A Davos, in Svizzera, sono in corso gli incontri per il World Economic Forum 2020. C’è chi ha definito l’incontro “un festival del networking”: non è un caso se l’incontro è sponsorizzato da un numero enorme di banche e società internazionali. Per alcuni Davos è una scorciatoia per l’elite, quel gruppo di potenti che governa il mondo dal suo club di lusso senza avere idea di come stiano realmente le cose. Per altri è solo uno spreco di tempo (e denaro).
Sette i temi fondamentali del World Economic Forum 2020: economia più giusta, affari migliori, futuro sano, futuro del lavoro, tecnologia per il bene, geopolitica e come salvare il pianeta.
Invece, l’attenzione dei media è stata concentrata tutta sullo scontro (a distanza) tra Greta Thunberg, ambientalista in erba, e Donald Trump, tycoon sotto processo.
Non è ben chiaro se la piccola Greta sia contenta dei risultati ottenuti fino ad ora (“C’è una maggiore consapevolezza e il cambiamento climatico è diventato un tema ‘caldo’”) o se abbia finalmente cominciato a capire che i risultati delle sue battaglie sono deludenti (“Non è stato fatto nulla, le emissioni di CO2 non sono state ridotte ed è questo il nostro obiettivo”).
Dal canto suo, il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, è in piena campagna elettorale e per questo sta sfruttando ogni occasione per rimarcare i propri successi (anche per distrarre i media – e i potenziali elettori – da problemi come il processo di impeachment appena iniziato al Senato). Trump ha sottolineato l’accordo commerciale appena concluso con la Cina (in realtà tutt’altro che definitivo) e quello con Messico e con il Canada (Usmca). Ha parlato di una disoccupazione ai minimi storici nell’ultimo mezzo secolo e delle performance di Wall Street.
Lo spettacolo è iniziato. E Trump e la piccola Greta sembrano voler monopolizzare la scena. Il primo non fa altro che ripetere che la strada da percorrere per salvare l’economia del pianeta è quella intrapresa dagli Stati Uniti d’America sotto la sua guida. Lo ha detto più volte durante gli incontri bilaterali sul palcoscenico (come quello con la Presidente della Commissione Europea) che fine ha fatto il Green New Deal?).
Nel suo discorso “elettorale” Trump ha ripetuto schemi ormai arcinoti (“Metterò sempre l’America al primo posto”, “America First non significa solo l’America” e molti altri). Ha parlato di un “Grande ritorno americano. Oggi sono orgoglioso di dichiarare che gli Stati Uniti sono nel bel mezzo di un boom economico che non si è mai visto prima”). Pur trovandosi in un forum “economico”, il tycoon della Casa Bianca ha preferito non dire che il prezzo di queste performance è un debito pubblico mostruoso che grava sulle spalle (e sulle tasche degli americani). Il mondo non è mai stato così indebitato come in questo momento storico: il valore del debito a livello globale supera i 250mila miliardi di dollari. E continua a crescere a un ritmo vertiginoso: è più che triplicato in solo una ventina d’anni, secondo uno studio di Citigroup elaborato a partire dai dati dell’Institute of International Finance. E tra i paesi più indebitati ci sono proprio gli Stati Uniti d’America, la Cina (che paga così a caro prezzo la crescita “miracolosa” degli ultimi anni), l’Eurozona e il Giappone. Per comprendere l’importanza di questo dato basti pensare che, da soli, questi quattro “debitori” sono responsabili di circa l’80% del debito pubblico di tutto il pianeta.
Che la situazione fosse grave lo si sapeva da tempo: alcuni mesi fa in una intervista al Wall Street Journal, Emre Tiftik, vice direttore dell’Institute of International Finance, parlò di una nuova era: “I livelli di debito allo stato attuale sono i primi segnali di allarme di surriscaldamento di specifici settori e paesi”. Ma di questo né Trump né gli altri economisti globali riuniti a Davos hanno parlato (ma allora cosa sono andati a fare?). Così come si sono guardati bene dal parlare di un altro tema scottante: se i paesi sono così mostruosamente indebitati, chi sono i creditori? Troppo semplicistico dire “le banche”. Viste anche le dimensioni del problema e le conseguenze sulla vita di miliardi di persone, il World Economic Forum avrebbe potuto essere il posto giusto per approfondire questo argomento. Invece, si è preferito parlare di ambiente.
Anche in questo caso, però, le informazioni fornite sono state incomplete o almeno parziali. Se da un lato è vero che gli USA sono tra i maggiori responsabili delle emissioni di CO2, di sicuro, però, non sono i maggiori inquinatori del pianeta. La piccola Greta Thunberg così impegnata nei suoi attacchi all’America di Trump, ha dimenticato che è l’Asia il continente responsabile di oltre metà (52%) delle emissioni di CO2 di tutto il pianeta. E che la Cina è responsabile di quasi il doppio delle emissioni degli USA (9.8 miliardi di tonnellate contro 5.3). Non ha detto neanche che i paesi con le maggiori emissioni procapite non sono né la Cina né gli USA, ma Oman e Kuwait (dove le emissioni di CO2 per ogni abitante sono il triplo di quelle in Europa…). Di tutto questo, però, chi ha scritto i discorsi per la piccola Greta ha preferito non parlare.
Sia Trump che la Thumberg hanno preferito concentrarsi su temi mediaticamente “appetibili”. Nessuno dei due ha parlato di “scambi” di emissioni di CO2. Eppure anche questo argomento sarebbe stato un tema interessante da trattare al World Economic Forum: capire quali paesi sono “importatori netti” di emissioni e quali sono “esportatori netti”. Molti sarebbero rimasti sorpresi nel vedere che tra i paesi maggiori importatori netti di emissioni (ovvero paesi che importano più di CO2 incorporata in beni di loro esportazione) c’è la Svezia (con oltre il 65%), proprio il paese da cui proviene la piccola Greta. Gli Stati Uniti si limitano al 7,7%. Ciò significa che le emissioni calcolate sulla base del “consumo” sono superiori del 7,7% rispetto alle emissioni basate sulla produzione. Per contro, il paese maggiore responsabile di emissioni di CO2, la Cina, ha in questo caso, un valore negativo: -14%. Ciò significa che le sue esportazioni nette di CO2 equivalgono al 14% in meno delle sue emissioni interne ovvero che le emissioni basate sul consumo sono inferiori del 14% rispetto alle emissioni basate sulla produzione.
Ma di tutto questo né la signorina Thunberg né il signor Trump hanno parlato. Così come non hanno detto una parola per dire che, sotto il profilo dei settori maggiormente responsabili delle emissioni di CO2, non ci sono né quello manifatturiero né quello dei trasporti, ciascuno intorno al 20% (ma allora perché tutte queste polemiche sui gas di scarico dei veicoli?), e nemmeno il settore residenziale (la produzione di CO2 sta diminuendo). Ad emettere circa la metà delle emissioni di CO2 mondiali è la produzione di energia elettrica e di calore (e, invece, tutti lì a correre verso le auto elettriche o ibride…).

A Davos, durante i lavori del World Economic Forum, sarebbe stato bello sentir parlare di tutto questo. Ascoltare gli esperti mondiali dibattere sui cambiamenti economici e geopolitici in atto (ad esempio, nessuno ha detto che i paesi da cui provengono i migranti hanno bassissime emissioni di CO2 pur con tassi di crescita del PIL impressionanti). E magari approfondire questi temi dal punto di vista dell’ambiente e dell’impatto che ha la globalizzazione economica sull’habitat e sulla salute del pianeta.
Sarebbe stato interessante sentir parlare di argomenti come la produzione di risorse alimentari (la popolazione cresce, ma solo poco più del 10% della superficie terrestre è utilizzabile per produrre cibo – non è un caso se l’itticoltura è in crescita e ha superato la pesca). E in un mondo in cui il numero di persone che soffrono la fame è tornato a crescere dopo anni e anni di diminuzioni, questo è certamente un aspetto fondamentale.
Per non parlare di altri temi come quelli del sociale che pure hanno un impatto non indifferente sull’economia di singoli paesi e del mondo intero. Invece, a Davos, sembra non importasse a nessuno sapere che ancora oggi, ogni anno, oltre un milione e mezzo di persone muoiono a causa della diarrea (il triplo delle persone assassinate, dieci volte il numero dei morti in conflitti armati, il doppio dei suicidi). E oltre mezzo milione sono bambini: oltre 1500 al giorno! Ma questo non sembra importare a nessuno. Nè a Trump né a Greta né ai media.
Interessano solo le inutili frecciatine a distanza tra una ragazzina svedese che non si sa bene dove trovi le proprie informazioni e un politico sotto processo responsabile della morte di molti dei propri connazionali (per inquinamento o per una delle tante inutili guerre).
Poi, tra qualche giorno, come per la COP25 di qualche settimana fa, nessuno si ricorderà più di cosa si è parlato a Davos in occasione del World Economic Forum 2020. E chi davvero decide le sorti del pianeta, chi è responsabile delle emissioni di CO2 e chi realmente controlla l’economia mondiale potrà continuare a farlo in un assordante silenzio mediatico.