È passato un anno esatto dalla tragica morte di George Floyd. Era il 25 maggio 2020 quando in una Minneapolis duramente colpita dall’emergenza covid, Derek Chauvin bloccò a terra Floyd procurandogli un arresto cardiaco. L’ennesimo omicidio di un afroamericano per mano della polizia sconvolse il mondo. A differenza delle altre vittime invisibili di questo stillicidio, Floyd era stato catturato dalle camere dei testimoni oculari nei suoi ultimi tragici minuti. “I can’t breathe” divenne allora il motto di un’America in fiamme, assediata dalle proteste razziali all’urlo di quella cruda richiesta di soccorso mai esaudita dalle forze dell’ordine.

“È stato un anno lungo. È stato un anno doloroso”. Per Bridgett Floyd, sorella di George, non ci sono parole per descrivere quanto accaduto lo scorso anno. “Le nostre vite sono cambiate in un batter d’occhio. Ancora non so perché”. Bridgett è la fondatrice della George Floyd Memorial Foundation, associazione non profit che domenica scorsa ha organizzato un grande raduno a Minneapolis in occasione dell’anniversario dell’omicidio. Con lei molti altri speaker che hanno condiviso ed incanalato il dolore della sua famiglia. Il reverendo Al Sharpton, campione dei diritti civili, ha dichiarato battaglia sul George Floyd Justice in Policing Act, la riforma che metterà al bando determinate manovre ostruttive come quella utilizzata da Derek Chauvin e renderà la polizia più responsabile nei confronti della legge. La riforma, approvata alla Camera non è ancora stata votata al Senato, nonostante Biden avesse promesso la sua firma sul testo in occasione dell’anniversario della scomparsa di Floyd. “Vogliamo che qualcosa esca da Washington. Vogliamo qualcosa che cambi la legge federale”, la richiesta di Al Sharpton condivisa dai presenti.
Oggi, in occasione dell’anniversario, la famiglia Floyd sarà ricevuta alla Casa Bianca dal Presidente. Joe Biden, in occasione del verdetto contro Derek Chauvin per l’omicidio Floyd aveva espresso la sua soddisfazione, rammaricandosi che simili sentenze fossero ancora troppo rare nell’America di oggi. Un commento senza precedenti e sicuramente di rottura rispetto alle parole utilizzate da Donald Trump in cieco sostegno alla polizia. Per Biden “George Floyd ha cambiato il mondo”. Sicuramente ha cambiato l’America.
Se ci chiediamo cosa è cambiato in America rispetto allo scorso anno, sicuramente pensiamo alla presidenza. I democratici guidati da Joe Biden sono tornati alla Casa Bianca sconfiggendo Donald Trump. A pesare particolarmente nelle elezioni del 3 novembre è stato il voto della comunità afroamericana. Secondo il Pew Research Center, nel 2020 la comunità nera ha partecipato al voto in modo massiccio, avvicinandosi alle percentuali dei mandati di Obama. La grande differenza si è registrata in stati come la Georgia, dove Stacey Abrams è stata capace di organizzare una campagna senza precedenti che ha aiutato i democratici a conquistare entrambi i seggi al Senato. Tutto ciò, probabilmente non sarebbe successo se movimenti di protesta come Black Lives Matter non avessero cambiato paradigma, unendo alle manifestazioni anche un’organizzazione capillare del dissenso che si è sviluppata alle urne. Un fattore non secondario è stata la candidatura di Kamala Harris come prima vicepresidente donna afrodiscendente della storia. Una scelta fatta per il suo carisma ma anche come simbolo di conciliazione etnica in un’America attraversata dalle grandi manifestazioni per la morte di Floyd. Infatti, secondo una statistica riportata dal The Economist, il conflitto etnico non è un problema secondario in America ma un vero e proprio vulnus. Per il 38% degli americani le relazioni con le minoranze sono peggiorate dalla morte di Floyd, per il 51% sono rimaste uguali a prima.

Adesso, a causa della grande mobilitazione delle minoranze alle urne, i repubblicani stanno depositando leggi che possano limitare i diritti elettorali, disincentivando la partecipazione afroamericana. A lanciare questo allarme è il Brennan Center for Justice che evidenzia questa tendenza reazionaria capeggiata da avamposti trumpiani come la Florida.
La morte di George Floyd ha offerto un forte impulso che ha contribuito alla vittoria di Biden e alla scelta di Kamala Harris ma ha anche riportato il tema del razzismo sistemico nel dibattito pubblico. Nei mesi immediatamente successivi all’omicidio le proteste hanno messo in discussione la funzione protettrice delle forze dell’ordine e la storia razziale americana. Le prime secondo uno studio Gallup riportato dal New York Times hanno raggiunto il gradimento minimo fra la popolazione negli ultimi 27 anni mentre nelle principali città del Sud venivano abbattuti i monumenti confederati che propagandavano l’idea della Lost Cause, l’ideologia nostalgica della società schiavista.

L’ultimo evento rivoluzionario in ordine cronologico è stato il verdetto della corte nel caso Minnesota v. Derek Chauvin. L’agente della polizia è stato riconosciuto colpevole della morte di George Floyd, intaccando l’armatura di omertà e impunità che ha sempre difeso i corpi di polizia americani su casi analoghi. Ma i morti per mano delle forze dell’ordine non hanno subito un brusco calo: per mappingpoliceviolence.org nel 2021 già 414 persone sono morte durante un fermo di polizia, lo scorso anno entro il 23 maggio erano state 470.
Un anno dopo la morte di George Floyd gli Stati Uniti sembrano diversi, cambiati. Ma in quel tragico 25 maggio 2020 la lotta contro le piaghe del razzismo e della violenza della polizia ha soltanto compiuto un piccolo, seppur indispensabile, passo in avanti. La strada sarà lunga, cionondimeno necessaria.