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Primo Piano
September 6, 2014
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September 6, 2014
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Le forze della legge, dell’ordine… e dei contratti!

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Time: 4 mins read

Ma cosa pensano gli italiani protetti? Che siano tutto uno scherzo la crisi economica, i soldi finiti, intere generazioni di adolescenti indotte a sfiorire sorridendo, ad infarcirsi di diplomi che attestano solo un perenne e mediocre apprendistato civile e culturale? Che siano uno scherzo la desertificazione della piccola e media impresa, il motore dell’Italia? Uno scherzo che abilità e conoscenze doviziosamente ricostruite per tutta la c.d. Prima Repubblica, rese moderne e persino avanguardistiche lungo una linea crescente durata fino a tutti gli anni ’80, “quando eravamo moderni”,  siano poi state consegnate, con dissolutezza anarcoide, ad un boia multibrand e multinazionale?  Uno scherzo la fine della Guerra Fredda, e della nostra posizione geopolitica primaria? Uno scherzo l’avvento dell’Euro e dei suoi processi inflattivi mascherati? Uno scherzo la stabile alterazione dell’equilibrio costituzionale fra i Poteri? Uno scherzo l’invettiva al posto del confronto, la maledizione al posto della competizione, lo slang nazistoide sugli “antropologicamente diversi” al posto della storica ma inappagata unità degli italiani? Tutto uno scherzo? A quanto pare sì. 

Ma chi sono gli italiani protetti e perché dovrebbero sforzarsi di intendere che quanto sopra richiamato non è stato uno scherzo? Sono i pubblici dipendenti. Perché sono protetti? Perché dei tre paradigmi necessari per una vita materialmente serena, la sicura periodicità del reddito, la saldezza del datore di lavoro, l’ordinato insediamento territoriale dell’attività lavorativa svolta, oggi il pubblico dipendente può vantarli tutti. Ma solo lui, ed è questo il punto. Una simile condizione, nell’angusta ed incerta temperie socio-economica di questi magnifici anni eurofili e senza dogana, permette di riconoscere allo status giuridico-economico dei pubblici dipendenti un attributo qualitativo prezioso e, soprattutto, distintivo.

Qualsiasi “giovane” fino a quarant’anni, che si dice persino soddisfatto e speranzoso se, per un semestre e poi si vede, fa il professore in Veneto con la moglie e il figlio in Sicilia (solo uno, naturalmente: ed già un arditezza), sa di cosa sto parlando. E lo sanno anche quelli che lo conoscono e lo frequentano ben protetti dalla fortezza Pubblico Impiego a tempo indeterminato. Per ogni altro, giovane o non più giovane, che non dispone nemmeno di questa zattera malferma con cui avviarsi alla sua “prima navigazione”, il minacciato sciopero generale delle Forze dell’Ordine, a causa dell’annunciato blocco agli stipendi fino al 2015, autorizza ogni risentita estraneità, ogni incredulo sbigottimento. Senza contare l’amenità tutta italiana di un sindacato in istituzionale conflitto con lo Stato, nelle sue numerose articolazioni.

Dallo scempio degli anni ’90 sono emersi sia la fortezza sia le generazioni fantasma. Che tutto sia divenuto dolorosamente chiaro solo negli ultimi cinque anni non deve distrarre dal rilevare che le cause sono da ricercarsi in quegli ampi rivolgimenti.    

Qualche giorno fa mi sono recato, insieme a miei ospiti “del Nord”, alle Gole dell’Alcantara. All’ingresso, per i biglietti, ci accoglie un ragazzo, avrà avuto una ventina d’anni, coi suoi basettoni tardo-punk, orecchino d’ordinanza e anello-metal all’indice. Simpatico, nella divisa dei suoi anni e del suo tempo comincia ad illustrare offerte, condizioni e itinerari del Parco. Parole chiare, briose persino, buon italiano, cortese, sorridente ma di un sorriso urbano e non affettato, tono della voce controllato, reazione alle battute confidente ma misurata. Nel frattempo, chiedendo scusa, si rivolge ad avventori stranieri che ci avevano preceduto nella coda, ma che erano tornati per una qualche ultima richiesta, e, in perfetto inglese, soddisfa la richiesta e torna a noi, scusandosi di nuovo. Evidentemente istruito, evidentemente stagionale, evidentemente pagato per staccare biglietti e non per quello che aveva studiato o per la bisogna aveva imparato (giacchè anche i riferimenti geologici, pur rapidamente passati nel suo eloquio agile e svelto, erano del tutto appropriati). Un figurone.

Ora, come sarebbe se, uno a uno, si potesse chiedere a quel ragazzo: “lo vuoi un posto in un ente pubblico, visto che qui ne abbiamo uno che non ce la fa più, a queste condizioni di blocco dello stipendio?”. Non lo sappiamo. Potrebbe accettare oppure no, e magari risponderci che ringrazia, ma che era lì solo per raggranellare qualche soldo, giusto pagarsi un biglietto aereo e lo stretto necessario per una prima permanenza, perché lui, finita l’estate, va all’estero.

Ecco, fingere che questo non sia il mondo, l’Italia in cui viviamo, che bisogna evitare “la guerra fra poveri”, o “fra generazioni”, o dar corso a simili altre stucchevoli ovvietà; aggiungere al danno dell’abbandono il sarcasmo della protervia, come fa Susanna Camusso, segretario della CIGL, quando parla di “soliti noti” a proposito di quelli che sopporterebbero il peso per tutti; insistere con l’equivoca propaganda dell’evasione fiscale, nei termini generici e pretestuosi in cui è promosso, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, tagliati in due col gessetto della signora maestra, significa avere perduto la benchè minima idea di comunità, di futuro e di decoro.       

     

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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