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January 13, 2021
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L’appello di Trump contro la violenza ma che continua a sfidare la democrazia

Il presidente in un video condanna finalmente chi ha attaccato il Congresso e che aveva già chiamato "patrioti", ma senza ancora riconoscere la vittoria di Biden

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 3 mins read

Troppo in ritardo e senza più un minimo di credibilità Donald Trump pronuncia il discorso che qualsiasi altro presidente della storia USA, che non avesse voluto scatenare una insurrezione contro il Congresso, avrebbe già fatto il 6 gennaio. Invece, Trump, dopo che in quel fatidico giorno chiamò “patrioti” i terroristi scatenati col suo incendiario discorso contro il Capitol, dicendo anche che “li amava”, dopo l’assalto e i morti, ecco che è costretto al dietrofront ma solo dopo che il Congresso approva l’impeachment per la seconda volta. Trump deve sentire già la rabbia, oltre dei 10 congressman della Camera repubblicani che hanno votato l’impeachment, anche di quella dei senatori repubblicani, forse già più di 17 che potrebbero condannarlo.

Così in un video che non può mettere più su twitter o facebook  – spunta però su youtube, nel canale della Casa Bianca- e deve consegnare ai network sperando che lo mandino in onda, finalmente chiama alla pace e all’unità e condanna la violenza in ogni forma e dice che nessuno può rappresentare il suo movimento politico con la violenza …

Una settimana fa i suoi supporter li aveva mandati a marciare verso il Capitol perché le “elezioni gli erano state rubate” e dicendo “marcerò con voi… dovete lottare perché senza la lotta non otterrete nulla”… E ancora, dopo che in un video aveva già visto come i suoi seguaci stessero aggredendo i poliziotti, eccolo twittare contro Pence che aveva tradito la causa di ribaltare le elezioni alla faccia della Costituzione… Sono dovuti trascorrere sette giorni per Trump finalmente pronunciare le parole che non è riuscito a dire per una settimana!

Adesso, forse, più che i consiglieri che non ascolta mai, saranno stati i figli disperati dal terrore di finire con lui in galera, a convincerlo. Chissà. Che Trump continui ad essere un presidente pericoloso per la democrazia, si nota quando nel discorso non c’è neanche una parola sul riconoscimento della vittoria di Joe Biden nelle ultime elezioni. Nulla, perché anche dopo l’assalto al Capitol, dopo i morti, dopo che nessun giudice per due mesi, anche quelli da lui nominati, gli ha voluto concedere una apertura su frodi inesistenti e inventate per lui dalla banda Giuliani, ecco ancora Trump insiste e continua a non riconoscere la democrazia!

Il 13 gennaio, giornata storica del secondo impeachment, Trump alla fine resta Trump, quello che prima delle elezioni diceva a muso duro che o vinceva lui queste elezioni o sarebbe stato tutto un imbroglio. Col piglio del dittatore lo diceva, quello che continua a resistere anche quando sa benissimo che questo può spingere alla violenza migliaia di americani che credono a tutte le menzogne che lui ripete e che si immolerebbero per il loro “guru”, pronti a sostenerlo sempre anche quando, come diceva già nel 2016, lui si mettesse a sparare sulla Quinta Avenue!

Quindi, a parte il discorso anti violenza che speriamo comunque possa calmare i più esagitati, Trump resta il peggior presidente della storia degli Stati Uniti che ora si merita, unico commander in chief in quasi due secoli e mezzo di democrazia americana, il secondo impeachment e quindi anche la condanna non solo del Senato, ma quella definitiva della storia

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e dirigo La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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