
La politica internazionale è una scacchiera in cui giocano centinaia di pezzi, collegati tra loro da una fitta e spesso invisibile trama di fili. Per cercare di fare chiarezza in questo groviglio di rapporti globalizzati, abbiamo parlato con Roberto Menotti, Direttore Scientifico di Aspenia online e Vice Direttore di Aspenia. Ma non solo. Menotti ha anche avuto un passato da editorialista per Il Messaggero e per Il Mattino ed è stato Addetto Stampa del Viceministro degli Affari Esteri nel biennio 2013-14. È membro del Comitato editoriale della rivista Limes dal 1994, del Board scientifico della NATO Defence College Foundation dal 2018, e del Comitato Scientifico del Centro di Ricerca di Geopolitica e Diritto comparato (GEODI) dal 2020.
Ha insegnato Relazioni Internazionali alla LUISS Guido Carli, John Cabot University (International Development), e La Sapienza (Giornalismo Internazionale).
La crisi del governo italiano coincide con l’avvento della nuova amministrazione americana. Durante la guerra fredda nelle crisi di governo la maggioranza a Washington si doveva far sapere. Mattarella sentirà, stavolta, un eco da Washington?
“Credo che a volte si sia sopravvalutato l’impatto diretto che Washington può esercitare sulla politica interna italiana. Anche nei momenti più delicati, in cui l’Italia era un paese al confine fra i due blocchi nella guerra fredda, non era l’assetto interno in quanto tale a preoccupare gli Stati Uniti, ma l’effetto dell’assetto interno sulla politica estera e quindi la nostra affidabilità complessiva come alleato. A maggior ragione, non credo che oggi Mattarella abbia bisogno di sentirsi assicurato dagli USA sulla composizione di un governo. Quello che si può dire è però che certamente gli assetti interni di un Paese che fa parte della NATO, che è un’importante economia europea e che ha un ruolo nel mediterraneo peculiare, sono osservati con interesse anche a Washington. In ogni caso, non credo che l’Italia sia al momento tra le priorità del Presidente Biden”.

L’Europa sta trattando con le multinazionali americane, Pfizer in primis, perché queste rispettino il contratto firmato. Che potere ha l’Unione sulle multinazionali targate USA? Nei rapporti con le multinazionali, la nuova amministrazione potrebbe intervenire per questa sua predisposizione pro-europea?
“Credo di sì. Biden, rispetto a Trump, è molto europeista. Il problema è che quello che deve interessare a noi non sia tanto la sua predisposizione, quanto piuttosto la possibilità di sfruttarla al meglio. Siamo noi a dover essere un po’ più efficienti. La mia sensazione, per quanto riguarda il discorso dei vaccini, è che il fatto che l’UE abbia gestito i contratti con le multinazionali sia stata la scelta giusta, ma abbia introdotto qualche elemento di complicazione. Ciascun Paese, in un’economia di mercato, ha il diritto di farsi i contratti che vuole, come la Germania o la Gran Bretagna, che sembrano avere un trattamento di favore. Bisognerà far valere il peso dell’UE, perché l’Europa ha un peso, ma essendo le multinazionali prevalentemente americane, passare attraverso l’amministrazione Biden può essere senz’altro una buona idea. Del resto, Biden ha già detto che uno dei punti sulla sua agenda sarà quello di collaborare per la salute globale”.

Durante l’amministrazione Trump i rapporti con l’Unione erano freddissimi. Con Biden si prevede tutto rose e fiori o ci possono essere comunque motivi di contrasto?
“Certamente non sarà tutto rose e fiori. Ci saranno dei contrasti di interessi, perché noi abbiamo delle prospettive diverse su molti problemi fondamentali del sistema internazionale. Io credo che si debba andare verso un rapporto laico, ovvero cercare, tutte le volte che sarà possibile, di lavorare insieme anche sulla base di valori comuni. Detto questo, penso che il miglioramento sarà netto e d’altronde non potrebbe andare peggio rispetto all’amministrazione Trump. Il problema con Trump non è stato tanto il fatto che gli interessi fossero in contrasto, ma il suo atteggiamento nei confronti dell’Unione. Non solo la criticava, ma era anche estremamente ostile a molti aspetti della politica estera tedesca e questo ha creato problemi a cascata su tutta l’UE. Penso perciò che, con Biden, ci saranno molte più opportunità che rischi”.

Con Biden gli Stati Uniti riprendono l’interesse verso l’UE. Dovrà l’Italia adeguarsi e ritornare ad avere un rapporto con l’America attraverso l’Europa?
“Penso di sì. Io ritengo da molti anni che l’Italia sbagli quando cade nella tentazione di cercare una sponda americana per compensare le debolezze europee. L’Italia non deve essere ingenua e credo che passare da Bruxelles sia un’operazione necessaria, anche perché a Bruxelles noi abbiamo un peso, siamo un soggetto attivo e tra l’altro abbiamo anche un commissario importante come Gentiloni. L’Italia deve però tenere conto di avere degli interessi nazionali, per esempio la Libia, l’Egitto per motivi energetici o la Russia. Sono tutte questioni controverse, che però ci possono dare anche un certo peso negoziale con gli Stati Uniti e con gli altri paesi europei. Non c’è alternativa, bisogna giocare su entrambi i tavoli contemporaneamente”.

Cosa succede adesso in Libia e che ruolo sta avendo l’Italia, anche considerato in fatto che l’aumento dell’influenza degli attori non occidentali sullo scacchiere libico rischi di far perdere all’Italia, e agli altri paesi europei, quel ruolo che si erano ricavati nei confronti delle diverse controparti libiche?
“Credo che l’Italia abbia perso un treno che non tornerà più. Subito dopo la caduta del regime di Gheddafi, c’era una grande opportunità per l’Italia, perché in quel momento tutti gli europei avevano un forte interesse a una forma di stabilizzazione della Libia, soprattutto per il controllo delle rotte migratorie che passano dai porti libici. C’era anche un interesse americano sul fatto che i paesi europei prendessero un ruolo maggiore nella stabilizzazione della Libia e gli stessi paesi europei vedevano di buon occhio il fatto che l’Italia avesse in questo un ruolo da primo attore, se non da protagonista assoluto. Poi, ad un certo punto, abbiamo lasciato che la Francia prendesse un ruolo significativo e subito dopo sono entrati anche attori esterni come la Turchia, i Paesi del Golfo, l’Egitto e la Russia. Quel treno è passato e l’Italia non credo possa avere nel futuro un ruolo da ago della bilancia. Bisognerà occuparsene, ma senza troppe illusioni”.
Il Mediterraneo è uno spazio vitale per l’Italia. Il nostro Paese ha bisogno di ritrovare una politica estera più assertiva, con cui non succeda più una situazione nella quale capiti di vedersi alcuni pescatori prigionieri per mesi contro la legge internazionale, come nel caso dei pescatori di Mazara del Vallo?
“In effetti, gli episodi che abbiamo visto negli ultimi anni rispetto alla Libia e altri paesi dall’area, hanno segnato un calo dell’influenza diretta che l’Italia è riuscita a esercitare. Non ne farei però un’assoluta catastrofe geopolitica, si può ancora recuperare terreno. L’Egitto, per esempio, un paese importante dal punto di vista demografico, politico ed energetico, è una grande opportunità. Se l’Italia riesce a giocare bene, c’è l’opportunità di creare un assetto cooperativo che ci converrebbe molto. Dall’Egitto, alla Libia, alla Tunisia, che rimane l’unico caso di successo delle primavere arabe, credo che l’Italia debba fare un po’ di più. Non tanto operazioni di grande clamore mediatico, ma di continuità di politica estera. Questa è la base che bisogna creare per arrivare poi a farsi rispettare in momenti delicati come quello dei pescatori di Mazara”.
Non sappiamo ancora con certezza se il ministro degli Esteri italiano cambierà e, nel caso, chi sarà il nuovo capo della Farnesina. Come giudica la politica estera del binomio Conte-Di Maio?
“I due governi Conte sono stati molto diversi tra loro dal punto di vista della politica estera. Uno sbilanciato su posizioni sovraniste, l’altro molto più europeista. L’accoppiata Conte-Di Maio mi è sembrata mancare dell’elemento di continuità cui facevo riferimento prima. Il problema è stato il ricorso, molto spesso, ad azioni di grande risonanza mediatica, come il Memorandum of Understanding con la Cina, che fu un errore tattico. Quindi la mia vera critica è la mancanza di disciplina e continuità, anche appoggiandoci di più alle nostre ambasciate. Sono stati poi due governi molto assorbiti dalle questioni interne e quindi, quando ciò succede, la politica estera ne risente. Di Maio ha un forte peso nella politica interna e questo di certo non lo ha facilitato. Forse sarebbe stato meglio avere alla Farnesina un personaggio meno ingombrante, che potesse dedicarsi di più alla quotidianità della politica estera”.

In passato, gli Stati Uniti di Trump erano irritati dalla politica dell’Italia nei confronti della Cina. Cosa prevede invece da Biden? Il prossimo governo dovrà fare i conti con la questione cinese?
“Senza dubbio sì, il prossimo governo dovrà fare i conti con molte questioni cinesi. Ci sono infatti in prima linea una questione commerciale e una questione tecnologica. In questo caso, credo convenga agganciarci all’aggregato europeo, perché l’UE ha posizioni sfumate e corrette nei confronti della Cina. È meglio non mettersi troppo sull’asse bilaterale Italia-USA vs Cina. Comunque sì, Biden è molto attento alla questione cinese e la differenza di azione con Trump sarà nel metodo. Credo che Biden farà tutto il possibile per utilizzare uno strumento multilaterale in opposizione alla Cina e questo favorirà il rapporto con l’UE. Andrà meglio, ma avremo molte decisioni delicate da prendere”.
La fede di Biden, il secondo presidente cattolico della storia degli Stati Uniti, cosa comporta nei rapporti con il Vaticano, con l’Italia e con i paesi storicamente cattolici? Quanto il Vaticano e il Papa possono influenzare le scelte di Biden?
“In qualche misura, queste caratteristiche personali possono avere un impatto. Tutti i Presidenti hanno cercato di stabilire un rapporto di collaborazione con il Vaticano e certamente Biden ha un doppio rapporto con l’Italia, perché la moglie è di origine italiana. Credo che l’attuale amministrazione cercherà di comprendere meglio le ragioni e la metodologia del Vaticano di oggi e qui una sfida seria verrà anche dalla personalità dell’attuale pontefice, che è piuttosto anomala. È un personaggio che ha dei tratti del cattolicesimo popolare latino-americano e questo crea delle triangolazioni delicate rispetto agli USA. In ogni caso, l’Italia, da un triangolazione come questa tende per forza a beneficiarne”.

Il ritorno dell’America negli Accordi di Parigi relativi al cambiamento climatico è un elemento in grado di rafforzare il multilateralismo?
“Sì, certamente il rientro degli Usa negli accordi di Parigi è un anche un segnale complessivo di disponibilità a mantenere gli impegni presi da Obama, in una presidenza dove Biden aveva l’incarico di Vicepresidente. Un Paese come gli USA che si svincola da un accordo di quella portata creerebbe un problema al sistema multilaterale. È un passo importantissimo, anche se non dobbiamo essere troppo ottimisti sul fatto che gli accordi di Parigi possano risolvere il grosso dei problemi in termine di cambiamento climatico, però è senz’altro un punto di partenza importante. Da lì, ognuno può partire per la sua strada, anche con obiettivi nazionali”.
Con Trump l’ONU aveva perso peso. Con Biden, anche per l’Italia si aprono delle strade per far sì che il multilateralismo possa funzionare, anche per risolvere crisi come quella libica?
“L’ONU, con Trump, è stato messo in freezer per quattro anni. In realtà, che l’ONU abbia dei problemi strutturali, è vero anche a prescindere da Trump, non possiamo nasconderlo. Il sistema dei veti crea dei problemi da molti anni e c’è anche un problema di rappresentatività nel consiglio di sicurezza. Che non ci sia dentro l’India, per esempio, è un problema che andrebbe risolto. Quando l’ONU riesce però a fare da quadro complessivo, svolge un ruolo prezioso ed è importante che venga riattivato, Poi, non dimentichiamo le agenzie dell’ONU che sono state paralizzate sotto Trump (FAO, OMS ecc.), forse addirittura più importanti rispetto all’organizzazione nel suo complesso. In questo contesto, il multilateralismo può guadagnarne e quindi può guadagnarne anche l’Italia. Credo che uno dei problemi del sistema internazionale sia diventato un quesito: siamo in grado di mantenere un sistema multilaterale funzionante, anche se il sistema nel frattempo è diventato multipolare? Il punto è questo. Se Cina, USA, India e UE finiscono per diventare dei poli indipendenti gli uni dagli altri, abbiamo un sistema multipolare. Riusciamo comunque a gestirlo attraverso gli strumenti del multilateralismo?”

Con Biden si torna a parlare di negoziati con l’Iran. Può l’Italia ritrovare un ruolo forte con quello che è stato a lungo un suo partner commerciale importante?
“Assolutamente sì. Tradizionalmente l’Italia ha un peso significativo con l’Iran, per ragioni commerciali e perché la leadership iraniana ha sempre percepito l’Italia come un Paese aperto al dialogo. Anche qui, credo che l’Italia abbia perso un treno, nel momento in cui il governo Berlusconi finì per non entrare nel gruppo che negoziava con l’Iran. C’è sempre tempo per rientrare e provare a reinserire l’Iran nella comunità internazionale. L’operazione sarà difficile, non sono certo che Biden ci riuscirà, però sicuramente ci proverà”.
Di tutti i mali che la pandemia ha provocato, una nota positiva può essere quella di aver riunificato l’Europa e averle dato nuovo vigore?
“Credo di sì. La pandemia ha dato una forte spinta al senso della coesione europea per ragioni pratiche. Laddove negli anni scorsi si è tentato di aggrapparsi a ragioni ideali per creare un senso di comunità europea, si è invece sottovalutato il fatto che quello che i cittadini percepiscono sia ciò che può fare l’Europa nella loro vita quotidiana. L’Europa è andata in crisi sulla questione dei migranti, perché quel tema impatta in maniera molto diretta sulla vita di alcune zone europee, come la Grecia o l’Italia e su questo tema il cittadino non percepisce il ruolo dell’UE. Credo che la pandemia spinga nella direzione giusta e renda chiaro perché l’UE possa essere davvero funzionale agli interessi quotidiani dei cittadini”.