ordini dell’armatore e non dell’Esercito italiano – fa quanto richiesto dalle autorità indiane. E qui va subito sottolineato che la presenza di militari italiani a presidio di un mercantile privato italiano è possibile in virtù di una legge 130/2011 disegnata dall’ex. Ministro della Difesa, Ignazio La Russa , mentre in genere, negli altri paesi, la difesa di un mercantile viene affidata a contractors privati.
La notte del 15 febbraio, sui corpi delle due vittime viene eseguita l’autopsia e qualche giorno dopo, il 19 febbraio i due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone dopo essere stati interrogati dalle autorità indiane ed essersi in prima battuta difesi affermando di aver sparato colpi di avvertimento e dunque di aver ucciso soltanto per errore, sono accusati di omicidio e arrestati. La Corte di Kollam decide che i due militari siano tenuti in custodia presso una guesthouse della CISF (Central Industrial Security Force, invece che in un normale carcere. L’allora sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura raggiunge i militari in India: per l’Italia l’India non ha giurisdizione per il processo dato che sostiene che il fatto è avvenuto in acque internazionali; ha così inizio la controversia tra i due Paesi.
Nonostante i tentativi di dimostrare una verità differente, per quanto concerne la posizione esatta in cui si trovava l’Enrica Lexie, la perizia svolta dalle autorità indiane è da considerarsi valida.
La squadra d’investigazione speciale che si è occupata del caso, già nel maggio 2012 aveva depositato presso il tribunale di Kollam la documentazione a supporto dell’accusa di omicidio, facendo riferimento ai risultati dell’esame balistico e alla posizione della petroliera italiana quando vengono sparati dai marò i colpi di fucile. Secondo i dati recuperati dal GPS della petroliera italiana e le immagini satellitari raccolte dal Maritime Rescue Center di Mumbai, l’Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa del Kerala, nella cosiddetta «zona contigua».
Il diritto marittimo internazionale considera «zona contigua» il tratto di mare che si estende fino alle 24 miglia nautiche dalla costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria giurisdizione.
A tre anni di distanza, dopo l’esclusione inizialmente paventata dall’India circa la possibilità di applicazione della pena di morte ai fucilieri italiani in virtù del SUA Act – il corpo di leggi sulla Soppressione degli atti illegali – dopo la creazione di un Tribunale Speciale a New Delhi per il caso marò, dopo permessi su cauzione per il rientro in Italia dei due fucilieri in diversi momenti ( per es. le vacanze di Natale), dopo i risarcimenti alle famiglie dei pescatori indiani, dopo incidenti diplomatici e malori, la vicenda è ad oggi ancora irrisolta.
La questione risulta infatti a tutt’oggi estremamente complessa, sia per il gravissimo fatto accaduto sia per l’interpretazione giuridica di molti passaggi, sia in termini di gestione diplomatica: di certo, la debolezza argomentativa dell’Italia è cosa che trapela immediatamente. E soprattutto risulta evidente la sottovalutazione dell’India da parte dell’Italia.
Tra le altre cose vi sono alcune questioni sulle quali sarebbe forse opportuno riflettere, per esempio, quanto costino i marò e l’incidente da essi provocato, all’Italia: si stima che, solo per avvocati, studi legali e consulenti, il costo sia intorno ai 4 milioni di euro, a cui vanno aggiunti i costi impliciti nella permanenza presso l’ambasciata italiana in India, le spese di viaggio per i vari rientri in Italia, per le visite in India da parte dei familiari, etc….
L’altra questione attiene al valore della vita umana: poiché l’accento è quasi sempre stato posto sulla situazione in cui "versano" i marò – che a onor del vero non hanno fatto un solo giorno di carcere e hanno sempre alloggiato, con restrizioni minime della loro libertà, in resort e hotel, prima di risiedere definitivamente nell’Ambasciata italiana – sarebbe forse opportuno porre la dovuta attenzione a coloro che sono stati uccisi, i due pescatori indiani.
Altrettanto discutibile e in realtà poco plausibile, la continua richiesta dell’Italia di “internazionalizzare” il caso marò, trattandosi a tutti gli effetti di una disputa bilaterale ( e molto economico – commerciale) fra Italia e India come più volte sostenuto dallo stesso segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon che ha più volte definito il caso marò “una questione bilaterale che non coinvolge le Nazioni Unite”, rifiutando apertamente l’intervento dell’ONU nella negoziazione con l’India per riportare a casa i due marò, non intravedendosi gli estremi per un tale intervento.
Così come poco percorribile risulta la via dell’arbitrato internazionale che prevede, in primis, il consenso di entrambe le parti di avvalersene e per ora l’India non ha confermato la sua disponibilità.
Con un tasso di crescita medio negli ultimi tre anni del 5,5% e con una previsione del 7,5% per il 2018 – rispetto allo 0,5% dell’UE nel 2013, 0,8 % nel 2014 e un previsto 1,1 % nel 2015 e rispetto al -1,4% nel 2013 dell’Italia , – 0,5% nel 2014 e +1% nel 2015 – con un afflusso di investimenti dall’estero che negli ultimi 10 anni si è moltiplicato a tassi di crescita dell’11%, raggiungendo nel 2013 i 23 miliardi di dollari, con il settore dell’Information Technology cresciuto ad un tasso medio annuale di circa il 50% dal 1993, per un giro d'affari pari a 29,6 miliardi di dollari, con Bangalore ( designato Distretto mondiale dell’Innovazione da WEF) che fa oggi concorrenza alla Silicon Valley, l’India è oggi una potenza economica mondiale e il suo peso economico si sta inevitabilmente trasformando in peso politico che forse l'Italia sta iniziando a comprendere.
Non sorprende peraltro che recentemente, a proposito della vicenda marò, l’attuale premier indiano Narendra Modi abbia affermato con estrema chiarezza come l’India sia uno Stato di diritto, e come la questione sia anzitutto all’attenzione della magistratura.
Nella gestione marò vi è forse veramente stata una sottovalutazione da parte dell'Italia di questo paese, che, da potenza economica sta diventando anche potenza politica e soprattutto l'Italia pare aver sottovalutato le conseguenze di un Giudizio pendente di fronte alla Corte Suprema di uno stato sovrano che è anche la più grande democrazia al mondo.
Laureata all’Università L. Bocconi di Milano in “Economia politica”, Emanuela Scridel ha lavorato presso Organismi Internazionali quali le Nazioni Unite e la Commissione Europea e presso istituzioni pubbliche e private, fra cui Confindustria, Ministero Affari Esteri, Ministero dei Beni Culturali. E’ attualmente Esperto presso la Commissione Europea e docente di strategie internazionali presso diverse università fra cui SDA Bocconi e LUISS. E’ autrice di numerose pubblicazioni fra cui il volume: “L’India: da paese in via di sviluppo a potenza economica. Strategia di sviluppo e ruolo dei mercati finanziari internazionali”.