Il bilancio, a sei mesi dallo scoppio dell’epidemia di ebola in alcuni Paesi dell’Africa occidentale, lascia con il fiato sospeso: 1.900 morti, 3.500 casi, una spesa calcolata in 600 milioni di dollari per combattere il virus, una perdita in termini economici pari a 67.8 miliardi dollari (African Development Bank) e di 879.000 posti di lavoro solo dal turismo, nere previsioni di riduzione del PIL. Tutto questo nella prospettiva – avverte l’Organizzazione Mondiale della Sanità – che più di 20.000 persone potrebbero contrarre la malattia nei prossimi mesi se non si riesce a controllare l’espandersi dell’epidemia.
Guinea, Sierra Leone e Liberia. E gli ultimi casi accertati in Senegal e Nigeria. Mentre i casi della Repubblica Democratica del Congo sembrano riferirsi ad un diverso ceppo del virus. La velocità di diffusione ha allertato gli organismi internazionali arrivati in soccorso dei medici locali e delle ONG – Medici senza Frontiere in testa – che nei mesi scorsi hanno lanciato diversi segnali di allarme. Denunciando l’inadeguatezza dei loro mezzi e strutture. E spesso ammettendo di non avere neanche le conoscenze necessarie a comprendere la presenza del virus nella persona ammalata. L’ebola si presenta infatti come altre malattie endemiche in quell’area del continente – malaria e febbre tifoide per esempio – e tantissimi sono i casi di persone che ricorrono alle cure mediche quando è ormai troppo tardi.
Agire in fretta è per il momento l’unica arma visto che non esiste ancora un vaccino o cura accertati. Così i medici si affidano ad anticoagulanti – o coagulanti nelle fasi avanzate della malattia – soluzioni di elettroliti, mantenimento dei livelli di ossigeno, medicinali contro la diffusione di batteri e altre infezioni. Ma il virus è mortale nel 90% dei casi – anche se in questa epidemia la mortalità si sta rivelando al 55% circa dei casi. Solo speranze, finora, quelle riposte nei trattamenti sperimentali, come il ZMapp – utilizzato dietro consenso su due ammalati statunitensi, poi guariti. E l’epidemia ha generato una produzione inaspettata di probabili vaccini o addirittura pillole, come il Favipiravir in Giappone e la JK-05 in Cina.

Mappa a cura dell’OMS
Intanto si combatte sul campo. E si combatte anche contro pregiudizi, ignoranza, paura. Il numero delle vittime potrebbe anche essere sottostimato perché ormai a diffondersi è anche lo stigma nei confronti di chi contrae il virus e della famiglia. E ci si nasconde, invece di correre in ospedale. C’è poi in molti la convinzione che è meglio affidarsi a medici e cure tradizionali “perché questa malattia ce l’hanno portata i bianchi”. Ignoranza anche in Occidente, però, sulle modalità del contagio che, come la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha ribadito, non avviene per via aerea. A portare la malattia sono frutti trasportati da pipistrelli e carne selvatica, mentre il virus si diffonde attraverso lo scambio o il contatto con liquidi della persona infetta (ecco perché molti casi riguardano medici e i familiari che hanno toccato il corpo del defunto o lo hanno lavato prima dei funerali). E anche vivere in condizioni igieniche precarie fa la sua parte. Ma la paura resta ed è questa che sta provocando una seria flessione turistica anche in Paesi che dall’ebola non sono stati toccati. Come il Ghana, dove alberghi, strutture ricettive e luoghi naturalistici sono quasi vuoti.
Proprio il Ghana sta rivestendo un ruolo di primo piano in questa fase di emergenza. È stato lo stesso segretario dell’ONU, Ban-Ki-moon a chiedere al presidente John Dramani Mahama di “offrire” il Paese come base logistica per il passaggio e trasporto di medicinali e strutture destinate ai Paesi colpiti dal virus. Del resto, da marzo in poi, Accra ha ospitato tutte le riunioni straordinarie dei ministri dell’ECOWAS e dei membri dell’OMS. In cambio l’ONU aiuterà il Ghana a prevenire l’espandersi del virus. La decisione si è resa necessaria a causa della sospensione di voli verso quelle aree. Lo stesso Ghana – primo fra tutti – settimane fa ha deciso di bloccare gli atterraggi dai Paesi colpiti. Accra rappresenterà quindi un corridoio per fare arrivare tutto il supporto possibile ai medici a agli ospedali in prima linea. E nel programma speciale saranno coinvolte le Forze Armate. Intanto il Governo ghanese ha anche annunciato il finanziamento di 100.000 Ghana Cedi per ognuno degli ospedali regionali del Paese, soldi che dovranno essere spesi per Centri di isolamento per i malati di ebola. La paura è forte e l’avvertimento dell’OMS sulla probabile accelerazione dell’epidemia ha creato un costante stato d’allerta. Agire in fretta è quello che si deve fare.