Fumo una sigaretta al mentolo, insalubre boccata d’aria dopo l’altra, mentre guardo il cielo rosso fuoco del tramonto padovano, valigia già alla mano. La vicina Vo’ Euganeo, sui colli padovani, è in quarantena: nessuno entra, nessuno esce. Sto partendo per la montagna, verso una regione non ancora sfiorata dalla psicosi, per sfuggire a un eventuale diffusione del Coronavirus. Cerco di non lasciare che malinconia e paura prendano il sopravvento, nonostante il bagaglio di fobie che mi porto dietro dalla nascita; la città mi pare fantasma, silenziosa per le vie del centro, forse tramortita da un’epidemia di cui non si conoscono ancora gravità e portata, emergenza sanitaria che però la stampa ha contribuito a ingigantire con una copertura mediatica mai testimoniata prima. L’operoso Veneto incassa il colpo, ma faticherà a rialzarsi. In Alto Adige trovo una calma rassicurante, con supermercati zeppi di merce e scorte di Amuchina mai intaccate.

Il Coronavirus ci ha raggiunti: ha raggiunto noi monselicensi per primi. Venerdì sera, appena cinque giorni fa, il primo decesso, un settantottenne di Vo’ Euganeo, all’ospedale di Schiavonia. E poi Luciana Mangiò, prima vittima della Marca trevigiana, settantacinquenne di Paese già gravemente debilitata. Cinque giorni in cui la situazione è precipitata, senza che nessuno fosse realmente preparato a fronteggiare questi giorni di fuoco. Il Covid-19, i cui primi casi confermati in pazienti umani sono stati a Wuhan, nell’Hubei, a fine dicembre, in regione ha già mietuto due vittime e infettato sessantanove veneti, oggi ventiquattro in più rispetto a ieri compresa una bimba di nove anni, portando la nostra nazione ad uno strabiliante terzo posto per diffusione dopo Cina e Corea del Sud, con il Giappone quarto in lista. Ma il numero di contagi cresce di ora in ora, di minuto in minuto, mentre scrivo queste parole. È caccia all’untore, ma del paziente zero ancora non c’è traccia. Esclusi i turisti cinesi ricoverati da gennaio allo Spallanzani di Roma, esclusi i cittadini cinesi che frequentavano lo stesso bar di Antonio Trevisan, prima vittima veneta; escluso anche, e soprattutto, il primo lodigiano a contrarre il Coronavirus. Molte le piste per capire chi abbia innescato la diffusione del virus in Veneto e Lombardia, poche le ipotesi plausibili. Per ricostruire l’intricata catena del contagio servirà tempo. Ma l’Italia è in panico.
A Monselice, le derrate alimentari scarseggiano. I supermercati, presi d’assalto, sono ormai cartoline macabre di corsie semivuote. Terminati rapidamente acqua, carne e frutta, non c’è più neppure un igienizzante mani, un gel disinfettante. La biblioteca è chiusa, il mercato del lunedì è sospeso, alcuni ristoranti scelgono di non aprire prevedendo scarsissima affluenza di locali. L’unico ristorante cinese della città è in ginocchio. In un cartello, i gestori specificano che non c’è alcun pericolo, ma l’avviso non sembra rassicurare i miei concittadini. La psicosi virus è divampata. Ma il governo non ha atteso, agendo con grande tempismo. Al nord è coprifuoco, rigido nelle zone calde e moderato nei comuni limitrofi: non si potrà entrare o uscire dai comuni-focolaio per quindici giorni. Chiuse per una settimana le scuole venete, annullato il carnevale a Venezia, rinviate le partite di serie A, per cui si valutano le porte chiuse. L’Europa ci guarda attentamente, qualcuno non ci vuole. L’Austria ha chiuso e poi riaperto la frontiera del Brennero per due casi sospetti a bordo di un treno da Venezia. Marine Le Pen, dalla Francia, invoca controlli serrati, mentre la Romania imporrà due settimane di quarantena a chiunque acceda al paese da Lombardia e Veneto.
Il presidente del Veneto Luca Zaia ricorda però che la salute delle due vittime era già compromessa. Morti non per Coronavirus, ma col Coronavirus, tiene a specificare. La mortalità del nuovo virus è inferiore a quello di una più comune polmonite. Zaia valuterà nelle prossime ore se estendere la chiusura di scuole, biblioteche, musei, cinema e discoteche per un’altra settimana a partire dall’1 marzo.
Falso allarme? Timori giustificati? Tireremo presto un sospiro di sollievo, tornando alla nostra quotidianità indaffarata, o il Coronavirus prenderà piede e vite umane? Chi scrive non si sbilancia. I pareri contrastanti degli addetti ai lavori confondono; per alcuni, come il virologo pesarese star dei social network Roberto Burioni, il virus non va sottovalutato. Altri, invece, come Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio Diagnostica Bioemergenza del Luigi Sacco di Milano, azzardano un’ipotesi alternativa: e se si stesse attribuendo a qualcosa più di una banale influenza la possibilità di sfociare in pandemia?

Difficile dunque, a pochi giorni dal primo decesso, fare previsioni. Ma chi scrive si concede un’amara riflessione. Un’Italia spaventata, ma non giustificata nella meschinità, sta mostrando il lato peggiore di sé. Un giovanissimo italiano di origine cinese, Zhang, è stato preso a bottigliate in testa, rimediando un brutto taglio in fronte, da connazionali bianchi convinti che il ragazzo avrebbe diffuso il virus. Xenofobi altrimenti celati da un velo di riguardo mostrano il vero volto, boicottando negozi e bar cinesi e lanciando sacchi di immondizia a passanti con gli occhi a mandorla. E c’è chi a sud del Po si rallegra di un’economia padana azzoppata dal virus, c’è chi a Ischia ha insultato un gruppo di turisti veneti in pullman, chiedendo loro di tornarsene a casa. Su Twitter si esulta: accidenti, il virus uccide solo anziani debilitati, allora non c’è da preoccuparsi!, come se le vittime non fossero esseri umani, come se i familiari non stessero soffrendo immensamente.
Qualcuno lucra sulle mascherine protettive ormai introvabili, mentre l’Amuchina è rivenduta a peso d’oro da caritatevoli sciacalli a marchio Covid-19. Qualcun altro, infine, bussa alle porte di poveri anziani in apprensione fingendo di essere infermieri di tamponi a domicilio, per poi derubare vecchine e vedovi. Al netto di ogni conclusione sul virus, impossibile da trarre se non per gioco o imprudenza, forse ignoranza e grettezza spaventano più di un colpo di tosse in pieno volto. In attesa di un rimedio, di un vaccino lavoriamo su noi stessi. La nazione dovrà uscire dal k.o con rinnovato altruismo.