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“Dietro” la gran donna Regina, c’è stato il “grande” uomo Philip, anche se gaffeur

Le sue battute "di spirito" erano imbarazzanti per il ruolo ma Filippo è stato l’unico membro della famiglia reale a non farsi scoprire in flagrante dai tabloid

Valter VecelliobyValter Vecellio
“Dietro” la gran donna Regina, c’è stato il “grande” uomo Philip, anche se gaffeur

Filippo d'Edinburgo con la moglie la regina Elisabetta II durante l'arrivo in un viaggio negli Stati Uniti (US National Archives - GetArchive | SRA Jerry Wilson)

Time: 6 mins read

Sembra che la frase sia stata coniata dalla scrittrice Virginia Woolf: “Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna”. Un voler rendere omaggio alle tante donne che contribuiscono, spesso misconosciute, al successo dei loro uomini. Sembra che si riferisca al detto latino “Dotata animi mulier virum regit”, che va tradotto in “Una donna dotata di coraggio (di spirito), sostiene (consiglia) il marito”.

Gli antichi (i latini, in questo caso), vedono di più e meglio dei “moderni” (anche, in questo caso, dell’autrice de “La signora Dalloway”, “Gita al faro”, “Orlando”). Questa storia della gran donna dietro il grande uomo l’ho sempre ritenuta un po’ ipocrita e molto stucchevole. Perché mai, la donna, per di più “grande”, dovrebbe star comunque “dietro”, all’uomo? Non potrebbe e dovrebbe stargli a fianco?

Pensiero e riflessione forse peregrina, nell’aver appreso della morte del marito della regina Elisabetta II, il principe Philip Mountbatten, duca di Edimburgo, nato principe di Grecia e Danimarca.

La regina Elisabetta, quale che sia il giudizio che si dà della casata Windsor e della monarchia in generale, certamente è una gran donna. Per una sorta di proprietà transitiva, ne dovrebbe conseguire che “dietro” la gran donna, c’è stato un “grande” uomo: nella fattispecie il principe-duca Filippo di Edimburgo. Certo i due hanno costituito una invidiabile e inossidabile “ditta”: è l’unica monarchia-industria; a Londra e in tutto il Regno Unito si vende di tutto, con il nome dei Windsor, e vai a capire la ragione perché tra tanti re, regine, principi e nobili vari, questi eccitano fantasia e interesse come nessun altro.

Anche l’inossidabile repubblicano che scrive (repubblicano in quanto forma di governo, non di partito, of course), è costretto a riconoscere che la coppia fino a poche ore fa costituiva una sorta di icona: Elisabeth Alexandra Mary, regina del Regno Unito, e il consorte Filippo, a prima vista si sarebbe tentati di definirli una riedizione vivente di un famoso cartoon americano degli anni Trenta del secolo scorso: quel “Dagwood Bumstead” ideato da Murat (Chic) Young, da cui poi è stata ricavata l’omonima serie di film e radiofonica; una strip che ha avuto l’onore di essere una delle venti incluse nella serie commemorativa di francobolli statunitensi “Comic Strip Classics”.

Si racconta – vai a sapere se è vero, ma perché no? – che Filippo, pur se in questi settant’anni di unione con Elisabetta è ombra discreta, nelle apparizioni ufficiali sempre un passo indietro come chiedeva il protocollo, morti i genitori di lei, fosse l’unico in famiglia a potersi concedere qualche licenza: “Lilibet”, vezzeggiativo di Elisabeth, solo lui si poteva permettere di chiamarla così; e lui solo si prendeva la libertà di contraddirla. Una dama di Buckingham Palace racconta che una volta, durante un viaggio in automobile, Elisabetta lo rimbrottava per la guida non proprio ortodossa. Lui per un po’ tace, poi di malagrazia sbotta: “Se non la smetti, ti faccio scendere”. Elisabetta si chiude in un mutismo ferreo per tutto il viaggio. La dama anni dopo azzarda una richiesta di spiegazione per quel comportamento remissivo: “Perché altrimenti mi avrebbe fatto scendere”, avrebbe risposto la regina.

Elisabetta II e Filippo fino a poche ore fa hanno costituito una sorta di binomio-simbolo che ha tenuto unita una nazione. Elisabetta II è già entrata nella storia; il suo è il regno più lungo: 68 anni e cinque mesi, da quel 6 febbraio 1953, giorno della incoronazione a 25 anni, succeduta al padre Giorgio VI; nessuna intenzione di abdicare, a quanto è dato capire.

Filippo con Elisabetta agli inizi degli anni Cinquanta

Sposa Filippo a 21 anni. Amore, dicono i biografi ufficiali, a prima vista: lo conosce che ha tredici anni. La raccontano più o meno così: i due si conoscono fin da bambini; sono cugini, anche se alla lontana. Lui è figlio del principe Andrea di Grecia e Danimarca; la madre discende da un nobile casato tedesco. Nel luglio 1939, vigilia della II guerra mondiale, Filippo presta servizio come cadetto al Royal Navy College; re Giorgio VI visita la sua accademia militare accompagnato da Elisabetta. I due giocano insieme a croquet, e lì scocca qualcosa. Più lei di lui, pare. E’ lei che gli scrive, mentre lui combatte nel Mediterraneo. Terminata la guerra il re approvò l’unione. Filippo si converte, abbandona la religione greco-ortodossa per l’anglicana; naturalizzato britannico, adotta il cognome Mountbatten e rinuncia ai diritti al trono ellenico, da cui era stato deposto lo zio Costantino. A parte la madre, nessun membro della famiglia di Filippo è invitato al matrimonio. Si capisce: le sorelle erano sposate con nobili tedeschi simpatizzanti del nazismo. Alla regina madre, mamma di Elisabetta, Filippo non è mai piaciuto: in privato lo chiamava l’Unno.

Sotto gli occhi della coppia, la storia del secolo: il crollo dell’impero britannico; l’affermarsi del fascismo e del nazismo; la guerra mondiale. Quando i nazisti sembra abbiano partita vinta, Churchill consiglia che la famiglia reale si rifugi in Canada. Niente da fare: Buckingham Palace viene bombardata una decina di volte, i reali, Elisabetta compresa, non fuggono. E ancora: la ripresa post bellica, i trionfi e le sconfitte di un molosso come Winston Churchill; la stagione con un’altra donna di polso, Margaret Thatcher: molto ammirata, ma non amata; Tony Blair che non ama e non ammira, al punto da negargli l’onorificenza più elevata, quello della Giarrettiera, per tradizione conferita agli ex primi ministri. Secondo indiscrezioni credibili, è la “punizione” per il modo in cui ha coinvolto il paese nella seconda guerra contro l’Irak.

Principe-duca con funzioni ufficiali puramente decorative: apparizioni in quantità, un’agenda fittissima fatta di manifestazioni pubbliche, parate militari, onorificenze, strette di mano. Di fatto nessun potere effettivo. Donne? Le scuole di pensiero divergono. C’è chi favoleggia di appassionati flirt regolarmente e discretamente occultati (e “perdonati”); ma che chi garantisce che una volta sposata la regina, Filippo non si è più invischiato in avventure galanti. Sono affari suoi, tutto sommato. E’ comunque un fatto che Filippo è stato l’unico membro della famiglia reale a non farsi scoprire in flagrante dai tabloid.

La coppia affronta con ammirevole understatement le intemperanze (chiamiamole così), di figli (Carlo, Anna, Andrea ed Edoardo), nipoti, nuore. Filippo ha fama di padre severo, con l’eccezione per Anna, la prediletta, a cui tutto si perdona. Per molto tempo i sostenitori del “complotto”, lo accusano di essere il mandante del presunto omicidio di Diana. Teoria più che zoppicante. Una serie di lettere, pubblicate dopo i fatti, rivelano che tra Filippo e l’ex moglie di Carlo c’era una certa simpatia. Una volta scrive al figlio: “Non potrò mai capire come un uomo possa lasciare Diana per innamorarsi di Camilla”.

Proverbiali le infinite gaffes del marito, che fanno la felicità dei giornali popolari. Una piccola antologia: un giorno, all’inaugurazione di una mostra sullo spazio, a un ragazzino che esprime il desiderio di fare l’astronauta: “Dovrai dimagrire, ciccio bello, se vuoi arrivare in cielo”. Nel corso di una visita a una tribù di aborigeni: “Vi tirate ancora le frecce?”; a un parlamentare nero: “Del Parlamento di quale paese è membro?”; e quello: “Regno Unito, Altezza”. 

Secondo i Royal Watchers, nel corso della sua lunga vita ne avrebbe collezionate almeno ventimila. Tra le più celebri, quella a un gruppo di bambini inglesi in Cina: “Se restate qua a lungo, vi verranno gli occhi a mandorla”.  Una trentina d’anni fa, durante una conferenza stampa con la Deutsche Press Agentur, a proposito del sovraffollamento globale se ne esce con: “Se dovessi reincarnarmi, vorrei essere un virus letale per eliminare la sovrappopolazione, la crescita dell’uomo è la più grave minaccia per il Pianeta”.

Nel 2000 è a Roma, una cena con l’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato. Gli offrono una selezione dei migliori vini italiani. Grazie, no. Chiede una birra. In Kenya, rivolto a una signora: “Lei è una donna, vero?”. Anno 2015, si commemora la Battaglia d’Inghilterra. L’attesa lo spazientisce, e al fotografo intima: “Scatta questa fottutissima foto!”. Durante una visita in Belize nel 1994 rivolto alla Regina: “Yak, yak, yak! Dai, muoviti!”, mentre lei è impegnata con i suoi ospiti. Nel 2002 in Francia, sostiene che i francesi non sono in grado di preparare una buona colazione; a un ricco isolano delle Cayman chiede se ci siano pirati, tra i suoi discendenti.

Si difende sostenendo che le sue solo “solo battute divertenti”, ma intanto intima a Elton John: “Vorrei che spegnesse il microfono”. A Madonna: “Avremmo bisogno di tappi per le orecchie”. E rivolto a Tom Jones: “E’ strano vedere quanto sia popolare. Canta le canzoni più orribili”.

Si racconta che solo in poche occasioni, Filippo abbia mostrato insofferenza per il ruolo di principe consorte. Per esempio, quando ha dovuto accettare che i quattro figli portassero il cognome materno di Windsor, e non il suo, Mountbatten: “Sono un’ameba, l’unico uomo nel Regno Unito ad acconsentire a una situazione simile”, pare abbia sospirato. Ma se Parigi valeva una messa, figuriamoci se il Regno Unito non vale un cognome.

Un singolare contrasto, quello di Filippo, con la personale sobrietà di Elisabetta, rotta solo dagli eccentrici cappellini e soprabiti dai colori accesi. Tra le passioni della coppia: i cani, i cavalli; i lunghi soggiorni nella residenza di Balmoral. Tutti riconoscono che nel loro regno c’è solo un errore: non essersi mostrati troppo addolorati per la morte della principessa Diana. Elisabetta II e Filippo hanno saputo tenere in vita il Regno e le sue tradizioni. I sostenitori della monarchia britannica forse un giorno li rimpiangeranno.

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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