
È notizia di ieri che la task force governativa sul ricongiungimento dei minori separati al confine dai genitori, vedrà coinvolta anche la first lady ed il suo staff. A differenza degli ex inquilini della Casa Bianca, più volte divisi sulle questioni inerenti all’immigrazione, i coniugi Biden si stanno dimostrando da subito molto attenti al tema. Secondo la CNN, Jill Biden era stata molto colpita da una visita dello scorso dicembre nel campo profughi di Matamoros, in Messico, al termine della quale aveva dichiarato “Siamo una nazione accogliente, ma questo non è il messaggio che stiamo trasmettendo dai nostri confini”. La chief-of-staff della fist lady, Julissa Reynoso, avvocatessa ed ex ambasciatrice in Uruguay, farà parte della task force che il Presidente vuole annunciare questa settimana e terrà sotto controllo i processi di ricongiungimento. Secondo le stime, infatti, la politica di “tolleranza zero” portata avanti dall’amministrazione Trump avrebbe separato almeno 5.500 bambini dalle loro famiglie. Se questo non bastasse, al momento sarebbero irrintracciabili le famiglie di 611 minori.

Queste indiscrezioni raccolte da CNN, rivelano che Jill Biden potrebbe avere un ruolo attivo nell’agenda della nuova amministrazione. Ma in tema di immigrazione, il Presidente avrà bisogno di tutto l’aiuto e la copertura mediatica che riuscirà ad ottenere. Dal 21 gennaio, prima giornata alla Casa Bianca, Joe Biden ha firmato un fiume di ordini esecutivi per combattere le discriminazioni ed il pugno duro usato nei confronti degli immigrati da parte di Trump. A cadere è stato il “muslim ban”, il provvedimento che limitava fortemente gli ingressi e i visti ai cittadini di Somalia, Sudan, Iran, Iraq, Siria, Yemen e Libia. Nell’atto intitolato “Proclamation on Ending Discriminatory Ban on Entry to the United States”, Biden ha assicurato che ci saranno controlli in conformità con la legge ed eventuali problemi di sicurezza nazionale saranno senza dubbio affrontati. Ha altresì chiesto il riesame di quei visti respinti a causa della politica trumpiana e ha aperto a nuovi dialoghi bilaterali con i paesi coinvolti. Del resto, si legge sull’atto, “gli Stati Uniti sono stati creati su fondamenta di libertà religiosa e tolleranza”. Stesso destino per i liberiani presenti nel paese da almeno il 1991, quando gli USA accettarono di concedere loro lo status di rifugiati a causa della guerra civile che imperversava nel paese. Mantenutosi con Bush e Obama, sono stati presi di mira da Trump. Biden ha sospeso le espulsioni con uno degli ordini esecutivi firmati durante il suo primo giorno da Presidente.

Tralasciano particolarismi geografici ed etnici, la politica di Biden verso l’immigrazione rappresenta una completa virata rispetto a quella di Trump. Il tycoon aveva spesso utilizzato parole dure per criminalizzare gli irregolari e non solo. In questi ultimi quattro anni non sono mancate storie di persecuzione verso persone non in possesso di documenti, ma con una vita, un lavoro ed un’istruzione negli USA. Se Trump aveva tentato di indebolire il DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals), Biden lo rafforza con un ordine esecutivo, vengono tolti i fondi per la costruzione della barriera a confine con il Messico e vengono reintrodotti gli immigrati irregolari nei conteggi relativi al censo, per non commettere gli stessi errori fatti nella stesura della Costituzione e degli emendamenti, in cui afroamericani e nativi erano esclusi o parzialmente considerati nel conteggio dei cittadini.

Il fatto più eclatante, costato anche uno scontro con i giudici del Texas, è la sospensione per 100 giorni delle espulsioni dall’entroterra. La misura, che mette fine alla caccia all’uomo, non si applica ai respingimenti ai confini né nei confronti di sospetti terroristi, irregolari entrati dopo il 1° novembre e tutti coloro che verranno scarcerati dopo detenzioni per crimini violenti e traffico di droga. Con questa decisione, Biden spera di lanciare un messaggio che ponga fine al periodo della “tolleranza zero” di Trump, ma che possa anche servire allo stesso Presidente per fare ammenda per le espulsioni a firma Obama.
La nuova politica migratoria non sarà un ritorno al passato, ma uno sguardo verso il futuro. Dopo aver firmato gli ordini esecutivi sopra citati, Biden ha presentato alla Camera un disegno di legge chiamato “US Citizenship Act 2021”. L’obbiettivo è radicale anche per gli standard progressisti: regolarizzare 11 milioni di immigrati irregolari. A questo fine, la legge prevede un percorso di 8 anni per l’ottenimento della cittadinanza, raggiungibile dopo aver valutato la carriera scolastica o professionale del singolo, le sue conoscenze della lingua inglese e dell’educazione civica e dopo aver concesso agli idonei un primo status legale temporaneo e una residenza permanente. Esistono comunque delle scorciatoie legali riservate ai Dreamers (coloro che sono giunti negli USA da bambini), a chi gode di TPS (temporary protected status) e ai i lavoratori agricoli. Vengono snellite le tempistiche per ottenere la green card, in modo da non dividere famiglie e creare storture nel processo e vengono incluse i nuclei familiari LGBTQ+ per quanto riguarda il ricongiungimento. Inoltre, a seconda delle congiunture macroeconomiche, sarà più o meno facile ottenere permessi per lavorare negli USA, incentivando comunque i salari dei residenti affinché non vi sia competizione sleale fra stranieri e cittadini.

I numeri al Senato, come al solito, saranno lo scoglio da superare per l’approvazione della legge. La sola proposta, il giorno dopo l’insediamento, testimonia audacia e fretta che neppure Obama, che pur disponeva di una maggioranza più ampia al Congresso, ha osato dimostrare. Sia lui che Bush, favorevoli ad una regolarizzazione degli immigrati, tentarono di agire in accordo con le opposizioni, negoziando a lungo e attuando le proprie riforme, talvolta molto moderate, soltanto nei loro mandati finali. La legge proposta da Biden, però, potrebbe necessitare modifiche per essere approvata, portando forse ad uno spacchettamento delle sue singole misure. È possibile che, per farla meglio digerire ai repubblicani, si inizi cercando di regolarizzare i soli Dreamer (2.1 milioni) e poi coloro che godono di TPS (altri 5 milioni), prima di arrivare all’obbiettivo prefissato degli 11 milioni. Insomma, una rivoluzione copernicana che, pur guardando all’indotto portato dagli irregolari che lavorano su suolo americano, prende le distanze dal “terrore” di Trump e da un eccessivo temporeggiamento obamiano.