Non è stata una Convention per decidere il ticket repubblicano, ma la fondazione di un nuovo partito: paladino degli operai e dei contadini nel segno dell’America First; concretamente impegnato a combattere la povertà e il degrado che affligge i ghetti nel paese con le Zone di Opportunità fiscalmente agevolate; propugnatore a testa alta della vita e della libertà religiosa; baluardo della bandiera e dei protagonisti della Storia americana, che sono i simboli dei valori e degli ideali incastonati nella Costituzione; e difensore affidabile della legge e dell’ordine, nella bruciante congiuntura del caos e della violenza che sta devastando da mesi Seattle, Portland, Minneapolis e, da ultimo, Kenosha in Wisconsin.
Che Donald Trump e Mike Pence avessero i voti in tasca per assicurarsi la nomination lo si sapeva da mesi, via via che le primarie del GOP, inutili perché senza concorrenza, portavano masse di fan trumpiani ai seggi, con partecipazioni mai viste in numeri assoluti. Dove si sono tenute (a New York e in altri Stati, i comitati locali del GOP le hanno cancellate per risparmiare fondi) le consultazioni hanno attratto 19 milioni di cittadini, e 18,1 milioni hanno votato il presidente, lasciando le briciole ad alcuni dissidenti di cui nessuno ricorda il nome. Questa partecipazione, superflua sul piano concreto, può essere letta solo quale tasso della febbre elettorale che anima il partito, modellato da Trump nel suo primo mandato e destinato a non essere mai più quello dei Romney e dei McCain. I due portabandiera dei repubblicani nelle precedenti elezioni del 2004 e del 2008 incarnavano un conservatismo classico, moderato, da establishment. Vicini, anzi parte integrale del mondo militare-politico (il senatore John McCain) e delle corporation (l’ex governatore Mitt Romney), i due ‘baroni’ sono stati un facile boccone per le campagne dei Democratici. Obama fu irridente e spietato nel dipingerli, ad un tempo, perdenti rappresentanti dei mondi elitari della vecchia politica e dell’avido business. I due infatti persero, e per questo sono poi diventati eroi per i liberal, che amano i repubblicani quando sono battuti, e soprattutto quando diventano “Never Trump”.

Il presidente “non è un ideologo” è il mantra di tanti commentatori, basato sul fatto che in vita sua, da immobiliarista che doveva trattare con amministrazioni locali di ogni colore, è stato per più anni un registrato Democratico che non un Repubblicano. E ha dato fondi alle campagne di tutti, persino a quella di Kamala Harris quando correva per diventare Attorney General in California. Quando il suo business non è più stato quello di fare soldi costruendo palazzi e casinò, bensì guidare la USA Corporation, il neofita della politica si e’ pero’ reinventato manager, e le idee e i programmi sono diventati gli strumenti per produrre il fatturato e i profitti che un presidente deve saper conferire ai suoi “azionisti”, i cittadini.
In questo senso, ogni misura che Trump ha caldeggiato, e poi realizzato dalla Casa Bianca, è in verità “ideologica”. Alcune sono state nel solco della tradizione repubblicana DOC: tagli delle tasse e delle regole in primo luogo. E come non battezzare rigorosamente conservatrici le nomine dei due giudici alla Corte Suprema, e dei 200 nelle Corti d’appello e di primo grado, tutti approvati dalla Federalist Society che predica l’adesione alla lettera e allo spirito della Costituzione di 244 anni fa?
Ed essere stato il primo presidente a partecipare alla Marcia per la Vita che cosa ha significato? La sincera adesione alla lotta contro l’aborto, espressione di base della fede cristiana, cioè una “ideologia” per eccellenza? O “caccia ai voti”? Ai milioni di evangelici e di cattolici, “azionisti” del presidente, importano gli atti concreti. E la ex manager pentita della Planned Parenthood (la fabbrica degli aborti), che è intervenuta alla Convention, ha ringraziato Trump delle misure amministrative e dell’appoggio nei tribunali a tutela della libertà di coscienza.
Trump ha anche stracciato i vecchi patti commerciali con Canada, Messico, Cina e Giappone, per ridiscuterli e creare condizioni migliori per i lavoratori USA. Il GOP aveva la “ideologia” del commercio libero, ma Trump l’ha stravolta e corretta in “commercio libero ed equo con i partner nel rispetto degli interessi americani”. Era la linea protezionista delle Union e dei Democratici? Certo. Ma fin dalla campagna del 2016 il “repubblicano atipico” aveva promesso di uscire dalla Nafta, rubando a Bernie Sanders e Hillary Clinton l’esclusiva della difesa dei lavoratori vittime della globalizzazione pro cinese.
Ma è la difesa della “legge e dell’ordine” che, inaspettatamente, è assurta a tema centrale della Convention repubblicana. Uno penserebbe che la difesa contro gli attacchi e le devastazioni ad opera di estremisti e saccheggiatori sia questione bipartisan per antonomasia. Invece Biden e i suoi non ne hanno fatto sostanzialmente cenno nei loro quattro giorni su Zoom, regalando al GOP un argomento di ovvia presa. Addirittura, un deputato Democratico del parlamento della Georgia, Vernon Jones, ha parlato nella prima serata della convention del GOP lodando Trump e criticando Biden, perché non si oppone con chiarezza alla linea di “togliere fondi dalle polizie”. Non a caso, i sindacati dei poliziotti della città e dello Stato di New York hanno dato a Trump l’endorsement.
E Jones è un afro-americano, badate bene. Uno dei tanti apparsi nelle serate della Convention per mostrare la diversity crescente nel GOP: dalla ex ambasciatrice all’Onu Nikki Haley (indiana) al senatore nero Tim Scott, dalla giovane nera candidata deputata di Baltimora Kim Blacik a Herschel Walker, ex campione di calcio, nero, che ha detto “sono amico di Trump da 37 anni, e non è un razzista. Sono del sud e so cosa vuol dire essere razzisti”. Anche sotto l’aspetto anagrafico il GOP di Trump ha cambiato insomma faccia. Infatti, non ci sono mai state tante repubblicane candidate al Congresso come ci saranno nel prossimo novembre. E gli attacchi alla omofobia? Tra gli oratori è apparso il primo omosessuale nominato ambasciatore a Berlino, e poi Consigliere per la Sicurezza, Richard Grenell.
E’ ormai impossibile dare al GOP l’etichetta del partito socialmente oscurantista, come cercavano di fare i Democratici in passato con qualche successo propagandistico. Ed è ironico che a favorire la metamorfosi sia proprio quel Trump tacciato da “omofobo, razzista, sessista” dalla Clinton nella sua infelice campagna.
Nel discorso che terrà giovedì sera, tra poche ore, il presidente dovrà essere disciplinato e ribadire il nuovo corso. E’ indietro nei sondaggi, ma lo era anche nel 2016. E stavolta potrà forse avere come alleati Black Lives Matter, Antifa e gli altri teppisti, che stanno aprendo gli occhi all’America silenziosa che non ne può più dei disordini e dell’anarchia.