Il fiume Mekong, il più lungo e importante della penisola indocinese, il settimo del mondo, è in sofferenza per il cambiamento climatico, per le numerose e grandi opere di sbarramento cinesi e, in conseguenza, per i problemi alimentari di milioni di famiglie che vivono nelle regioni corrispondenti al corso meridionale del fiume.
Il Mekong nasce nell’altopiano tibetano e attraversa sei paesi asiatici, Cina, Birmania, Thailandia, Laos, Cambogia e Vietnam. Battezzato dai cinesi “il fiume turbolento”, “fiume di Buddha” per i thailandesi, “madre delle acque” per i laotiani e “paniere del riso” per il Vietnam, dove offre due raccolti l’anno, questa vastissima arteria d’acqua dolce -quasi 4.900 km (un percorso in barca lungo un mese e mezzo) e un bacino di 810.000 km²- costituisce una enorme ricchezza per le sue acque, per l’energia cinetica trasformabile in elettrica, per le risorse agricole e ittiche, e per una inarrivabile riserva di biodiversità, tanto che l’UNESCO ha battezzato l’immenso parco fluviale patrimonio dell’umanità.
Il clima dell’ultimo decennio -probabilmente è più corretto parlare di cambiamento del clima- ha creato problemi per l’ambiente e, per i governi e le popolazioni, problemi economici e di sussistenza. Non è un’esagerazione affermare che il basso corso del Mekong e soprattutto l’immensa area deltizia, il Tonlé Sap, sfamano con il riso e con il pesce più di 50 milioni di persone.
Il 2019 si è distinto per una implacabile siccità record, ma da decenni la mancanza e l’irregolarità delle precipitazioni -aggravate dal fenomeno oceanico del Niño (una irregolare oscillazione tropicale della pressione atmosferica, delle piogge, della temperatura e del livello delle acque)- ha abbassato fino ai livelli minimi da 100 anni la disponibilità idrica lungo il fiume, aggravando l’aridità dei campi, la salinità del delta e recando grave danno alla migrazione e alla riproduzione dei pesci.
In questo quadro già compromesso dal clima si inserisce l’azione umana, per meglio dire quella della Cina. Per risolvere con sufficienti o più generose irrigazioni le terre dello Yunnan e delle altre province attraversate dal corso superiore del Mekong, il governo ha da poco completato la costruzione e ha gà attivato da mesi in territorio laotiano due gigantesche dighe, in aggiunta alle 11 già presenti sul corso principale del fiume e, per buona misura, ai 123 sbarramenti progettati o in via di costruzione lungo tutto il bacino.
È da notare che, oltre ai benefici agricoli, la Cina intende alleviare la sete di milioni di cinesi, nonché usufruire dell’energia elettrica sfruttabile con le turbine ai piedi delle dighe. Solo riferendosi alle due costruzioni più recenti, la diga Xayaburi fornisce dall’ottobre scorso 1.285 megawatt (milioni di watt), mentre dalla Don Sahong si ricavano da gennaio 260 megawatt.
I benefici per la Cina e per i paesi sotto la sua influenza economica e politica si traducono in svantaggi per le regioni indocinesi a valle e, in particolare, per il delta del Mekong.
Le dighe rallentano il corso del fiume e dei suoi numerosi rami derivati. È in pericolo oltre il 60% del pescato, la parte minore destinata all’esportazione e la maggiore consumata dalle popolazioni locali. Oltre al riso, possono soffrire per la scarsità idrica le piantagioni di caucciù, caffè, juta, pepe, tabacco, cotone, palme da cocco e palma da zucchero.
La dimensione del problema energetico ed economico costituisce una disputa e una causa di attrito tra i governi della Cina e degli Stati Uniti. Non è difficile capire che è in gioco l’influenza geopolitica delle due grandi potenze economiche e militari sull’intera penisola indocinese.
Mentre la Cina, con la sua piattaforma economica regionale, la Lancang-Mekong Cooperation, ha stanziato un finanziamento di 300 milioni di dollari, gli USA, con la Lower Mekong, ne hanno pianificati 120. “Eyes on Earth”, una società di ricerca e consulenza specializzata nelle indagini sulle risorse idriche, ha pubblicato uno studio finanziato dal governo degli Stati Uniti, asserendo che la Cina controlla il flusso del fiume nei paesi a valle, danneggiando la loro economia. Il governo cinese ha reagito contestando la validità della ricerca americana e sostenendo il contrario, cioè i benefici apportati con le sue grandi dighe.