Si è dimesso prima l’agente che ha sparato, poi il capo della polizia dopo che per due notti consecutive Brooklyn Center, un sobborgo a nord di Minneapolis è esploso dalla rabbia per l’uccisione di un altro giovane afroamericano da parte della polizia. Nonostante il coprifuoco imposto dal governatore sono volati sassi e bottiglie molotov a cui gli agenti hanno risposto con proiettili di gomma e lacrimogeni. Una ventina di persone sono state arrestate.
Solo a poche miglia di distanza, nel tribunale di Minneapolis si sta celebrando il processo contro l’agente Derek Chauvin accusato dell’uccisione di George Floyd lo scorso maggio. Un altro omicidio da parte della polizia con un agente bianco sul banco degli imputati incriminato di omicidio per aver ucciso con un ginocchio sulla gola l’uomo, nero, che aveva arrestato e ammanettato. Un delitto così brutale e insulso ripreso dalle telecamere e dai telefonini che ha sconvolto l’America e che ha fatto esplodere il movimento Black Lives Matter. E ieri sera come allora altre città degli Stati Uniti, New York, Los Angeles, Seattle, Omaha, San Francisco, Portland, hanno dimostrato contro la “disinvoltura” della polizia nell’usare la pistola e la maniere brutali soprattutto con gli afroamericani.
Le violenze a Brooklyn Center sono esplose domenica notte dopo l’uccisione di Daunte Wright, un afroamericano di 21 anni fermato dalla polizia. “Un errore”, dice tra le lacrime Kim Potter, la poliziotta con 26 anni di esperienza nel Police Department che ha fatto fuoco. “Ho scambiato la pistola di ordinanza con la pistola taser. Ho premuto il grilletto pensando di immobilizzarlo con la scarica elettrica. Non volevo ucciderlo”. E alle sue dimissioni hanno fatto seguito quelle del capo della polizia, Tim Gannon, accusato dagli abitanti di Brooklyn Center di essere stato insensibile ai pregiudizi razziali degli agenti sotto il suo comando.
“Gli agenti – afferma il padre di Daunte Wright – lo hanno fermato solo perché era un giovane nero alla guida di una bella automobile”. In gergo si chiama “profiling”, cioè prendere di mira uno specifico gruppo etnico per pregiudizi personali. Un’accusa che lascia intendere che se il giovane alla guida della stessa auto fosse stato bianco gli agenti non lo avrebbero fermato. Un forma di razzismo difficile da provare se non con i numeri: i giovani afroamericani finiscono in prigione molte volte di più dei coetanei bianchi. Le statistiche tracciate dall’EJU, la Equal Justice Initiative, sono severe: i giovani afroamericani di età tra i 15 e i 25 anni sono arrestati cinque volte di più dei coetanei bianchi. La media nazionale per gli arresti per questa fascia di età dei bianchi è di 152 ogni 100 mila abitanti. Per i neri 433 ogni 100 mila abitanti.
Domenica pomeriggio Daunte Wright era stato fermato dagli agenti, bianchi, per una violazione del codice della strada. “Una violazione pretestuosa” afferma la ragazza di Daunte che era con lui nell’auto, perché gli agenti dicevano che non poteva avere un sacchetto di deodorante attaccato al lunotto posteriore poiché gli impediva di vedere chi ci fosse dietro. “Lo hanno fermato solo perché era un afroamericano” afferma tra le lacrime la donna ai microfoni della Cnn. “Migliaia di persone hanno lo stesso deodorante sul vetro posteriore e nessuno li ferma”. Ed ecco l’accusa di profiling.
Un portavoce della polizia ha affermato che il giovane dopo aver dato la patente di guida agli agenti, era stato fatto scendere dall’auto perché su di lui c’era un mandato di cattura. A giugno dello scorso anno gli agenti trovarono una pistola nelle tasche della sua giacca e per questo motivo si sarebbe dovuto presentare davanti al magistrato per la fine di febbraio. Non ci è andato e per questo era scattato il mandato di arresto. Quando gli agenti hanno fatto il riscontro sul computer che hanno nelle loro auto c’é stata la segnalazione e hanno cercato di mettergli le manette, ma Daunte Wright tirando calci e spintoni è riuscito a risalire in macchina per cercare di fuggire.
A quel punto la poliziotta Kim Potter ha sparato. “Mi sono confusa nel trambusto del momento. Tutti gridavano. Il sergente aveva le manette in mano. Volevo immobilizzarlo con la stunt gun. Ho preso la pistola d’ordinanza e ho premuto il grilletto. Solo allora mi sono resa conto che era la pistola e non la stunt gun”.
Le immagini riprese dalla videocamera che gli agenti hanno nel giubotto antiproiettile conferma l’accaduto. La poliziotta che impreca, le spinte e i calci, il sergente con le manette che la guarda impietrito, mentre l’auto di Daunte Wright dopo aver percorso qualche centinaio di metri, è andata a sbattere contro un’altra auto parcheggiata. Al volante c’era il ragazzo sanguinante, colpito dal proiettile sparato dell’agente e la sua ragazza in stato di shock.
E oggi il sindaco di Brooklyn Center, Mike Elliot, anche lui afroamericano ha fatto appello agli abitanti di Brooklyn Center. “Riconosciamo che questo non sarebbe potuto accadere in un momento peggiore”, ha commentato il sindaco, primo afroamericano a ricoprire questo ruolo. “Questo incidente è avvenuto mentre tutta l’America sta guardando la nostra comunità”.