“Dai colloqui, svolti qui al Quirinale, in queste trentadue ore, con le forze politiche e parlamentari, è emersa la prospettiva di una maggioranza politica, composta a partire dai gruppi che sostenevano il governo precedente. Questa disponibilità, a me manifestata nel corso delle consultazioni, va peraltro, doverosamente, verificata nella sua concreta praticabilità. A questo scopo adotterò con immediatezza un’iniziativa”.
Così parla Sergio Mattarella prima di assegnare a Roberto Fico, attuale Presidente della Camera, il mandato esplorativo per verificare l’esistenza di una maggioranza in Parlamento. Ma cosa significa “composta a partire dai gruppi che sostenevano il governo precedente”?
È il preludio per un ritorno di Matteo Renzi, ieri protagonista di un lungo discorso al Quirinale e che proprio in queste ore ha scritto “la decisione di Mattarella è una scelta saggia che Italia Viva onorerà lavorando sui contenuti: vaccini, scuola, lavoro e ovviamente Recovery Plan sono le priorità su cui il Paese si gioca il futuro. Diciamo no alla caccia al parlamentare, diciamo sì alle idee e ai contenuti. No al populismo, sì alla politica”.
Sembra assurdo pensare che l’autore di queste parole sia lo stesso che, meno di due settimane fa, della crisi è stato l’autore. Inspiegabile, dunque, come possa formarsi un governo-fotocopia supportato dalla stessa maggioranza del Conte II. D’altronde, se quella non ha funzionato prima, perché dovrebbe farlo ora, dopo essere passata per una crisi che ha acceso i toni e fatto volare, da ogni fazione, accuse pesanti. Sono i misteri della politica che nessun cittadino può comprendere. Non perché non sia in grado di farlo, ma perché nell’azione dell’attuale esecutivo nulla segue logica e coerenza. Arrivati a questo punto, però, anche qualche membro della maggioranza inizia a rendersene conto.
Alessandro Di Battista, che non è parlamentare ma rimane comunque uno dei leader della parte “ortodossa” del Movimento 5 Stelle, appena saputa l’ipotesi di un possibile ritorno al governo con Renzi ha minacciato la scissione. “Il 12 gennaio – scrive Di Battista – dissi queste parole: <<Io credo che se i renziani dovessero aprire una crisi di governo reale in piena pandemia, nessun esponente del Movimento dovrebbe mai più sedersi a un tavolo, scambiare una parola, o prendere un caffè con questi meschini politicanti». Prendo atto che oggi la linea è cambiata. Io non ho cambiato opinione. Tornare a sedersi con Renzi significa commettere un grande errore politico e direi storico. Significa rimettersi nelle mani di un “accoltellatore” professionista che, sentendosi addirittura più potente di prima, aumenterà il numero di coltellate. Se il Movimento dovesse tornare alla linea precedente io ci sono. Altrimenti arrivederci e grazie”.
Un messaggio forte e di grande rilevanza politica, visto che Di Battista, stando alle indiscrezioni interne al Movimento, pur non essendo un rappresentante eletto è in grado di portare con sé più di una decina di senatori. Se quindi decidesse di staccarsi dal Movimento, come ormai da tempo sembra voler fare, quali numeri rimarranno al governo?
Nel frattempo, il centrodestra rimane compatto. Almeno all’apparenza. La delegazione ha espresso al Presidente della Repubblica la volontà di tornare alle elezioni. Il giusto epilogo per una formazione che, negli ultimi giorni, si era a tratti discostata da questa posizione iniziale soprattutto a causa di Forza Italia. Chiaramente, tutti i componenti della coalizione hanno escluso la possibilità di qualsiasi appoggio alla riedizione della stessa maggioranza, escludendo quindi di fatto la possibilità, ipotizzata nelle scorse ore, che il governo Conte III fosse appoggiato dalla cosiddetta “maggioranza Ursula” (PD, M5S e FI).
Ora è dunque il turno di Fico, che avrà tempo fino a martedì per valutare la situazione delle Camere e riferire poi al Capo dello Stato. Si attendono giorni turbolenti, in una crisi politica sempre più simile a una fiction televisiva.