Era la notizia che tutto il mondo chiedeva a gran voce e dopo 11 giorni di duro conflitto armato con Hamas, Israele ha finalmente raggiunto un accordo di cessate il fuoco per porre fine all’“Operazione guardiani delle mura”, ribattezzata “Operazione spada di Gerusalemme” dall’organizzazione palestinese. La riunione di gabinetto di sicurezza israeliano alla presenza del premier Benyamin Netanyahu è stata lunga e Hamas ha risposto che il cessate il fuoco “sarà simultaneo e reciproco a partire dalle 2“.
Già dalla mattina si percepiva una possibile tregua tra le parti, e l’alto esponente di Hamas, Abu Marzook, aveva parlato di ”atmosfera positiva”, ”grazie al sostegno dei fratelli egiziani e del Qatar” che hanno guidato la mediazione.

Intanto, il presidente Usa, Joe Biden, dietro le quinte ha esercitato fortissime pressioni sul premier Netanyahu, e ha anche telefonato al premier egiziano, Abdel-Fatah al-Sisi, con l’obiettivo di rafforzare la de-escalation in Medio Oriente.
Biden salutando la tregua, in un breve discorso alla Casa Bianca, ha riconosciuto il merito a Israele ed Egitto per aver raggiunto il cessate il fuoco ed ha assicurato che l’America darà tutto il suo appoggio nel sostenere Israele e l’autorità palestinese, ma non Hamas, nella prosecuzione dei negoziati. Sul movimento estremista islamico, il presidente americano ha ribadito che non dovrà essere consentito di rifornirsi nuovamente di armi.
Quello che preoccupa adesso è la crisi umanitaria. Secondo una stima fornita dalle Nazioni Unite, circa 75mila persone sono ancora in fuga dai bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza. Dall’inizio dello scontro, lo scorso 10 maggio, sono morti 232 palestinesi, tra cui 65 minorenni; 1.900 circa i feriti. I razzi di Hamas hanno invece ucciso 12 israeliani e ferito centinaia di persone.
Gli appelli per una tregua erano arrivati anche dal Palazzo di Vetro dopo che il Consiglio di Sicurezza aveva respinto una bozza di risoluzione proposta dalla Francia per il veto degli americani. Durante la riunione dell’Assemblea Generale, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva invitato “le parti in conflitto a fare un passo indietro“, affiancato anche dal presidente dell’Assemblea generale, Volkan Bozkir.
Ma dalla tribuna dell’Onu, il ministro degli Esteri palestinese Riad Al Malki e l’ambasciatore israeliano Gilad Erdan, si sono accusati a vicenda di “genocidio”.
“A tutti coloro che dicono che Israele ha il diritto di difendersi, di che diritto state parlando?” ha rimarcato Al-Malki, che rivolgendosi alla comunità internazionale, ha detto: “è vostro diritto ritenere Israele responsabile e non fornirgli armi. L’occupazione israeliana prende di mira le nostre persone generazione dopo generazione”.

Nel denunciare l’ideologia jihadista di Hamas, Erdan ha iniziato il suo discorso leggendo degli estratti dalla Costituzione del movimento “del terrore” palestinese: “Il giorno del giudizio non verrà fino a quando i musulmani non combatteranno gli ebrei e li uccideranno“. L’ambasciatore israeliano ha poi posto l’accento sull’impennata “inquietante” dell’attività antisemita in tutto il mondo, affermando che “lo Stato di Israele non rimarrà mai in silenzio di fronte a tali attacchi”. Poi ha accusato i leader turchi di aver usato contro Israele utilizzando espressioni antisemite: “la Turchia non è nella posizione di fare prediche a nessuno sulla questione dei diritti umani“.
Le due parti hanno davanti giorni difficili. La speranza che questa tregua temporanea porti alla soluzione finale dei Due Stati è ancora una chimera. L’America continua a sostenerla, ma Netanyahu resta sospettoso perché teme che il negoziato con l’autorità palestinese possa rafforzare i militanti armati di Hamas che non riconoscono lo stato di Israele.