Mentre l’On. Bindi si riscuote dalla sua condizione di lèmure della politica, certificando che le Ministre in carica devono l’augusto ruolo alla loro venustà, in varia mistura con la loro “bravura” (lei rilascia pagelle senza limiti di competenza, ca va sans dire), con un gusto e un acume critico da rancido sagrestano dell’800, sono in corso le elezioni di due giudici costituzionali e di otto consiglieri non togati del CSM. Il quorum è alto, così, nonostante la costante convergenza fra Renzi e Forza Italia, la faccenda va per le lunghe.
Ed è, questo del giuridico-giudiziario, il terreno su cui l’area generazional-politica alla quale l’On. Bindi concorre si appresta ad avviare la sua campagna d’autunno. Contro Renzi e il suo alleato. Non solo perché sul Disordine Giudiziario essa ha largamente fondato le sue fortune e perché, conseguentemente, se perdesse questa roccaforte, la disfatta sarebbe inevitabile; ma anche perché i Gruppi Parlamentari (cioè, materialmente, i singoli deputati e i singoli senatori) sono ancora quelli scelti da Bersani, e gli elettori di questa delicatissima elezione sono proprio loro.
Ora, se è vero che molti sono volati in soccorso del Renzi-vincitore e, pertanto, non gli sono certamente ostili ventre a terra, è pure vero che alcuni di essi tali sono rimasti e che, fra i tiepidi, ci sono non pochi con i fianchi molli, cioè “lavorabili”. Inoltre questo Parlamento, a dispetto di numerose attestazioni di longevità, tutto è, meno che inaffondabile; questa battaglia parlamentare, peraltro, potrebbe veicolare una quantità di negoziati individuali, da rilanciare in vista delle sempre meno remote elezioni del Presidente della Repubblica, anch’esse schietto attributo parlamentare; sicchè, per i fautori della Tirannide giudiziaria, i margini di manovra non sono né esigui né incerti.
Ci sono poi due ulteriori elementi che urgono sulla questione Consulta/CSM. Uno è di ordine simbolico. Candidato alla Consulta è Luciano Violante che, secondo certa ermeneutica teppistica, costituirebbe una sorta di compendio vivente di tutto quello che ostacola i pubblici ministeri de la revoluciòn (“Mani Pulite”, la Rivoluzione Italiana, copyright Giorgio Bocca). L’altro è di ordine culturale. Questi ragazzi del ’77 male invecchiati sono cresciuti tirando sanpietrini per le pubbliche vie (o peggio), monetine (a Luciano Lama e, in amarcord, a Craxi), ostentando, a sostegno del loro sterile e petulante spirito interdittivo, conoscenze letterarie e filosofiche superficiali (quando non malamente orecchiate); e, nonostante un piglio esegetico che nemmeno Tommaso d’Aquino, alla fine della fiera hanno sempre e solo puntato l’indice, urlato improperi, digrignato denti, sbavato pettegolezzi. In sintesi, hanno la loro forza nella suggestione del no, dell’invettiva che non si preoccupa di motivare alternative e argomenti.
E proprio l’interdizione unita all’invettiva scomunicante costituisce l’immonda filigrana dell’ “azione penale di mascariatura”, che bolla d’infamia e poi si vede; i processi (dopo vent’anni di “cura Mani Pulite”) sono alterati in radice, manipolati, prima ancora che nella formazione della prova, nella stessa percezione della loro funzione. Un processo concluso con un’assoluzione è subito fatto mordere dal sospetto; una sentenza di assoluzione, se proprio non si può dire altro, si deve sempre poter interpretare; la condanna, invece, è sempre e solo condanna. Tendenzialmente funziona così: dalla lite per ingiurie col vicino fino ad ogni grande processo più o meno “del secolo”.
Caso di scuola: il Generale Mori. Assolto dall’accusa di non avere perquisito il covo di Riina, è stato poi accusato di non avere catturato Provenzano; assolto anche da questa accusa, è ora implicato nel processo sulla c.d. trattativa. L’andamento è a cerchi concentrici. L’assoluzione viene “scavalcata” da un’ ipotesi a raggio maggiore, che la comprende e la supera. E crescono anche i coindagati, in numero e in qualità istituzionale. E così si può rilanciare all’infinito. L’attuale Ordinamento Giudiziario consente questo e altro. La vita dei cittadini, per la verità, un po’ meno.
Perciò, Corte Costituzionale e CSM sono terreni di scontro primario ed esiziale. Vi convergono radici culturali (diciamo “lo spirito del veto”), tecniche propagandistiche (il “traditore” Violante), strategie operative (la fanteria parlamentare, in parte fedele alle spinte reazionarie, in parte in bilico, quindi, capace di voltar gabbana); necessità di potere (il giuridico-giudiziario è la roccaforte che Renzi deve espugnare e che i reazionari devono tenere).
Per ora sono stati mandati in avanscoperta rituali messaggeri (indagini, aperte e debitamente passate alla stampa, a carico di candidati alla presidenza della Regione Emilia-Romagna: e non è un caso che la “regione rossa” per eccellenza registri un simile inedito). Renzi ha accettato sarcasticamente la sfida (“uh che paura!”), ma non le regole d’ingaggio, precisando che la selezione della classe dirigente politica “spetta ai cittadini e non a soggetti esterni”. E aggiungendo che se potesse, ripeterebbe “domani mattina” la designazione di Claudio De Scalzi quale CEO di ENI, fresco di nomina (Aprile di quest’anno) e fresco di indagini (corruzione internazionale e varie altre amenità tipiche della procura di Milano). Bravo.
Fra due settimane, il giorno 25, la Corte d’Assise di Palermo deciderà definitivamente (forse) sulla testimonianza del Presidente Napolitano in seno al processo sulla c.d. trattativa; testimonianza-guidrigildo, giacchè, com’è ampiamente noto, è stata richiesta col precipuo scopo di rappresentare quella stessa supremazia generazional-politica e liberticida di cui ho parlato. Un trait d’uniòn, diciamo, fra le elezioni della Consulta e del CSM e quelle del prossimo Presidente della Repubblica.