Se serve ci sono, anche se avevo altri programmi. Parole di Sergio Mattarella, pronunciate sabato 29 gennaio ai capigruppo dei partiti che formano il governo saliti al Quirinale per chiedergli di accettare un nuovo incarico.
Così si è conclusa la settimana di passione dei 1009 grandi elettori chiamati a eleggere il presidente della Repubblica, essendo concluso il mandato affidato 7 anni fa a Mattarella.
Il presidente uscente e rientrante a furor di Parlamento (759 voti, il più alto voto dopo Pertini) è stato invitato giorno dopo giorno a dare il suo sì, dopo che nelle ultime settimane aveva spiegato in ogni modo che considerava chiusa la sua esperienza e che riteneva giusto che qualcun altro lo sostituisse.
Ma i partiti, che oggi sono inquadrati con la sola esclusione di Fratelli d’Italia nel governo condotto da Mario Draghi, non sono stati in grado di trovare un nome di un uomo o di una donna e di formare una maggioranza solida e comprensibile per la successione a Mattarella.
È stato il Parlamento, voto dopo voto, a dare indicazione che di fronte allo stallo, di fronte alle divisioni che mettevano in pericolo la stabilità del governo (una crisi avrebbe potuto creare un corto circuito tale da mettere in discussione i quasi 200 miliardi destinati dall’Unione Europea all’Italia per la ripresa), il nome di Mattarella era in grado di mantenere il difficile equilibrio odierno senza avventurarsi su strade sconosciute.
È possibile oggi fare un esame di come le diverse forze politiche i i loro leader hanno gestito questo delicato passaggio costituzionale. E indicare dove sono le maggiori responsabilità del corto circuito istituzionale e dei nomi buttati nell’arena parlamentare, durati lo spazio di qualche ora oppure bruciati dal voto negativo come è accaduto nel caso del presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati una delle fondatrici di Forza Italia.
A innescare il corto circuito per primo è stato Silvio Berlusconi con la sua infantile ostinazione a voler cercare a tutti i costi i consensi per andare al Quirinale. Come tutti i padri padroni non ha trovato qualcuno capace di spiegargli che il suo tempo è finito e che lui può avere ancora tanti desideri ma non quello di essere il presidente della Repubblica.

A seguire l’intero centro destra ha contribuito al corto circuito con parole d’ordine tipo “è il momento di eleggere un presidente del centro destra perché siamo maggioranza nel paese”. Oppure, parola di Giorgia Meloni, la richiesta di un presidente patriota. Fumo e propaganda di bassa lega, perché come si fa ad essere presidente della Repubblica senza essere patriota?
Se questi erano gli slogan, la declinazione politica della battaglia del centro destra è stata davvero povera di idee. Prima il sostegno finto a Berlusconi, poi la terna ufficiale Marcello Pera-Letizia Moratti-Carlo Nordio, durata lo spazio di una notte e che ha raccolto solo il no grazie del centro sinistra. Quindi lo scivolone di Matteo Salvini di porre ai voti la Casellati, bocciata da oltre 70 del suo schieramento. Infine, sempre venerdì sera, l’ultima boutade di Salvini che dopo vari incontri con il centro sinistra è corso ad annunciare che di lì a poco sarebbe arrivato “il nome di una donna in gamba”, proprio mentre il Parlamento votava per la settima volte portando a quasi 300 le schede con scritto Mattarella for president.
Nel centro sinistra il segretario del Pd Enrico Letta, affiancato da Roberto Speranza di Leu, ha impostato la strategia chiedendo in ogni momento un tavolo di tutte le forze come momento di discussione dei nomi. Non è stato accontentato, e così ha potuto giocare di rimessa neutralizzando le avances del centro destra e costringendo alla fine i segretari dei partiti di governo a salire al Quirinale per chiedere a Mattarella pensaci tu!
Quello che sarebbe il principale alleato del Pd nel governo e nella battaglia per il Quirinale, il Movimento 5 Stelle, si è rivelato a seconda dei momenti un intralcio, un problema aggiuntivo se non un avversario. Perché il leader del 5Stelle Giuseppe Conte non è stato in grado di compattare su una linea le sue truppe. In più mancava di esperienza politica: discettare della necessità di trovare un alto profilo, o invocare il momento di una donna al Quirinale senza disegnare il carattere, la storia e l’esperienza che questa donna dovrebbe avere è aria fritta, non politica. È accaduto perché Conte non controlla il M5S e le truppe parlamentari sono un coacervo di gruppi e gruppetti divisi tra loro e allo sbando. Molto probabilmente il solo momento di unità è stata l’adesione di 5S sul nome di Mattarella per loro garanzia di arrivare a fine legislatura senza dover perdere improvvisamente seggio, appannaggio e vitalizio.
Così, in una settimana, si è arrivati a convincere Sergio Mattarella a disfare gli scatoloni che aveva già preparato. Ma se questa è la storia di oggi, nulla sappiamo di quanto Mattarella vorrà restare presidente della Repubblica.

Quello che non sappiamo è anche che cosa farà il grande escluso, il presidente del Consiglio Mario Draghi. Che sognasse anche lui di salire sul colle più alto non vi è dubbio alcuno. Che cosa farà adesso, accetterà di voltare pagine e di continuare nel suo lavoro a palazzo Chigi come se nulla fosse accaduto?