Ieri, nel quinto anniversario degli accordi di Parigi firmati il 12 Dicembre 2015, le Nazioni Unite, insieme a UK e Francia, in collaborazione con Italia e Chile, hanno organizzato il Climate Ambition Summit. Erano chiamati a partecipare i leader non solo politici, ma anche economici e della società civile. Secondo le intenzioni degli organizzatori, al Summit i partecipanti “si prenderanno nuovi e ambiziosi impegni, basati sui tre pilastri del Paris Agreement: attenuazione, adattamento e impegni finanziari. Non ci sarà spazio per dichiarazioni generiche”.
L’incontro è servito come una sorta di piattaforma di lancio, per rianimare gli impegni attorno alla sfida globale del cambiamento climatico, passata un po’ in secondo piano a causa del Covid, e dare nuovo slancio in vista della conferenza COP26, che si terrà a Glasgow a Novembre 2021. Come ricordato dal Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres, ripensare la conversazione sul clima in questo momento può essere quanto mai proficuo: la pandemia ha messo in ginocchio l’economia globale, e un mastodontico piano di ripresa è necessario; questa ripresa e la lotta al cambiamento climatico devono essere “due facce della stessa medaglia” ha detto Guterres. Insomma, un’occasione da non perdere.
Secondo i dati forniti dall’ONU, i Paesi che hanno annunciato di prendere nuove e significative misure per contrastare il cambiamento climatico al Summit di ieri rappresentano circa il 65% delle emissioni di CO2, e circa il 70% dell’economia globale. Ben 71 Paesi, tra cui tutti i membri dell’Unione Europea, si sono impegnati in nuovi, o più importanti, piani climatici nazionali, e 15 paesi, tra cui Canada e Argentina, hanno annunciato che faranno lo stesso entro il 2021.
Accanto alle iniziative dei governi, anche i leader economici hanno annunciato importanti progetti. Apple, per esempio, mira ad essere “carbon neutral” (cioè a compensare tutte le eventuali emissioni di CO2) in tutta la sua catena di produzione entro il 2030.
Il principale tema critico emerso al Summit riguarda la salvaguardia dei paesi più vulnerabili, messi in diretto pericolo dal cambiamento climatico. Molti di essi si sono impegnati in prima linea, come ad esempio Barbados e le Maldive, che si propongono di raggiungere le emissioni zero entro il 2030. Tuttavia, il Summit ha rimarcato l’importanza di supportare a livello globale queste comunità, il cui individuale impegno diretto non sarà sufficiente a salvarle dall’aumento delle temperature e del livello del mare. A questo scopo, è stata lanciata la campagna Race to Resilience: essa riunisce iniziative a livello locale, di sindaci o leader di comunità, con iniziative economiche, di aziende, società e compagnie assicurative, finalizzate a salvaguardare e proteggere la vita di 4 miliardi di persone che vivono in zone vulnerabili al cambiamento climatico. Per esempio, la Zurich Insurance ha annunciato che espanderà gli sforzi della Zurich Flood Resilience Alliance, impegnata sul fronte di inondazioni e alluvioni, a 10 nuovi Paesi, e che triplicherà i fondi destinati a questa associazione.
Ciò nonostante, per ora la risposta continua a sembrare insufficiente. Come ha rimarcato il Segretario Generale durante la conferenza stampa conclusiva, il supporto ai Paesi in via di sviluppo, affinchè costruiscano economie ecosostenibili, è ancora ben lontano dall’obiettivo dei 100 miliardi annui posto agli accordi di Parigi. Una complicazione riguarda lo sviluppo tecnologico di questi paesi. Guterres ha rimarcato che “uno degli aspetti più importanti della solidarietà, il questo momento, è assicurarsi che le tecnologie necessarie per la transizione verso un’economia verde siano rese disponibili ai paesi in via di sviluppo”. Impresa non semplice, poiché implica la mobilitazione di massicci investimenti privati.
Naturalmente, una certa attenzione ha riguardato i giganti sulla scena globale, USA e Cina, rispettivamente il grande assente e l’apripista del Summit.
Xi Jinping ha parlato per primo al meeting, e la Cina è stata lodata diverse volte per il suo impegno da Guterres stesso. Tuttavia, secondo i loro stessi dati, la Cina continuerà ad incrementare l’uso di combustibili fossili e emissioni di gas serra, e almeno fino al 2030 non comincerà a diminuire la sua impronta fossile. Quando gli è stato domandato di chiarire la sua posizione in merito a questa incongruenza, Guterres ha dato una singolare risposta: il presidente cinese, in effetti, ha annunciato che il suo paese mira a raggiungere le emissioni zero prima del 2060, ma non ha specificato quanto prima. Guterres, dunque, dialogando con il governo cinese spera di riuscire ad anticipare il più possibile quella data.
Il ruolo degli Stati Uniti, del cui governo non era presente nessun delegato, una volta cambiata l’amministrazione, sarà fondamentale. Relativamente a questo, il Segretario è stato chiaro: nessuno sforzo sarà abbastanza se gli USA non si uniscono al resto della comunità globale, essendo la prima economia del mondo. Guterres si è detto positivo rispetto alle intenzioni dell’amministrazione Biden, che ha in programma di rientrare negli accordi di Parigi come prima cosa il 21 gennaio.
Insomma, gli altri Paesi hanno preparano la tavola, ma le vere decisioni si prenderanno al COP26 del 2021, quando torneranno a sedervisi anche gli USA.