Alcuni giorni fa, il primo ministro francese Manuel Valls ha affermato che il Fronte nazionale di Marine Le Pen è alle soglie del potere.
Questa straordinaria ammissione di debolezza, benché pronunciata in italiano davanti a una platea di supporter di Matteo Renzi, era in realtà un messaggio lanciato in patria a quei suoi compagni di partito (socialista) che stano meditando di far cadere il suo governo (socialista), e che potrebbero anche riuscirci, la settimana prossima.
Per un pubblico non avvertito, occorre ricordare che il Partito socialista francese è in realtà composto da (almeno) tre partiti. Uno, incarnato fra gli altri dallo stesso Valls, è europeista realista, cioè cosciente che la Francia può esistere solo come parte dell’Europa e auspicherebbe di intraprendere le riforme necessarie per restarvi. Un altro è, si potrebbe dire, europeista immaginifico, cioè pensa che la Francia possa dettare le proprie condizioni al resto dell’Europa, a cominciare dalla Germania. Un terzo partito è quello degli alter-europeisti, per i quali “un’altra Europa è possibile”, senza l’euro, senza la Germania e possibilmente senza nessun altro paese europeo. Va da sé che le sfumature intermedie sono tante quanti sono i membri del Partito socialista.
Da una ventina d’anni, un incolore travet della politica passa la maggior parte del suo tempo a tentare di tenere unita quell’improbabile confederazione. Il suo nome è François Hollande e la sua specialità è sempre stata quella di incollare, incerottare, coprire di una garza pietosa incompatibili divergenze. Aggravate da quello che è stato definito, con eccesso di retorica, un conflitto di personalità (dove l’eccesso non sta nel conflitto, che è invero spietato).
Quel travet incolore è assurto alla più alta carica del paese per due circostanze straordinarie e una ordinaria. La prima straordinaria, è l’autoaffondamento del suo predecessore, Nicolas Sarkozy, prova vivente che una stessa persona può grandeggiare nell’arte della conquista del potere e fallire pietosamente nell’arte di conservarlo. La seconda, è l’autoaffondamento dell’ex futuro presidente Dominique Strauss-Kahn, un eurorealista “prestato” al Fondo monetario internazionale dallo stesso Sarkozy nella speranza di neutralizzarne le ambizioni in patria: com’è noto, si neutralizzerà da sé.
La circostanza ordinaria è invece l’assenza di personalità di spicco (al di fuori di Strauss-Kahn) all’interno del Partito socialista. Per cui la scelta di Hollande come candidato non era solo un premio alla sua indefessa attività di incollatore, ma anche la dimostrazione della veridicità di un noto proverbio francese: au royaume des aveugles, les borgnes sont rois (più o meno traducibile con l’italiano “quando non corrono i cavalli, corrono gli asini").
Il re borgne si è fatto incoronare sulla base di un programma fantasioso, corrispondente all’incirca alle posizioni euro-immaginifiche descritte sopra, nella speranza che la strada mediana gli avrebbe permesso di tenere insieme euro-realisti e alter-europeisti. Hollande non poteva non sapere che le sue promesse erano impraticabili; ma quella non è stata la sua colpa più grave: secondo un aforisma messo in voga da un altro celebre politico francese, infatti, le promesse impegnano soltanto quelli che ci credono. La colpa più grave di Hollande è stata quella di gestire l’esecutivo della seconda potenza europea come se fosse il Partito socialista: incollando, incerottando e coprendo con una garza pietosa incompatibili divergenze.
Il risultato è stato, manco a dirlo, l’inazione. La dimostrazione del fallimento dell’esperienza Hollande non sta tanto nel suo livello di popolarità ormai sceso al 13%, quanto nella crescita ferma allo 0%, nell’aumento incessante della disoccupazione, nella certezza di non raggiungere l’obiettivo di riduzione del deficit nei tempi previsti, nel calo inesorabile della produzione industriale e nella fuga degli investitori, condita anche da un calo del turismo. E nella perdita di peso in Europa.
Jean-Claude Juncker ha proceduto a una modifica degli assetti istituzionali del Consiglio europeo per poter permettere una sorta di commissariamento della Francia: il lettone Valdis Dombrovkis, commissario all’euro, noto per aver rilanciato l’economia del suo paese applicando rigorosamente la “ricetta tedesca”, avrà il compito ufficioso di costringere il suo nuovo collega all’Economia, Pierre Moscovici, ad imporre alla Francia le misure che lui stesso fu incapace di imporre quando era ministro dell’Economia del primo governo dell’era Hollande.
In questo scenario, un centinaio di deputati socialisti minaccia di non votare la fiducia al terzo governo dell’era Hollande la settimana prossima, accusandolo di voler applicare la “ricetta tedesca” (o, come si dice nel gergo politico francese, di “essere di destra”). Nessuno, tra i frondisti socialisti, pare rendersi conto di due paradossi: il primo è che il loro nuovo e ultimo mito “di sinistra” è il democristiano Matteo Renzi, che da tempo dichiara urbi et orbi di voler applicare lo stesso programma ora annunciato da Valls. E il secondo è che, alle prossime elezioni presidenziali, saranno costretti a votare Sarkozy per impedire a Marine Le Pen di diventare presidente della Quinta Repubblica.
Caveat: È improbabile che il governo Valls cada la settimana prossima, anche se rischia la sopravvivenza in stato vegetativo. E non è certo che Nicolas Sarkozy, il cui rientro ufficiale in politica è ugualmente annunciato la settimana prossima, riesca ad arrivare indenne fino alle prossime elezioni presidenziali (essendo implicato in 12 affaires). Insomma, l’unico elemento certo resta Marine Le Pen.
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