Ero certo che Silvio Berlusconi sarebbe stato assolto. Non per particolari doti divinatorie: mi è bastato sentire la requisitoria del procuratore generale Edoardo Scardaccione che chiede l’annullamento della sentenza di assoluzione disposta dalla Corte di Appello, per poi così poter rifare il processo. Per il procuratore generale la telefonata di Belusconi alla Questura di Milano la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 costituisce “una violenza irresistibile per ottenere un risultato indebito” (l’affidamento della minorenne Ruby a Nicole Minetti); un intervento che “ghiacciò” ogni resistenza del Capo di Gabinetto Pietro Ostuni (“che fece ben quattordici telefonate in venti minuti”), “un intervento grave, perdurante, irresistibile”, con “una potenza di fuoco “, tale da annullare ogni autonoma, e innescare “una catena di ulteriore violenza”, esercitata Ostuni ai suoi sottoposti per far consegnare Ruby a Minetti. Secondo il Procuratore Generale la telefonata di Berlusconi è “degna di Scherzi a parte, la storia che Ruby fosse la nipote del presidente egiziano Mubarak “un film di Mel Brooks”, qualcosa che ha fatto ridere tutto il mondo; la “paura” suscitata su Ostuni simile a quella del manzoniano don Abbondio dinanzi ai bravi di don Rodrigo.
Giusto per intenderci: il comportamento di Berlusconi è stato riprovevole. Quello che il signor Berlusconi fa all’interno della sua abitazione, chi frequenta il suo letto, sono fatti suoi, e suoi devono restare. Se il signor Berlusconi è, come all’epoca dei fatti era, presidente del Consiglio, un politico con responsabilità, che ha il dovere di comportarsi con decoro, e non solo di “essere”, ma anche “apparire”, sono anche fatti miei: di cittadino elettore e non suddito; lo giudico, valuto i suoi comportamenti, lo premio con il mio voto, lo punisco negandoglielo.
Certamente posso ritenere riprovevole e irritante che l’Italia abbia avuto per presidente del Consiglio un personaggio che fa ridere il mondo con la storia della nipotina; come probabilmente ha riso il mondo con la storia di spinelli fumati senza essere aspirati, o rapporti sessuali incompleti di altri presidenti. Che questi però siano configurabili come reati, è altamente opinabile; che un procuratore generale faccia ricorso all’argomento della “risata mondiale”, significa solo che non si hanno argomenti solidi, e si confida in evocazioni e immagini suggestive. Una sorta di toppa, che non cela il buco.
C’è poi la questione della concussione. E’ credibile che il Capo di Gabinetto e i suoi sottoposti abbiano aderito di buon grado agli inviti di Berlusconi, e magari pregustato vantaggi e “riconoscenza”. Ma il problema non è quello che si ritiene credibile e immaginabile; il problema è che in un’aula di tribunale si deve provare quanto si sostiene. Quale vantaggio è stato promesso, e soprattutto quale vantaggio si è ricavato? Se questo non viene provato, l’assoluzione è la logica, inevitabile conseguenza. Se poi si scomoda, la categoria della paura (don Abbondio dinanzi ai bravi), perché la richiesta proveniva dal presidente del Consiglio (“effetto paralizzante”), occorre pur esibirla, la prova di questa costrizione; e bisogna pur trovarlo un accordo: Ruby viene consegnata a Minetti per ottenere un vantaggio, oppure perché si ha paura delle conseguenze di un NO? Non si può, sempre a lume di diritto (e di diritto si opera in Cassazione, non su altro), sostenere entrambe le cose; se lo si fa, come si è fatto, il risultato, inevitabile, è che la richiesta sia respinta.
A questo bisogna aggiungere che la prima condanna a sette anni di reclusione, quella del 2013, poggia su una legislazione che poi viene mutata: la norma sulla concussione per induzione diventa un reato autonomo (“induzione indebita”), diversa nella struttura, e sanzionata in modo più blando. E’ la cosiddetta legge Severino, una legge votata al tempo del governo Monti, da una strana maggioranza che va da destra al centro fino alla sinistra. Qui, giocoforza occorre far ricorso a un gergo tecnico e da addetti ai lavori; i presupposti necessari sono due: “l’abuso prevaricatore del pubblico agente”; “il fine determinante di vantaggio indebito”. Senza questi due elementi, stabilisce la legge Severino, non c’è, piaccia o meno, alcuna rilevanza penale. A questa prescrizione si era dovuta attenere la corte d’Appello; a questa prescrizione si è attenuta la corte di Cassazione.
A suo tempo qualche costituzionalista, qualche giurista provò a mettere in guardia l’allora Governo e l’allora maggioranza da quello che stava prefigurando. Quel Governo, quella maggioranza hanno preferito ignorare quei moniti, quegli allarmi. Oggi si raccoglie quello che si semina.
Poi, come s’è detto, resta il “processo” politico. “Would You buy a used car from this man?”, si leggeva sui manifesti che ritraevano un mefistofelico Richard Nixon. La stessa domanda la si può benissimo fare a proposito di Berlusconi. Ma certo che no, neppure il portachiavi dell’automobile, si acquisterebbe; ma è il cittadino che deve decidere se acquistare o meno l’automobile. I tribunali c’entrano poco, per non dire nulla.