Sono due le domande che stiamo rischiando di perdere di vista, annegati in un clima politico che nell’ultima settimana ha concentrato il dibattito sulle accuse di Fratelli d’Italia al Pd (l’ultima, quella di venerdì: “Vi inchinate ai mafiosi”) e le repliche a suon di querele dei Democratici.
La prima domanda: come si riuscirà a risolvere il caso Cospito, evitando da un lato che l’anarchico si lasci morire in carcere – per ovvie ragioni umanitarie e per altrettanto ovvie ragioni politiche – e dall’altro di cedere a quello che rischia di prospettarsi come un ricatto, dato che rimettere in discussione una misura come il 41 bis in un contesto del genere è una strada praticamente impossibile da percorrere?
La risposta a questa prima, delicatissima domanda, ce la offre in parte il magistrato Gian Carlo Caselli: “Lo Stato non tortura e non si vendica, lo Stato lavora per affermare la legalità”. E sul 41 bis: “In un Paese abituato a farsi dettare l’agenda dall’emergenza, un tema così delicato può essere preso in mano solo in un clima di unità politica”.
Quindi, la prima e sola cosa da fare è “abbassare i toni” (parafraso le parole usate da Giorgia Meloni) in Parlamento: è chiaro che se c’è una possibilità di attenuare il pasticcio anche politico che si è scatenato da una gestione tardiva dell’affaire Cospito – l’anarchico ha iniziato lo sciopero della fame da ben cento giorni – è quella di raffreddare il surriscaldamento del dibattito tra i partiti che è andato, per usare un eufemismo, fuori controllo.
È questa, infatti, la condizione necessaria per provare a valutare con le cautele, certezze e garanzie di uno stato di diritto le condizioni e le richieste del detenuto, evitando strumentalizzazioni che stanno avendo il solo effetto di esasperare la situazione e di allontanare la soluzione di un problema giuridico e politico che si porta dietro una serie di effetti collaterali ancora imprevedibili e potenzialmente molto gravi.
E arrivo dunque alla seconda domanda: dobbiamo davvero temere, come Paese e come cittadini, il clima di tensione che ha preso piede negli ultimi giorni per colpa di frange antagoniste e anarchiche “fluide e orizzontali”, come le hanno definite le forze dell’ordine?
A differenze di quanto accaduto negli ultimi vent’anni, l’allerta è tornata a essere sistemica e strutturata: minacce a giornali e istituzioni, messaggi inquietanti e gravissimi all’università La Sapienza, cortei diffusi in mezza Italia (a oggi, in ogni caso, pacifici). Fare allarmismi in questi casi è pericoloso, ma sottovalutarne la portata sarebbe a maggior ragione miope e grave.