La morte di Daunte Wright, ucciso proprio a Minneapolis negli stessi giorni in cui si celebra il processo contro Derek Chauvin, comporterà per la poliziotta Kim Potter che lo ha colpito una accusa per second degree manslaughter, reato che non ha un esatto corrispettivo nell’ordinamento penale italiano, ma a grandi linee assimilabile all’omicidio colposo.
L’ex presidente Obama, commentando sul fatto, ha richiesto una investigazione “completa e trasparente” e uno sforzo per “reimmaginare la polizia” negli Stati Uniti.
Our hearts are heavy over yet another shooting of a Black man, Daunte Wright, at the hands of police. It’s important to conduct a full and transparent investigation, but this is also a reminder of just how badly we need to reimagine policing and public safety in this country. pic.twitter.com/sgcbRjlApr
— Barack Obama (@BarackObama) April 13, 2021
La spiegazione fornita dal Dipartimento dell’agente Potter, ora sotto arresto, è che la donna avrebbe accidentalmente sparato al ragazzo, quando intendeva in realtà utilizzare il Taser. Le difficoltà nel distinguere se il sospettato fosse armato o meno sono purtroppo ben note e documentate, dalla morte di Tamir Rice, di soli dodici anni, nel 2014 a quella di Amadou Diallo nel 1999, raccontata da Bruce Springsteen nella meravigliosa ballata “American Skin”. Il fatto che la poliziotta non sia stata in grado di discernere se lei stessa fosse armata o meno è invece una relativa novità che non lascia indifferenti, e risolleva il tema del training cui gli agenti sono sottoposti prima di prendere servizio a tutti gli effetti.
In un suo discorso, nel 2018, l’ex presidente Trump ha descritto il lavoro delle forze dell’ordine con affascinata ammirazione: “ogni giorno i nostri poliziotti guidano per oscuri vicoli e strade deserte, presso le abitazioni dei più incalliti criminali… il peggio dell’umanità”. Questa visione cinematografica della polizia non ne rispecchia realmente il ruolo, ma ne guida la formazione.

Nella realtà, come riportato da uno studio del New York Times, meno dell’1% delle chiamate ricevute dai Dipartimenti di Polizia USA sono quello che l’FBI definirebbe “crimini violenti”, e solo lo 0.1% riguardano omicidi. La maggior parte delle chiamate sono segnalazioni erronee o secondarie.
Secondo un’analisi fatta da Vox, la maggior parte delle richieste di aiuto che i cittadini fanno alla polizia riguardano tensioni interpersonali minori: controversie tra vicini, coniugi, familiari, coinquilini, in cui il ruolo dell’agente è ripristinare la calma, effettuare quella che si chiama deescalation. Per questo spesso il lavoro quotidiano di un agente comporta di doversi relazionare con senzatetto, persone con problemi di abuso, sotto l’influenza di sostanze o con disagio mentale di vario tipo.
Tuttavia, negli USA la polizia sembra essere istruita a fare il lavoro che Trump descriveva nel 2018. Secondo uno studio il training negli States ha una durata molto minore che nel resto del mondo, durando mediamente 21 settimane contro i 3 anni dell’Europa. In particolare, a Minneapolis il training dura 16 settimane ed è seguito da 6 mesi di “apprendistato” accanto ad un agente più anziano. Per esempio, gli agenti Kueng e Lane erano in questa fase di apprendistato mentre osservavano Chauvin, loro mentore designato, in ginocchio sul collo di George Floyd.

La maggior parte delle Accademie di polizia utilizzano un modello militare, basato su un approccio di fortissimo stress fisico e psicologico studiato per i soldati che devono andare in battaglia. Secondo il dipartimento di Giustizia la maggior parte della formazione riguarda l’uso di armi da fuoco: su un totale di 840 ore, 168 sono dedicate alle armi; i temi di abuso di sostanze e vita per strada non sono trattati, mentre i tre argomenti che sembrerebbero centrali nella vita del poliziotto medio, cioè violenza domestica, malattia mentale e mediazione di conflitti sono coperti in 32 ore totali.
A questo punto entra in gioco un annoso problema che affligge gli USA e pochi altri Stati occidentali, tra i rarissimi l’Islanda. Negli States ci sono 120 pistole ogni 100 abitanti, una concentrazione straordinaria che ovviamente pone le forze dell’ordine innegabilmente in una situazione di rischio. Nel 2019, infatti, quarantaquattro agenti hanno subito ferite da arma da fuoco in servizio; tuttavia, il numero di vittime per mano della polizia quell’anno è ventitré volte superiore. Resta innegabile che i due problemi vadano mano nella mano, poiché tutti i paesi in cui la polizia non è armata adottano una regolamentazione molto più severa di quella americana in merito all’acquisto di armi.

Nonostante la pressante richiesta di “defund the police”, tagliare i fondi alla polizia, gli USA non si distinguono drasticamente rispetto al resto del mondo occidentale. Certo, spende cifre esorbitanti, ma in percentuale lo Zio Sam impiega circa l’1% del suo prodotto interno lordo per finanziarla, ben al di sotto ad esempio di Italia, Francia o UK.
La grossa differenza è organizzativa. Gli USA contano 18mila dipartimenti di polizia, gestiti a livello delle città o delle contee. Per confronto, la Svezia ha un singolo corpo di polizia nazionale, e la Francia due organizzazioni parallele con giurisdizione nelle città e nelle aree rurali. Per fare un paragone più calzante, il Canada, che per estensione si avvicina di più alle dimensioni statunitensi, ha meno di 300 dipartimenti.

Secondo gli esperti questo comporta disomogeneità e discontinuità sia nella formazione che nelle norme disciplinari interne. La frammentazione si estende anche all’aspetto economico: il governo federale fornisce supporto materiale e finanziario, per esempio “passando” equipaggiamento militare in eccesso dal Dipartimento di Difesa alle polizie locali (spiegando perché la polizia negli USA abbia a disposizione armi da battaglia) tuttavia Stati e città rimpinguano finanziando i dipartimenti di competenza anche di tasca propria. Ne deriva che le aree più ricche del paese possono permettersi poliziotti più preparati, a discapito delle comunità meno abbienti.
Ma soprattutto negli USA c’è un problema vecchio come Giovenale, che nella sua Satira espresse il famosissimo concetto “quis custodiet ipsos custodes?”. Chi sorveglierà i sorveglianti stessi? L’ONU ha fornito chiare linee guida in materia, specificando la necessità di un organo esterno che controlli la condotta della polizia. Funziona così in molti paesi, dagli UK alla Danimarca, mentre negli Stati Uniti, con alcune eccezioni, la legge consente ai dipartimenti di polizia di investigare sé stessi. Lo aveva capito già Giovenale che questo metodo non potesse funzionare, e da allora sono passati quasi duemila anni.
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